Scopriamo come funziona il reato di diffamazione, le sue caratteristiche e quando è possibile sporgere querela per tutelare la propria reputazione.
La rapida diffusione di notizie e commenti sui social ha amplificato la possibilità di ledere la reputazione altrui, rendendo la diffamazione un fenomeno sempre più attuale e complessa. La facilità con cui si possono esprimere giudizi e opinioni sulle piattaforme pubbliche ha trasformato una semplice frase scritta in un potenziale veicolo di danno alla reputazione, con potenziali conseguenze giuridiche rilevanti.
Tale fenomeno ha spinto la giurisprudenza a un’interpretazione sempre più attenta e specifica dei limiti della libertà di espressione, prevista dall’art. 21 della Costituzione ma che deve confrontarsi con la tutela dell’onore e della reputazione, diritti egualmente ricompresi in Costituzione.
Questo articolo si propone di offrire una panoramica chiara e completa sulla disciplina giuridica del reato di diffamazione, mettendo in evidenza le principali caratteristiche della fattispecie, i casi di maggiore rilevanza e le modalità attraverso cui è possibile tutelarsi.
Cosa significa diffamazione
Il termine «diffamazione» è spesso utilizzato anche nel linguaggio comune ma la sua accezione giuridica è più complessa e strutturata rispetto al semplice concetto di «parlare male di qualcuno». La diffamazione si configura quando una persona offende la reputazione di un’altra, comunicando con più persone e in assenza dell’offeso. Tuttavia, affinché tali affermazioni assumano rilevanza penale, devono sussistere i criteri stabiliti dalla legge.
Elementi costitutivi del reato di diffamazione
Il reato di diffamazione presuppone la presenza di tre elementi essenziali:
- l’assenza della persona offesa: è necessario che la persona lesa non sia presente al momento dell’offesa;
- la comunicazione a più persone: l’offesa deve essere rivolta ad almeno 2 persone, in modo che il contenuto lesivo sia diffuso nella comunità;
- il dolo: è richiesto che l’autore dell’offesa abbia agito con la consapevolezza di danneggiare la reputazione della persona offesa, altrimenti non si può parlare di reato.
Reato di diffamazione: la legge di riferimento
Il reato di diffamazione è disciplinato dall’art. 595 c.p. che prevede una tutela specifica dell’onore e della reputazione, considerati come “beni giuridici” fondamentali.
La diffamazione si verifica se una persona pronuncia affermazioni che possono danneggiare la considerazione di cui gode un individuo presso la comunità. La ratio della disposizione è, dunque, quella di salvaguardare l’immagine sociale del singolo. Perché si configuri il reato di diffamazione, deve sussistere il dolo generico, ovvero la consapevolezza e la volontà di pronunciare frasi che possano ledere la reputazione altrui.
Non è necessaria una volontà direzionata a danneggiare la vittima, ma è sufficiente la consapevolezza che le affermazioni possano ledere la sua immagine sociale. La semplice critica, anche aspra, non è di per sé sufficiente a integrare il reato, se manca l’elemento della volontà di ledere la reputazione della vittima.
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Differenza tra diffamazione e calunnia
Diffamazione e calunnia sono due fattispecie distinte, sebbene spesso confuse nel linguaggio comune, poiché entrambe riguardano condotte che possono danneggiare la reputazione di un individuo. Questi due reati presentano caratteristiche diverse, sia per quanto riguarda la condotta punibile, sia per quanto concerne l’intento dell’autore del reato e le sanzioni previste.
La calunnia disciplina normativa
La calunnia è disciplinata dall’art. 368 c.p. e si verifica quando qualcuno, sapendo dell’innocenza di un altro, lo accusa falsamente di aver commesso un reato, oppure, simula a suo carico delle prove.
