Marco Di Liddo, analista del Ce.S.I., spiega a Money.it quali sono le condizioni poste da Putin e le variabili determinanti per capire quanto possa durare il conflitto russo-ucraino.
Prevedere quando finirà la guerra in Ucraina e l’invasione russa voluta da Vladimir Putin è sicuramente azzardato. Ma ci sono alcune variabili che possono essere analizzate per capire quanto a lungo si protrarranno gli scontri a fuoco nelle città ucraine e quali saranno gli snodi cruciali di questo conflitto.
Per capire le tempistiche, ma soprattutto le condizioni che potrebbero portare alla fine dell’invasione russa, Money.it ha intervistato Marco Di Liddo, senior analyst e responsabile del desk Russia di Ce.S.I. - Centro studi internazionali.
Sarà davvero una guerra lampo o durerà a lungo?
Il problema è che le nostre valutazioni basate sugli elementi di ieri ci potevano far protendere verso una direzione, ma oggi quella direzione non è più tale. Quindi bisogna fare un esercizio di lucidità e analizzare i macro-trend. Putin vorrebbe la guerra lampo, perché è costretto per la sostenibilità economica, la proiezione psicologica e il fronte interno, perché un uomo che ha costruito la sua immagine e quella del suo Paese sul machismo è obbligato a vincere facilmente. Se non si realizza il contraccolpo psicologico è fortissimo. Più gli ucraini resistono e più aumenta il loro morale e quindi gli ucraini sarebbero più protesi a uno scenario di guerra più lunga, perché i costi del logoramento li pagherebbe soprattutto Mosca.
Quindi c’è una reale possibilità che la guerra si prolunghi?
C’è, assolutamente sì. Perché anche i russi non stanno facendo un’avanzata devastante e senza ostacoli: hanno perdite, non stanno dimostrando una voglia di combattere così forte e gli ucraini stanno facendo una grande resistenza anche grazie ai sistemi d’arma forniti dagli Stati Uniti. I russi anche arrivare a Kiev oggi o domani, ma pacificare il Paese è un processo lungo. Non c’è solo l’avanzata sul terreno, ma anche la pacificazione e l’instaurazione di un nuovo sistema.
Quanto è complessa questa operazione di pacificazione? Cosa c’è di vero nella retorica di Putin secondo cui gli ucraini sono nostalgici dell’Unione sovietica?
Gli ucraini si trovano in una situazione molto particolare, perché è vero che nel popolo ucraino c’è una piccola percentuale di nostalgici, ma stiamo parlando di una percentuale risibile rispetto al resto della popolazione. È come se qualcuno dicesse che noi italiani non vediamo l’ora di tornare sotto il fascismo perché ci sono poche centinaia di estremisti nostalgici. In realtà la popolazione ucraina è scontenta verso il proprio governo, corrotto e che non ha mantenuto le promesse, però il malcontento non si traduce automaticamente in un’accoglienza positiva per Putin. Il sentimento patriottico ucraino è una variabile da non sottovalutare, sono un popolo combattivo e coraggioso. La narrativa dell’Ucraina che non vede l’ora di tornare sotto Mosca è solo una grande storiella.
I russi hanno davvero voglia di combattere questa guerra o c’è malcontento tra le truppe di Putin?
Quando si vuole muovere un esercito bisogna garantire ai soldati le migliori condizioni possibili, anche a livello di alloggio, di alimentazione. Se noi abbiamo visto la catena logicistica russa è lontana dalla capacità logistica degli eserciti occidentali, c’è una grande sofferenza. E non dimentichiamoci del Covid, con il rischio ci sia un alto numero di contagiati, persone che non stanno bene e combattono in condizioni di salute non ottimali. Quando Putin invoca la solidarietà ucraino-russa lui la manipola in una certa direzione, ma da un altro punto di vista questa amicizia potrebbe spingere i due lati della barricata a interrogarsi sul perché di questa guerra. C’è un distacco tra le intenzioni della leadership e i sentimenti della gente, la fraternità russa-ucraina è vera, però molto dicono che è una guerra voluta dalla politica e possiamo sottovalutare lo scollamento tra classe dirigente e sentimenti del popolo. Non è il popolo tedesco assuefatto alla narrativa nazista, qui non è la stessa cosa, non c’è lo stesso trasporto.
Quale sarà per Putin il punto di rottura? Quando potrebbe arrivare?
Si ottiene quando si intersecano diverse variabili, la prima è la sostenibilità economica. Si sta pagando l’operazione con i prezzi alle stelle di gas e petrolio. Così protegge anche l’economia dal crollo dei mercati. La seconda variabile è quella della resistenza ucraina: la Russia è condannata a vincere con poche perdite e in poco tempo, altrimenti rischia un contraccolpo psicologico devastante. La terza variabile è il fronte interno, ieri sono state arrestate più di mille persone a Mosca, la mobilitazione interna è un altro elemento da considerare.
