Perché gli Usa possono crollare, anche senza default: tutti i guai della potenza

Violetta Silvestri

02/06/2023

Gli Usa sono salvi dal default, ma non da recessione e da un’esplosione del debito. Tutti i rischi e i guai economici e finanziari della potenza statunitense, pronti a esplodere a livello globale.

Perché gli Usa possono crollare, anche senza default: tutti i guai della potenza

Gli Stati Uniti non andranno in default e il mondo tira un sospiro di sollievo, anche se i guai economici e finanziari della prima potenza mondiale restano allarmanti e potrebbero scoppiare nei prossimi anni.

Democratici e repubblicani hanno concluso un accordo per aumentare il tetto del debito del governo, che gli consentirà di continuare a prendere in prestito denaro, evitando una “Armageddon” per almeno i prossimi 18 mesi.

L’ottimismo, però, è fragile o quantomeno prudente poiché la questione dell’innalzamento del limite di indebitamento nella più grande potenza del mondo ha messo in chiaro diverse vulnerabilità. Debito elevato, spesa pubblica in apparente diminuzione (in alcune voci fondamentali per ridurre povertà e disagi crescenti), rischio recessione all’orizzonte minacciano ancora la solidità Usa.

Il tutto, in uno scenario internazionale assai complicato dalla guerra in Ucraina e dalla pericolosa rivalità commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina.

Facendo la somma di tutti i fattori, quindi, ne emerge un quadro nel quale gli Usa sono salvi dal default, ma non da guai economici importanti. La bomba Stati Uniti può scoppiare, secondo diversi analisti.

Usa verso un debito record: il prossimo shock è qui?

Gli Usa possono continuare a fare debito: una buona notizia che nasconde dettagli allarmanti. Basta porsi un interrogativo: a quanto ammonta l’indebitamento della potenza mondiale? La questione non è di poco conto, come mostra un grafico elaborato da Ispi su dati del FMI:

Debito Usa/Pil Debito Usa/Pil Come è cresciuto il debito sul Pil negli anni

Il Fondo Monetario Internazionale ha già avvisato che il livello di debito ha ormai superato il Prodotto interno lordo, con un’esplosione dalla pandemia in poi. E la crescita è destinata a continuare. Il Congressional Budget Office ha stimato che entro il 2032 potrebbe arrivare a 40.000 miliardi di dollari (110% del Pil), con previsioni più pessimistiche che intravedono addirittura la soglia dei 50.000 miliardi di dollari entro lo stesso anno.

Sempre il Congressional Budget Office ha calcolato che con l’accordo sul debito gli Usa ridurranno la spesa di circa 1.300 di dollari nel prossimo decennio. Il numero, enorme alla lettura, si inserisce però in un contesto di spesa federale di decine di trilioni di dollari, ha fatto notare un’analisi dell’Economist.

L’Ufficio budget prevede circa 80.000 miliardi di dollari di esborsi nel prossimo decennio. Donald Schneider, un esperto di budget, pensa che la “contabilità creativa” (riferita ad accordi specifici di attuazione della legge sui tagli previsti) da sola potrebbe limare più di 90 miliardi di dollari dai tagli. E, soprattutto, occorre considerare che i limiti di spesa sono applicabili solo nel 2024 e nel 2025.

Michael Feroli di J.P. Morgan ha stimato che il prossimo anno la spesa federale si abbasserà di circa lo 0,2% del Pil. È molto inferiore alla riduzione dello 0,7% nel 2011 ottenuto dopo la situazione di stallo sul tetto del debito durante la presidenza di Barack Obama.

La buona notizia per Biden è che in questo modo l’aspetto negativo dei tagli sarà appena percettibile. Mark Zandi di Moody’s Analytics, una sussidiaria dell’agenzia di rating del credito, ritiene che il freno potrebbe far salire il tasso di disoccupazione di appena 0,1 punti percentuali l’anno prossimo. L’effetto meno gradito è però che i tagli alla spesa faranno poco per domare l’inflazione elevata.

