Si può andare in pensione a 61 anni, a patto che l’azienda sia d’accordo. Ma ci sono dei sacrifici da fare.
Conoscere con esattezza le regole per l’accesso alla pensione è molto importante in quanto consente di sfruttarle per trovare una strada alternativa a quelle che sono le attuali regole, secondo le quali generalmente per smettere di lavorare bisogna aver compiuto almeno i 67 anni di età (pensione di vecchiaia), o in alternativa con 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne) indipendentemente dall’età (pensione anticipata).
Esistono però diverse soluzioni per uscire anticipatamente dal mercato del lavoro. Una di queste consente di farlo all’età di 61 anni, utilizzando diversi strumenti tra quelli oggi a disposizione.
A tal proposito, per padroneggiare al meglio le regole per andare in pensione vi consigliamo di iscrivervi al nostro corso dedicato (“pianifica la pensione”) dove trovi tutte le informazioni di cui hai bisogno per individuare la migliore strategia possibile.
Una di queste è appunto quella descritta nel prosieguo dell’articolo, utile per quei dipendenti che in accordo con l’azienda cercano un modo per smettere di lavorare in anticipo. D’altronde anche l’azienda potrebbe trarre vantaggio da una tale operazione, in quanto può rappresentare un aiuto per favorire il ricambio generazionale.
Nel dettaglio, questo trucco si struttura in diversi step, partendo dalla possibilità di accedere alla Naspi per poi successivamente soddisfare i requisiti per l’Ape Sociale. Una procedura che è bene sottolineare comporta dei sacrifici: tanto negli anni coperti da disoccupazione, quanto in quelli dell’anticipo pensionistico, si rischia di percepire molto meno rispetto all’ultimo stipendio percepito. Così come anche l’importo della pensione potrebbe subire un “taglio”, dovuto al fatto che si lavora per meno anni.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono i passaggi da seguire per smettere di lavorare già all’età di 61 anni. Attenzione però: per funzionare c’è bisogno che l’Ape Sociale venga confermato, senza variazioni, anche nei prossimi anni (è in scadenza il 31 dicembre 2024 ma dovrebbe essere prorogata).
Licenziamento
Come prima cosa bisogna parlarne all’azienda in quanto per attuare questo piano è necessario che ci sia il licenziamento. Non è possibile dimettersi, in quanto l’accesso all’indennità di disoccupazione è vincolato alla perdita involontaria del lavoro.
Ma d’altronde il datore di lavoro potrebbe essere interessato a favorire il ricambio generazionale in azienda, liberandosi dei profili più anziani (come il vostro appunto) per assumere personale più giovane.
A tal proposito, consigliamo di iniziare a muovervi una volta compiuti i 61 anni ma conviene, per massimizzare i vantaggi di una tale operazione, che il licenziamento venga finalizzato al compimento dei 61 anni e 2 mesi. Accertatevi però di aver maturato almeno 28 anni di contributi.
Indennità di disoccupazione
Una volta sottoscritto il licenziamento potete fare domanda di indennità di disoccupazione Naspi che spetta per una durata pari alla metà delle settimane contributive maturate negli ultimi 4 anni.
Nella migliore delle ipotesi, quindi per chi ha avuto una carriera lunga, la Naspi spetta per un periodo di 2 anni.
In questo periodo, coperto da contribuzione figurativa, spetta un’indennità così calcolata:
- 75% della retribuzione media per i primi 1.425,21 euro;
- 25% per la parte restante fino a un massimo di 1.550,42 euro.
Prendiamo come esempio un lavoratore che al momento della cessazione del lavoro guadagnava 2.500 euro lordi. Di indennità percepisce 1.336 euro per i primi 7 mesi: dopodiché per ogni mensilità scatta una decurtazione mensile del 3%, fino a scadenza naturale del beneficio.
Ciò significa che più si va avanti nel tempo e più l’importo percepito si riduce, tanto da scendere sotto i 1.000 euro in prossimità della scadenza (arrivando fino a 845 euro nell’ultima mensilità).
Cosa fare dopo la scadenza della disoccupazione
Al compimento dei 63 anni e 2 mesi, quindi, la Naspi scade. A questo punto bisognerà attendere 3 mesi, per poi fare domanda per l’Anticipo pensionistico conosciuto come Ape Sociale.
Per accedere a questo strumento bisogna aver compiuto 63 anni e 5 mesi, 30 anni di contributi ed essere disoccupati, per perdita involontaria del lavoro, e aver cessato da almeno 3 mesi della relativa indennità di disoccupazione.
Come funziona l’Ape sociale
Una volta accolta la richiesta di Ape Sociale viene riconosciuta un’indennità sostitutiva della pensione pari all’importo della rata mensile di pensione calcolata al momento della richiesta dell’indennità, fino a un massimo di 1.500 euro.
Quindi, mettiamo il caso che la pensione calcolata al momento della richiesta dell’Ape Sociale risulti pari a 1.700 euro: ne spetterà comunque un massimo di 1.500 euro, tra l’altro solo per 12 mensilità (non spetta, quindi la tredicesima).
La buona notizia è che l’Ape Sociale spetta fino a quando non vengono raggiunti i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, senza alcuna riduzione. Se ne potrà fare affidamento, quindi, fino al compimento dei 67 anni di età.
La pensione
Una volta raggiunti i 67 anni, quindi, si percepisce la vera e propria pensione. Ci sarà quindi un ricalcolo dell’importo, considerando un coefficiente di trasformazione (per la parte calcolata con il contributivo) maggiore rispetto a quello utilizzato per calcolare l’indennità spettante con l’Ape Sociale. Ricordiamo, infatti, che il coefficiente viene individuato tenendo conto dell’età in cui si va in pensione.
Come anticipato, però, bisogna rassegnarsi all’idea che la pensione sarà più bassa rispetto a quella che sarebbe spettata nel caso in cui l’attività lavorativa fosse proseguita fino al momento della pensione. Anche perché è bene ricordare che, a differenza del periodo indennizzato da Naspi, quando si percepisce l’Ape sociale non è prevista alcuna contribuzione figurativa.
Di conseguenza ci sono meno contributi versati: ne risentirà l’importo che risulterà dal calcolo della pensione.
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