Questo scenario fa venire in mente la caduta degli zar ormai più di un secolo fa: c’è la possibilità che si ripeta qualcosa del genere anche con Putin a causa del malcontento interno?
Lo zar è caduto quando la prima guerra mondiale è diventata un disastro, l’Unione sovietica è cominciata a cadere quando abbiamo visto le file di bar dall’Afghanistan. Le difficoltà economiche, le proteste, sono variabili che potrebbero tornare a riproporsi adesso con una differenza importante che è sempre il prezzo degli idrocarburi. La Russia sconfitta in Afghanistan veniva da un mondo che subiva gli effetti di due crisi energetiche, lo zar doveva affrontare un Paese che veniva dalla sconfitta nella guerra russo-giapponese, da una lunga stagione di proteste sindacali e da anni di crisi nei raccolti e il popolo era affamato. L’unica cosa che ha in più Putin è una momentanea posizione di forza nei prezzi.
Le sanzioni occidentali in quest’ottica possono essere uno strumento efficace?
Dipende, perché le sanzioni finanziarie possono essere aggirate, i capitali russi si trovano soprattutto nei paradisi fiscali. Quindi le sanzioni potrebbero incidere ma fino a un certo punto, anche perché l’austerity e le riserve accumulate costituiscono una forma di resilienza verso questo tipo di iniziative. Non sono sprovveduti, già essere in stagnazione e non andare incontro a un crollo è un rischio accettabile per Putin. Se si vuole mettere in difficoltà la Russia bisogna impedire di vendere idrocarburi, quindi iniziare a parlare con Opec ed è complicato, ma questo vale solo per il petrolio. Mentre il gas viene considerato su base regionale e quindi interferire sul mercato del gas è veramente complicato, soprattutto nella congiuntura attuale.
In che modo si potrà considerare terminata la guerra? Qual è l’obiettivo prefissato da Putin?
Il suo vero obiettivo è politico, è impedire che la Nato si allarghi. Il secondo è impedire che l’Ucraina entri nella Nato, il terzo è ricostruire un nuovo ordine europeo. Perché la Russia dal 1991 veniva sempre esclusa su ogni aspetto politico-militare e ha sempre dovuto subirlo. Ora vuole sovvertire questo equilibrio e non sarà soddisfatto finché non andrà in quella direzione. Però questo non è affidato solo alla volontà di Putin, ma anche alla nostra. Ci dobbiamo interrogare anche noi. Prendere Kiev potrebbero non bastare se il governo ucraino se ne andasse in esilio a Leopoli. E se poi scappasse ancora e il nuovo governo sotto il controllo russo non venisse riconosciuto dalla popolazione. Il nuovo governo ucraino non dovrebbe firmare l’adesione alla Nato e Putin si potrebbe sentire soddisfatto in questo, ma poi Putin dovrà mantenere economicamente l’Ucraina. Gli conviene o no?
È impossibile che Putin si accontenti della destituzione di Zelensky? Il suo vero obiettivo è il completo controllo del territorio ucraino?
Impossibile? Sì, perché il controllo dell’Ucraina è secondario, non è l’obiettivo finale. È uno strumento, è il mezzo non il fine. Il fine è la cosa importante. Quando lo raggiungerà sarà contento e il mezzo è difficile, può essere mezza Ucraina, il governo fantoccio, continuare fin quando sarà possibile: difficile dirlo. Il suo modo di ragionare ci ha dimostrato che è da guerra e non da pace ed è un modo a cui non siamo abituati e non ci siamo adattati, stiamo ragionando come se fossimo in pace ma per i russi è tempo di guerra. Il loro modo di pensare è diverso dal nostro e dobbiamo prendere atto di questo e reagire in maniera adeguata, oggi si prende l’Ucraina e domani potrebbe fare altro.
Di fronte a quale risposta occidentale potrebbe davvero fermarsi Putin?
Deve essere una risposta variegata. Le sanzioni sono solo una parte, io sono contrario a dire che bisogna fermare la diplomazia. Rinunciare alla diplomazia per principio è un errore, è il modo in cui si usa la diplomazia il punto: può essere ferma e dura o di concessioni, ma il dialogo deve essere sempre aperto. E bisogna fare in modo che l’Ucraina abbia gli strumenti per difendersi, se ci chiede supporto economico, finanziario, sociale, logistico, è arrivata l’ora di fornirlo. Non manderemo mai i soldati in Ucraina, lo abbiamo fatto capire in tutti i modi: la vita di un singolo soldato europeo o statunitense non vale l’Ucraina. Questo è appurato, però non possiamo subire passivamente. Quindi sì le sanzioni, sì a un dialogo fermo, ma sì anche a forme di supporto militare più forte, ovvero alzare i costi di questa operazione. La Russia non va isolata e messa in un angolo, perché fa il gioco di questa leadership: va tenuta nei tavoli, il discrimine è come ci relazioniamo con lei.
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