Gli elementi costitutivi della calunnia sono:
- falsa accusa di un reato: la persona calunniata viene ingiustamente accusata di aver commesso un reato che non ha in realtà perpetrato;
- consapevolezza dell’innocenza: l’elemento soggettivo richiesto per la calunnia è il dolo specifico, ovvero la piena consapevolezza da parte dell’accusatore dell’innocenza della persona accusata;
- intento di danneggiare: è necessario che vi sia un’intenzione precisa di mettere in moto un procedimento penale a carico di un innocente.
La calunnia è considerata un reato grave per il sistema penale, poiché comporta la manipolazione della giustizia e l’uso strumentale delle istituzioni per colpire un innocente. Per questo motivo, le pene previste sono severe: reclusione da 2 a 6 anni, aumentata se dal fatto deriva una condanna della persona accusata ingiustamente.
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Caratteri distintivi
Le principali differenze riguardano quindi:
- la natura dell’accusa, che nel caso della diffamazione è rivolta a più persone allo scopo di ledere la reputazione di un soggetto, mentre nella calunnia l’intento e quello di far scattare un procedimento penale ingiusto contro un soggetto;
- l’elemento soggettivo: nella diffamazione è richiesto il dolo generico; nella calunnia, invece, il dolo specifico, ovvero la piena coscienza dell’innocenza della persona accusata e la volontà di danneggiarla mediante un’accusa falsa.
Tipi di diffamazione
Le diverse tipologie di diffamazione rappresentano un grado variabile di lesività per la reputazione della persona offesa e, di conseguenza, differenti livelli di risposta sanzionatoria. La natura del mezzo utilizzato per la comunicazione dell’offesa o l’attribuzione di fatti specifici incidono sulla gravità della condotta e sulle conseguenze giuridiche.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha giocato un ruolo decisivo nell’adattare l’interpretazione del reato alle nuove tecnologie, garantendo un equilibrio tra la libertà di espressione e la tutela della dignità personale. Esaminiamo ora le principali tipologie di diffamazione.
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Diffamazione semplice e aggravata
La diffamazione semplice è la forma più comune del reato e si configura quando una persona offende la reputazione altrui comunicando con almeno 2 persone. Ad esempio, in una riunione aziendale, Tizio afferma davanti ai colleghi che Caio è «un incompetente che non sa fare il suo lavoro,» senza che Caio sia presente.
La diffamazione aggravata si verifica se l’offesa consiste nell’attribuzione di fatti specifici, come la falsa accusa di comportamenti illeciti.
Tale affermazione risulta maggiormente dannosa per la reputazione della persona offesa, ciò giustifica una risposta penale più severa. La giurisprudenza ha ribadito che l’attribuzione di fatti deve essere chiara e precisa per rientrare in questa fattispecie. Ad esempio, durante un evento pubblico, Tizio dichiara davanti ai presenti che Caio «è stato corrotto per ottenere quella promozione,» attribuendogli un comportamento illecito e specifico.
Diffamazione a mezzo stampa
La diffamazione commessa tramite il mezzo della stampa è regolata dal 3°comma dell’art. 595 c.p. e dalla Legge sulla Stampa (legge n. 47 del 1948).
La diffamazione a mezzo stampa si verifica quando l’offesa è pubblicata su giornali, riviste o qualsiasi altro mezzo di diffusione pubblica.
Questo tipo di diffamazione è considerato particolarmente grave a causa della potenziale ampia diffusione delle affermazioni lesive. La legge prevede specifiche responsabilità per i direttori delle testate giornalistiche che consentono la pubblicazione di contenuti diffamatori, rispondendo del reato per omesso controllo, se non ha adeguatamente vigilato sui contenuti pubblicati.
Diffamazione a mezzo social network
Le piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram, e simili, consentono la potenziale diffusione di contenuti lesivi a una vasta platea di utenti, il che integra l’elemento oggettivo del reato di diffamazione.
Il mezzo social costituisce un’aggravante della pena, poiché si considera il mezzo di comunicazione come uno strumento di pubblicità capace di amplificare l’impatto lesivo dell’offesa.
