Il pagamento dello stipendio rappresenta una delle principali obbligazioni delle aziende. Analizziamo in dettaglio quando dev’essere liquidata la retribuzione secondo leggi e contratti collettivi
Il rapporto di lavoro dipendente è a tutti gli effetti un contratto a prestazioni corrispettive in cui a fronte della prestazione manuale e/o intellettuale del lavoratore l’azienda si impegna a corrispondere la retribuzione.
In quest’ottica, l’omesso o ritardato pagamento dello stipendio in un rapporto di lavoro dipendente rappresenta un fatto di non trascurabile importanza, sia per le implicazioni personali (il dipendente potrebbe trovarsi in una condizione di difficoltà nel far fronte alle spese della vita privata e familiare) che per lo stesso benessere lavorativo (il dipendente che non viene pagato vive una situazione di malessere ed è, di conseguenza, meno incentivato a far bene il proprio lavoro).
Non è un caso, infatti, che la stessa giurisprudenza riconosce il diritto del lavoratore a rassegnare le dimissioni per giusta causa (senza periodo di preavviso) di fronte al mancato o ritardato pagamento dello stipendio.
Per tutte le implicazioni citate è quindi fondamentale capire entro quando dev’essere pagata la retribuzione ai dipendenti. Analizziamo la questione in dettaglio.
Quando dev’essere pagato lo stipendio al lavoratore?
La retribuzione, di norma, dev’essere corrisposta al termine di ogni periodo di paga, sia esso, ad esempio, settimanale, mensile, pluri-mensile o annuale.
Dal momento che, nella quasi totalità delle ipotesi, gli stipendi ai dipendenti vengono calcolati con riferimento al singolo mese di prestazione lavorativa, la retribuzione viene liquidata una volta concluso il mese di competenza della retribuzione stessa.
A seconda delle prassi e degli usi sviluppati in azienda, quindi, il periodo di corresponsione dello stipendio interessa normalmente:
- gli ultimi giorni del mese di competenza della retribuzione (si pensi allo stipendio di novembre 2022, liquidato mercoledì 30);
- la prima quindicina del mese successivo quello di competenza, in modo tale da determinare i contributi da versare all’Inps e la tassazione Irpef da corrispondere all’Erario, entrambi a mezzo modello F24, in scadenza il giorno 16 di ogni mese.
Con riferimento a quest’ultima ipotesi, un esempio è quello della retribuzione di novembre 2022, corrisposta mercoledì 7 dicembre 2022.
Al di là di quelle che sono le consuetudini aziendali, i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (Ccnl) hanno la possibilità di imporre una scadenza, entro la quale la retribuzione dev’essere liquidata.
Ecco di seguito alcuni esempi di Ccnl:
- il Ccnl Alimentari industria (articolo 50) prevede che il pagamento delle retribuzioni «sarà effettuato secondo le consuetudini dell’azienda, mediante buste o altri stampati individuali, sui quali saranno specificati i singoli elementi di competenza e le previste ritenute, indicando il periodo di paga cui si riferiscono» inoltre dell’eventuale «cambiamento delle modalità consuetudinarie di pagamento» tra cui rientrano anche le tempistiche di liquidazione della retribuzione «l’azienda darà congruo preavviso»;
- il Ccnl Chimica industria (articolo 16) precisa che la retribuzione «deve essere corrisposta ai lavoratori nei termini e con le modalità in atto nelle singole imprese», peraltro se l’impresa ritarda «di oltre dieci giorni il pagamento, decorreranno di pieno diritto gli interessi nella misura del 5% in più del tasso ufficiale di sconto» con decorrenza dalla medesima scadenza di pagamento (il lavoratore avrà inoltre facoltà di «risolvere il rapporto di lavoro» con diritto all’indennità di mancato preavviso);
- il Ccnl Cooperative sociali dispone (articolo 84) che la retribuzione debba essere corrisposta «in una data stabilita non oltre il 20° giorno successivo alla fine di ciascun mese»;
- il Ccnl Metalmeccanica industria (articolo 4) stabilisce che la «retribuzione deve essere corrisposta al lavoratore non oltre la fine di ogni mese».
Dimissioni per giusta causa
La giurisprudenza, sia di merito che di Cassazione, ha incluso il mancato o ritardato pagamento della retribuzione tra le ipotesi che consentono al dipendente di dimettersi per giusta causa.
Tali si intendono le circostanze in cui un inadempimento del datore di lavoro è talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto, nemmeno nel corso del periodo di preavviso.
Nelle fattispecie di dimissioni per giusta causa, pertanto, il dipendente può interrompere immediatamente il contratto, senza dover per questo subire una trattenuta da parte dell’azienda a titolo di mancato preavviso.
Al contrario, l’interessato avrà diritto a:
- indennità sostitutiva del preavviso a carico del datore di lavoro, da liquidare in busta paga;
- indennità di disoccupazione NASpI, in presenza degli altri requisiti richiesti dalla legge e previa domanda da inviare all’Inps.
Sempre la giurisprudenza ha affermato che la reazione del dipendente, di fronte all’inadempimento aziendale, dev’essere immediata. Non è quindi ammesso un differimento della decisione di dimettersi, salvo che, in relazione al caso concreto, l’attesa possa essere giustificata in via del tutto eccezionale e comunque per un breve periodo di tempo.
Peraltro, anche le dimissioni per giusta causa, al pari di quelle ordinarie, devono essere trasmesse, a pena di inefficacia, all’Ispettorato Territoriale del Lavoro e all’azienda (via posta elettronica certificata) attraverso l’apposita piattaforma presente sul portale «servizi.lavoro.gov.it», facilmente raggiungibile anche digitando nei comuni motori di ricerca le parole «dimissioni online».
In sede di compilazione delle dimissioni «telematiche», il lavoratore dovrà selezionare nel campo «Tipo Comunicazione» l’opzione «Dimissioni per giusta causa».
Crediti retributivi
In tutte le ipotesi in cui l’azienda ritarda il pagamento dello stipendio, il dipendente ha la possibilità di proporre azione giudiziaria o, in alternativa, ricorrere a:
- conciliazione monocratica presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (Itl);
- diffida per crediti patrimoniali, operata sempre dall’Itl.
Inoltre, se il ritardo del datore di lavoro si inserisce in una situazione di insolvenza, il lavoratore può altresì chiedere l’intervento del Fondo di garanzia Inps.
Da ultimo, se il lavoratore ricorre all’azione giudiziaria, la sentenza di condanna imporrà all’azienda il pagamento degli stipendi oltre a:
- interessi, calcolati nella misura legale, pari, dal 1° gennaio 2022, all’1,25%;
- rivalutazione monetaria.
Come dev’essere corrisposta la retribuzione?
La legge 27 dicembre 2017 numero 205 (Manovra 2018) ha previsto (articolo 1, commi dal 910 al 914) a far data dal 1° luglio 2018, l’obbligo per datori di lavoro e committenti di corrispondere la retribuzione (compresi gli anticipi), attraverso una banca o un ufficio postale, con uno dei seguenti mezzi:
- bonifico sul conto identificato dal codice Iban indicato dal lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- contanti presso lo sportello bancario o postale dove i datori di lavoro - committenti hanno aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- assegno o vaglia postale, consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato (coniuge, convivente o familiare, in linea retta o collaterale, purché di età inferiore a 16 anni).
La norma vieta pertanto a datori di lavoro e committenti di «corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato» (articolo 1, comma 911).
La violazione delle disposizioni appena citate espone l’azienda a una sanzione pecuniaria amministrativa da 1.000 a 5.000 euro.
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