Lo scontro tra Israele e Hamas va avanti. Crescono le vittime tra i civili per l’offensiva israeliana, ma la comunità internazionale non reagisce. La Cina incolpa gli Stati Uniti dell’inazione.
Nessuno ferma Israele.
L’offensiva d’Israele contro Hamas continua inesorabile: il premier (uscente) Benjamin Netanyahu ha assicurato che l’operazione militare, ritenuta “giusta e morale” continuerà ancora qualche giorno. I motivi dello scontro partono da lontano e neppure questa volta si arriverà a una risoluzione definitiva: sono più di 70 anni (per non andare ancora più indietro) che periodicamente lo scontro tra israeliani e palestinesi si riaccende, senza che la comunità internazionale intervenga.
L’ultimo atto dello scontro è il bombardamento da parte delle forze di Tel Aviv del quartiere generale delle testate internazionali Al-Jazeera e AP (Associated Press): un attacco condannato dalla Casa Bianca, da cui è arrivato l’appello del portavoce del Presidente, Jen Psaki, riguardo alla necessità di “garantire la sicurezza e l’incolumità dei giornalisti e dei media indipendenti”. Nel frattempo anche il Ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha sentito telefonicamente l’Alto rappresentante UE Josep Borrell per parlare della situazione in Medio Oriente.
Intanto continuano le vittime tra i civili: secondo le informazioni che arrivano da Gaza, sono 126 le vittime dei raid, tra cui 31 bambini e 20 donne.
Eppure il mondo continua ad assistere da spettatore a quello che sta succedendo - e succede ormai da anni - in Medio Oriente senza intervenire. Perché nessuno ferma Israele?
Perché nessuno ferma Israele: la Cina incolpa gli Stati Uniti
Il segretario generale dell’ONU ha condannato severamente quanto sta succedendo in Medio Oriente. Antonio Guterres, ha sottolineato che “qualsiasi attacco indiscriminato contro le strutture civili dei media viola il diritto internazionale, deve essere evitato a tutti i costi”.
Eppure il numero delle vittime civili aumenta e nessuno agisce. Secondo la Cina, che questo mese detiene la presidenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la colpa dell’inazione è degli Stati Uniti.
Lo ha dichiarato il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, il quale ha detto che da parte della Cina è arrivata la richiesta al Consiglio di sicurezza dell’ONU a intervenire per “ridurre tempestivamente la violenza tra Israele e Hamas”. Tuttavia, ha aggiunto, nell’ONU si ha difficoltà ad arrivare a un accordo in quanto “gli Stati Uniti si trovano dalla parte opposta della giustizia internazionale”.
Nel dettaglio, la richiesta della Cina è quella per cui israeliani e palestinesi possano riprendere i colloqui, sulla base di una soluzione a due Stati, “il prima possibile”.
Ed effettivamente gli Stati Uniti si sono opposti all’adozione di una dichiarazione congiunta, giudicata “contro produttiva”. Secondo gli USA, infatti, questa “non contribuirà a una de-escalation”. E tra l’altro nei giorni scorsi il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha riconosciuto il diritto d’Israele di difendersi dagli attacchi di Hamas. Questo, dopo aver parlato con il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha riconosciuto quindi la legittimità dell’attacco d’Israele, “con la speranza che il conflitto finisca al più presto”.
Perché gli USA non intervengono in Israele
Se da una parte Biden ha parlato con Netanyahu, dall’altra il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha annunciato di aver avuto un colloquio con Mahmoud Abbas (Abu Mazen), presidente dell’Autorità Palestinese, al quale ha “ribadito la necessità di porre fine agli attacchi missilistici e di abbassare le tensioni”.
Al netto dei dialoghi, però, gli Stati Uniti sembrano escludere l’intervento militare. È Ilan Goldenberg, alto funzionario del Dipartimento di Stato nell’amministrazione Obama che ha preso parte ai negoziati tra israeliani e palestinesi guidati dall’allora Segretario di Stato John Kerry, a spiegare alla rivista Foreign Policy il motivo per cui gli Stati Uniti al momento non hanno intenzione di agire.
Questo ha spiegato che la priorità di Joe Biden non era e non è il Medio Oriente. “L’amministrazione Biden” - spiega Goldenberg - “era determinata a concentrarsi prima sull’Indo-Pacifico e sulla Cina”; lo dimostra il fatto che in Israele-Palestina non ci siano inviati speciali mentre per l’Iran e lo Yemen sì.
Oggi gli USA non hanno un consolato a Gerusalemme che possa impegnarsi “regolarmente con i palestinesi”, in quanto questo è stato chiuso dall’amministrazione Trump. Inoltre, nonostante nel Partito Democratico statunitense ci sia una crescita dell’elemento progressista che porta ad atteggiamenti sempre più critici nei confronti d’Israele, a Washington resta prioritaria la componente filo-israeliana.
Non c’è, dunque, la volontà politica di agire con la priorità per gli USA che resta l’Iran, “un interesse di sicurezza nazionale molto più significativo”. Per questo motivo, spiega Goldenberg, non dobbiamo aspettarci un intervento degli USA per fermare Israele.
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