Perché il Pil italiano nel 2023 andrà meglio del previsto e supererà di nuovo Francia e Germania

Giacomo Andreoli

13/04/2023

Enrico Sergio Levrero, docente di economia politica di Roma Tre, sottolinea come il Fmi preveda una performance del Pil italiano migliore di Francia e Germania, ma la nostra crescita rimarrà debole.

Perché il Pil italiano nel 2023 andrà meglio del previsto e supererà di nuovo Francia e Germania

Il Pil italiano continua a superare le attese degli analisti e nel 2023 potrebbe andare decisamente meglio che in Francia e Germania. A dirlo non è solo il governo Meloni, ma anche il Fondo monetario internazionale, che prevede un aumento del nostro prodotto interno lordo dello 0,7% quest’anno (secondo il governo dello 0,9%, mentre a fine 2022 si parlava per quest’anno addirittura di uno 0,3%), contro la probabile recessione di Berlino (-0,1%) e un dato modesto per la Francia (con il Pil sempre in aumento dello 0,7%, ma a fronte di una crescita ben inferiore alla nostra nel 2022).

Perché il nostro Paese va meglio di molti suoi partner europei (esclusa la Spagna, che quest’anno dovrebbe salire dell’1,5%)? Enrico Sergio Levrero, docente di economia politica di Roma Tre, spiega a Money.it che “i consumi in Italia stanno reggendo all’impatto della crisi economica meglio di quanto ci si aspettava”.

Tuttavia, aggiunge, la crescita rimane “debole, motivo per cui il governo Meloni non può dormire sonni tranquilli. Per garantire una vera prospettiva di sviluppo al nostro Paese, per il docente, riforma fiscale e nuovo taglio del cuneo fiscale previsti dal Def potrebbero essere insufficienti, mentre servono nuove politiche redistributive, un aumento dei salari reali e una spinta sul Pnrr.

Perché il Pil italiano nel 2023 andrà meglio del previsto

Per Levrero “la caduta dei consumi in Italia è stata minore di quella che si poteva pensare, hanno in qualche modo retto”. Tuttavia, aggiunge che “bisogna essere cauti su queste stime, perché come sottolinea il Fondo monetario internazionale, c’è una forte incertezza sul piano finanziario e sugli effetti dei rialzi dei tassi di interesse e della guerra in Ucraina”. Per noi poi “è rilevante cosa accadrà all’economia tedesca e al volume del commercio mondiale, per l’impatto di ciò sulle nostre esportazioni”. Inoltre, le previsioni per i prossimi anni sono di “un rallentamento degli investimenti dopo la loro elevata crescita nel 2021 e 2022”.

In questo scenario il professore segnala come il turismo quest’anno possa comunque continuare ad avere un impatto positivo sulla crescita come nel 2022, anno in cui “ha contribuito molto alla nostra crescita assieme ad altri fattori come il boom dell’edilizia”. Anche il mercato del lavoro sembra migliorare.

Nei primi mesi dell’anno - spiega - ci sono segnali positivi, con una nuova occupazione per lo più a tempo indeterminato, ma come andranno le cose è impossibile dirlo”. Tra l’altro, “la crescita si prevede non sia in grado di ridurre il tasso di disoccupazione, che non scenderà nelle previsioni per il 2023 e 2024”. Inoltre i consumi subiranno un andamento decrescente, con una previsione di crescita appena dello 0,7% quest’anno.

Perché l’Italia ancora una volta supererà Francia e Germania

Perché come nel 2022 andiamo meglio di Francia e Germania (seppur a fronte di un debito molto più elevato e di una caduta maggiore del Pil durante il Covid)? Per Levrero “in questi Paesi l’impatto della guerra russo-ucraina, con l’aumento dei costi energetici e la riduzione del volume del commercio mondiale, è stato maggiore che da noi, e anche i consumi hanno tenuto meno”.

Tuttavia la comparazione fa emergere per il docente due elementi: il primo è che “la Germania viene da una crescita nel 2022 più bassa e se ora va in recessione crea dei danni anche a noi”, il secondo è che “gli Stati Uniti vanno meglio di tutti i grandi Paesi europei (il loro Pil passerà da un aumento del 2,1% del 2022 a uno 1,6% quest’anno secondo la previsione del Fmi), il che riflette politiche di bilancio espansive più coraggiose di quelle implementate in Europa”.

Le politiche insufficienti del governo Meloni

Di fronte a un quadro macroeconomico complesso, secondo il professore “preoccupa la politica economica conservativa del governo Meloni”. Insomma gli ulteriori 3 miliardi annunciati per il nuovo taglio del cuneo fiscale entro fine anno possono aiutare, “ma sono pochi e serve un intervento decisamente più forte”.

Questo anche perché, è vero che il prossimo anno torneranno le regole di bilancio europee tra cui il vincolo del rapporto deficit/Pil al 3%, ma “puntare sull’avanzo primario nel 2024 per contenere l’indebitamento a fronte dell’incremento della spesa per interessi sul debito pubblico può essere rischioso: se il prodotto interno lordo non cresce abbastanza il rapporto col deficit per l’Italia potrebbe non diminuire come previsto”.

Il vero shock di cui ci sarebbe bisogno, secondo Levrero, non è la riforma fiscale abbozzata dal governo che “non è chiaro se potrà avere un effetto importante sugli investimenti”, ma un’accelerazione sul Pnrr, che “doveva essere un volano di crescita, ma finora non ha prodotto gli effetti sperati”.

Il necessario aumento degli stipendi

Altro nodo da affrontare, per il docente, è quello salariale, esacerbato dall’aumento dei prezzi, con “i correttivi messi in campo da Draghi e Meloni che non bastano”. La ricetta, dice il professore di Roma tre, è “una più forte politica concertata di contrattazione tra imprese, sindacati e governo, con, accanto alla riduzione del cuneo fiscale, rinnovi contrattuali celeri e misure che incentivino gli aumenti di produttività, e in caso riduzione della tassazione sui profitti solo se effettivamente destinati agli investimenti”.

La disoccupazione, infatti, secondo Levrero, non si contrasta cercando di risolvere il mismatch tra domanda e offerta di lavoro sui profili specializzati (come si è visto negli ultimi mesi).

Come redistribuire la ricchezza che si crea in Italia

C’è poi la questione spinosa di una ricchezza che dal 2021 continua per lo più a concentrarsi, come accaduto già prima del Covid, nelle mani di pochi, di classe medio-alta.

Nell’ultimo decennio - dice il docente - l’aumento in Italia della concentrazione del reddito e della ricchezza è evidente, ed è divenuto rilevante anche il fenomeno dei lavoratori poveri, con redditi inferiori al 60% del reddito mediano. Di per sè, senza ulteriori correttivi, la crescita del reddito non è sufficiente a ridurre questa concentrazione”.

Le strade per rendere l’aumento del Pil più efficace per le classi medio-basse secondo Levrero sono due: la prima è l’aumento dei salari reali rispetto alla produttività del lavoro, e la seconda è l’implementazione di politiche fiscali di redistribuzione del reddito.

Dovremmo raccogliere di più - aggiunge - da chi è più ricco e fare trasferimenti diretti ai più poveri e alle famiglie meno abbienti, garantendo la progressività della tassazione e anche prevedendo una patrimoniale, ma riferita ad una ricchezza elevata, cioè per valori immobiliari sopra una certa soglia, ad esempio di 1 milione di euro”. In ogni caso, segnala il professore, la difficoltà della patrimoniale è colpire la ricchezza mobile, cioè quella finanziaria, che è facilmente spostabile: motivo per cui servirebbe un intervento al livello europeo.

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