Secondo i dati pubblicati dalla CGIA di Mestre il 4 gennaio 2020, le piccole e medie imprese nel 2018 hanno pagato quasi il doppio delle tasse rispetto alle multinazionali. La situazione sulla pressione fiscale, secondo le ipotesi della CGIA, non è destinata a migliorare.
Piccole e medie imprese schiacciate dalla pressione fiscale, e la situazione non migliorerà nei prossimi mesi.
Secondo i dati elaborati dalla CGIA di Mestre e pubblicati il 4 gennaio 2020, le piccole e medie imprese italiane devono far fronte al 59,1% del carico fiscale.
Le multinazionali del web presenti in Italia registrano una tax rate del solo 33,1%.
I dati presi in considerazione dall’Ufficio Studi della CGIA si riferiscono al 2018, ma il quadro che restituiscono è ben chiaro: le piccole e medie imprese in Italia devono sottostare a una pressione fiscale quasi doppia rispetto alle multinazionali.
In Europa, secondo i dati della Banca Mondiale, solo la Francia registra una pressione fiscale sui profitti delle imprese superiore alla nostra.
Inoltre, anche se la Legge di Bilancio è riuscita a sterilizzare le clausole di salvaguardia per il 2020, l’ombra dell’aumento IVA rimane intatto per il 2021.
Sembra quindi difficile ipotizzare una riforma che nei mesi successivi possa ridurre il carico fiscale, in particolar modo quello delle imprese.
PMI sotto torchio: pagano il doppio delle tasse delle multinazionali
I dati diffusi dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre il 4 gennaio 2020 riguardano la pressione fiscale sulle imprese e sulle multinazionali nel 2018.
La disparità del carico fiscale imposto a piccole e medie imprese e ai big del settore fa sicuramente riflettere: mentre le multinazionali pagano il 33,1% della tax rate, le PMI pagano il 59,1% sui loro profitti.
In pratica, alle piccole e medie imprese viene imposto un carico fiscale quasi doppio. Una vera e propria ingiustizia, commenta il coordinatore dell’Uffici Studi della CGIA Paolo Zabeo:
“non tanto perché su questi ultimi (i giganti tecnologici, ndr) grava un peso fiscale relativamente contenuto, ma per il fatto che sulle nostre PMI il peso delle tasse e dei contributi è tra i più elevati d’Europa.”
In effetti, i dati della Banca Mondiale parlano chiaro: solo la Francia registra una pressione fiscale sui profitti delle imprese superiore alla nostra, con una percentuale del 60,7%.
La media europea invece si aggira intorno al 42,8%, con ben 16 punti in meno rispetto a quanto imposto in Italia.
Pressione fiscale, perché le PMI pagano il doppio delle tasse delle multinazionali?
Come mai le multinazionali del web possono beneficiare di una tax rate del 33,1%?
Questa situazione, che alle PMI sembrerà paradossale, si verifica perchè la metà dell’utile prodotto da suddette multinazionali è tassato a fiscalità agevolata, e nel periodo 2014-2018 ha sfiorato complessivamente i 50 miliardi di euro.
Ma non sono solo i giganti stranieri del web a sfruttare la fiscalità di vantaggio concessa da molti Paesi.
Anche grandi multinazionali italiane, come FCA, Eni, Enel, Ferrero, Telecom, Saipem, Luxottica Group e Illy hanno trasferito da anni la sede legale principale, o di una consociata, all’estero.
Ad esempio, molte multinazionali hanno deciso di spostarsi nei Paesi Bassi, dove è possibile beneficiare sia di una legislazione societaria molto favorevole, sia dal trattamento tributario generoso che il governo olandese riserva a ogni grande compagnia disposta ad aprire la sede fiscale ad Amsterdam.
Questi sono i motivi per cui si è ridotta la base imponibile di coloro che pagano le tasse in Italia, con la conseguente penalizzazione in particolar modo delle piccole e medie imprese, che non hanno la possibilità di trasferirsi all’estero.
Pressione fiscale sulle PMI, le ipotesi sul futuro
Secondo il Segretario della CGIA Renato Mason è difficile aspettarsi dei cambiamenti in positivo per quanto riguarda la pressione fiscale sulle piccole e medie imprese.
Questo perchè, anche se la Legge di Bilancio è riuscita a scongiurare l’aumento dell’IVA per il 2020, l’ombra dell’innalzamento delle aliquote rimane in agguato per il 2021, così come il ritocco delle accise sui carburanti.
Dunque, anche la prossima manovra finanziaria è in buona parte già vincolata da questo impegno così importante, cioè trovare di nuovo le risorse per sterilizzare le clausole IVA.
Per questi motivi sarà molto difficile recuperare altre risorse per ridurre in misura altrettanto significativa le tasse su famiglie e imprese.
Eppure, sono molti gli imprenditori che esportano i propri prodotti e manufatti all’estero, e che si devono misurare con una concorrenza che non viene sfinita da tasse altissime e burocrazia infinita come avviene in Italia.
Ricordiamo, infatti, che l’Italia ha due primati non lusinghieri: oltre ad avere la pressione fiscale sulle imprese tra le più alte in Europa, è anche il Paese in cui è più difficile pagare le tasse (insieme al Portogallo).
Sempre secondo i dati della Banca Mondiale, nel Bel Paese sono necessari 30 giorni all’anno, pari a 238 ore, per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute, completare la dichiarazione dei redditi, presentarla all’Agenzia delle Entrate e infine effettuare il pagamento online o allo sportello.
In Francia, l’unico Paese UE con un carico fiscale sulle imprese superiore al nostro, per pagare le tasse e smaltire la relativa burocrazia sono necessari solo 17 giorni.
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