Il punto più caldo resta, comunque, il livello di debito. Sempre gli analisti di The Economist hanno evidenziato che il percorso fiscale americano rimane preoccupante.

Il 26 maggio scorso il Fondo Monetario Internazionale è stato l’ultimo a lanciare l’allarme sulle finanze del Paese. Il debito federale detenuto dagli investitori in patria e all’estero ha raggiunto circa il 93% del Pil, quasi il triplo del suo livello alla vigilia della crisi finanziaria globale del 2007. Entro la fine di questo decennio il governo americano è sulla buona strada per spendere più per il pagamento degli interessi che per la difesa nazionale a livello annuale.

Analizzando la spesa pubblica, emergono alcuni punti deboli di tutto il sistema americano. Gli esborsi per i diritti e la sicurezza sociale, in particolare per le pensioni statali e l’assicurazione medica per gli anziani è già quasi i due terzi delle spese federali e sono destinati a espandersi con l’invecchiamento della popolazione.

Poi c’è la questione del gettito fiscale, con il governo americano che vanta una quota del Pil in riscossione tasse notevolmente bassa rispetto alla maggior parte degli altri Paesi ad alto reddito. Entrambi questi elementi erano, tuttavia, del tutto assenti dai negoziati sul tetto del debito per opportunità politiche: i democratici non vogliono essere accusati di voler aumentare le tasse e i repubblicani preferiscono andare piano sul tema assistenza per non essere additati di remare contro i diritti.

Con entrambe le parti che hanno concordato di aumentare il budget della difesa, il risultato è che i tagli alla spesa saranno interamente concentrati su “programmi discrezionali non di difesa”, che rappresentano solo il 15% circa del budget. I tagli colpiranno i parchi nazionali, le scuole, l’assistenza sanitaria, con diverse conseguenze a livello di giustizia sociale.

La recessione Usa sta arrivando?

Le analisi sull’accordo all’innalzamento del tetto al debito stanno facendo emergere diverse sfumature e varie facce della stessa medaglia.

Gli Stati Uniti non andranno in default, ma a breve termine l’accordo potrebbe peggiorare la recessione che secondo la maggior parte degli economisti sta per arrivare.

In definitiva, rallentare la spesa pubblica di solito non fa bene all’economia stando all’analisi degli esperti Bloomberg.

Il modello dell’economia statunitense di Bloomberg Economics suggerisce che l’accordo sul debito ridurrà dello 0,5% il prodotto interno lordo entro il quarto trimestre del 2024.

“L’accordo sul tetto del debito si aggiungerà ai venti contrari che deve affrontare un’economia già vulnerabile e che rischia di cadere in una recessione”, dopo una serie di aumenti dei tassi della Federal Reserve, ha affermato Anna Wong, capo economista statunitense di Bloomberg.

“Se una recessione dovesse verificarsi entro la fine dell’anno, l’accordo sul debito renderebbe la ripresa che segue più tiepida, mantenendo la recessione più lunga e forse un po’ più profonda, ha aggiunto.

Secondo le stime attuali, il Pil subirà il suo colpo più duro nel 2025 e il Paese si scrollerà di dosso la recessione nel 2026 e nel 2027. L’accordo potrebbe far aumentare il tasso di disoccupazione di circa lo 0,2%. Sono circa 350.000 posti di lavoro persi.

E a lungo termine, l’accordo non attenuerà molto la traiettoria esplosiva del debito nazionale. Il modello di sostenibilità del debito di Bloomberg stima che il rapporto debito/Pil degli Stati Uniti – un indicatore chiave della salute fiscale – crescerà dal 97% nel 2022 al 117% entro il 2023.

Invertire la rotta, secondo gli esperti Bloomberg, richiederebbe probabilmente di incidere sui sacrosanti programmi di diritti degli Stati Uniti, rivedere la spesa per la difesa, nonché su aumenti delle tasse. Tutto questo si trasformerà in una crisi ancora più grave o in una opportunità per la potenza Usa in decadenza?

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