Si possono togliere i bambini alla madre? Ecco cosa prevede la legge, quando è possibile e cosa succede dopo l’allontanamento.
L’adozione può essere una scelta, spesso sofferta, della madre biologica che non può o non vuole avere un bambino. Altre volte, però, i genitori non hanno scelta e devono sottostare alla decisione del tribunale. Si tratta di circostanze estremamente rare, in cui togliere i figli alla madre è ritenuto prioritario per l’interesse dei minori. Il Tribunale per minorenni, ovviamente, prende provvedimenti anche per quanto riguarda il padre e gli altri familiari biologici nella misura ritenuta necessaria.
La legge n. 249/2001 che disciplina l’adozione e l’affidamento dei minori prevede anche le ipotesi in cui i bambini vengono sottratti alle famiglie, se quest’ultime sono incapaci di prendersene cura nel modo idoneo.
Si possono togliere i figli alla madre?
Come anticipato, i figli possono essere tolti alla madre e al padre se questi ultimi non riescono e/o non vogliono accudirli e provvedere ai loro bisogni nel modo adeguato. La famiglia è considerato un diritto prioritario per i minori; perciò, le ipotesi di allontanamento sono riservate ai casi più particolari, gravi ed emergenziali.
L’allontanamento dei figli dalla madre e dal padre, peraltro, può avere anche solo carattere temporaneo. L’ordinamento, infatti, cerca di tutelare il più possibile il diritto dei minori alla genitorialità, cercando di bilanciarlo con gli altri loro interessi.
Quando si possono togliere i figli alla madre?
Si possono togliere i figli alla madre quando i minori versano in condizioni di degrado e vivono in un ambiente non idoneo per la loro crescita e il loro sviluppo, anche in riferimento alla salute fisica e piscologica. È però importante sottolineare che la sola povertà non è un elemento sufficiente per determinare l’allontanamento dei bambini dalle loro famiglie, anzi “le condizioni di indigenza dei genitori o di chi esercita la patria potestà non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia”.
Le istituzioni hanno dunque l’obbligo di aiutare le famiglie in difficoltà che, nonostante le condizioni economiche, si impegnano per provvedere ai bisogni dei figli e si curano del loro benessere. Per situazione di degrado allarmante si intendono invece circostanze ben più dannose e pericolose, in ambienti in cui si presentano:
- Violenza, sia fisica che psichica;
- malnutrizione;
- rischio di reato ai danni del bambino;
- genitori tossicodipendenti, alcolisti o coinvolti nella prostituzione.
In questi casi, dove c’è un grave pregiudizio per il sano sviluppo dei minori, il giudice può ordinarne l’allontanamento immediato. Questa misura non deve essere letta come una forma di punizione dei genitori – cosa che invece può risultare da eventuali procedimenti penali, ad esempio per maltrattamenti – ma è orientata in modo specifico alla tutela dei bambini.
Figli tolti alla madre e al padre, cosa succede
Prima che la situazione dei minori giunga all’attenzione del Tribunale, sono i servizi sociali ad effettuare la valutazione, che rimanderanno in sede legale soltanto quando ritenuta grave. I controlli degli assistenti sociali, di solito sollecitati dagli insegnanti o da altri parenti (anche se chiunque può allertarli in caso di preoccupazione) sono rivolti principalmente alle ipotesi già elencate, dunque:
- Segni di maltrattamenti e violenza;
- condizioni di salute del bambino, compresa la nutrizione e la pulizia;
- ambiente familiare (ipotesi di reato, dipendenze e malattie psichiatriche che possono compromettere le capacità genitoriali);
- presenza della famiglia nella vita del minore.
A titolo di chiarimento, i figli non vengono tolti alle famiglie se il genitore arriva in ritardo a prenderlo a scuola una volta oppure se ha abiti modesti. Per contro, un bambino che deve recarsi a scuola da solo, si presenta affamato e malvestito (ad esempio troppo scoperto rispetto al freddo) desta legittimamente allerta.
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In ogni caso, il giudice può affiancare i servizi sociali alla famiglia come primo tentativo per aiutare i genitori senza allontanare il bambino. Altrimenti, se la prima strada non ha avuto successo oppure è troppo pericoloso per il bambino rimanere in famiglia si predispone l’affidamento temporaneo. Quest’ultimo viene disposto dai genitori e reso esecutivo dal giudice, ha una durata di 12 mesi in cui il bambino è affidato a un’altra famiglia, a una comunità o a un istituto.
In seguito, può essere proseguito l’affidamento o consentito il ritorno in famiglia con monitoraggio del servizio sociale. Quest’ultima opzione, idealmente preferibile, è possibile soltanto quando i genitori hanno fatto presente questa volontà e dimostrato di aver migliorato la propria situazione.
Ovviamente, nel caso in cui non ci sia una colpa da parte della madre o del padre, vengono attuate delle misure per aiutare sia il genitore che il bambino senza allontanarli. Per esempio, madre e figlio possono essere affidati insieme a una struttura con supporto psicologico, come accade per le madri vittime di violenza o incapaci ma senza colpe. Sono anche proposti corsi di formazione per trovare lavoro e percorsi terapeutici contro le dipendenze.
Nel caso più drammatico, i genitori non vogliono migliorare le proprie condizioni oppure hanno portato colpevolmente all’allontanamento del minore (usando su di lui violenza ad esempio). Il giudice dispone in questi casi la decadenza della patria potestà e l’allontanamento immediato. In questi casi, è sempre compito del Tribunale stabilire i rapporti con il resto della famiglia, in base alla valutazione degli assistenti sociali.
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