Diffamazione tramite altri mezzi di comunicazione
Messaggi e comunicazioni private inviati tramite e-mail, chat di gruppo o altre applicazioni di messaggistica possono integrare il reato di diffamazione se raggiungono un numero di destinatari sufficiente a considerare l’offesa diffusa.
La diffamazione può anche avvenire tramite atti pubblici, ad esempio durante una riunione o un’assemblea. In questi casi, la comunicazione dell’offesa assume una dimensione pubblica, che può aggravare la responsabilità dell’autore del reato.
Quando si procede alla querela per diffamazione?
La diffamazione è un reato perseguibile a querela di parte. Questo significa che la persona offesa dovrà presentare la querela affinché si avvii il procedimento penale. Infatti, la querela è l’atto formale mediante il quale la vittima manifesta la volontà che l’autore del reato venga perseguito penalmente. La querela deve essere presentata presso una Procura della Repubblica, un ufficio di Polizia Giudiziaria, o direttamente alle Forze dell’Ordine (Carabinieri o Polizia).
Affinché una querela per diffamazione sia valida e possa avviare un procedimento penale, è necessario che siano presenti alcuni requisiti:
- sussistenza del reato: l’atto denunciato deve integrare gli estremi della diffamazione, ovvero, la persona offesa deve essere in grado di dimostrare che l’offesa alla propria reputazione è stata comunicata a più persone e che tale comunicazione è avvenuta in sua assenza;
- identificazione del soggetto attivo: la querela deve identificare o comunque permettere di identificare il soggetto ritenuto responsabile delle affermazioni diffamatorie. In caso di diffamazione a mezzo social, ad esempio, è utile raccogliere screenshot o altre prove digitali che possano risalire all’autore del commento o del post lesivo;
- prove della diffusione: è opportuno allegare alla querela elementi di prova che possano attestare la diffusione delle affermazioni lesive, come la copia di un articolo diffamatorio, registrazioni di dichiarazioni, o screenshot di messaggi.
Tempistiche per la presentazione della querela
La querela per diffamazione deve essere presentata entro il termine di 3 mesi dal giorno in cui la persona offesa ha avuto conoscenza del fatto che costituisce reato. Termine stabilito dall’art. 124 del c.p. che disciplina i reati procedibili a querela. Superato questo termine, il diritto di querela si estingue per decadenza del termine, e non sarà più possibile avviare l’azione penale per il reato di diffamazione.
La decorrenza del termine può variare in base alla modalità con cui l’offesa è stata scoperta. Ad esempio, nel caso di una diffamazione pubblicata su un giornale, il termine di tre mesi decorre dal giorno in cui l’interessato ha preso visione dell’articolo. Nella diffamazione a mezzo social, il termine inizia dal momento in cui la vittima viene a conoscenza del post offensivo.
Sanzioni e pene previste
Per la diffamazione semplice è prevista una pena fino a un anno di reclusione o multa fino a 1.032 euro. Se l’offesa è di minore entità, il giudice può applicare una pena inferiore nel rispetto dei principi generali del diritto penale. In particolare, il giudice fa riferimento all’art. 133 c.p, che considera la gravità del fatto e la personalità del reo.
Nel caso di diffamazione aggravata la pena edittale prevista è più severa, con la reclusione fino a 2 anni o multa fino a 2.065 euro. La diffamazione commessa tramite la stampa o altri mezzi di pubblicità prevede una pena da 6 mesi a 3 anni di reclusione o multa non inferiore a 516 euro.
La possibilità di risarcimento del danno
Oltre alle sanzioni penali, il soggetto diffamato può agire in sede civile per ottenere un risarcimento del danno. L’art. 2043 c.c. prevede che chiunque cagioni ad altri un danno ingiusto sia tenuto a risarcirlo.
In caso di diffamazione, la vittima può chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali, che includono eventuali perdite economiche subite a causa della lesione della propria reputazione, e dei danni non patrimoniali, come il danno morale e il danno all’immagine.
Condotte riparatorie e attenuanti
In alcuni casi, il giudice può tenere conto delle condotte riparatorie dell’autore del reato per ridurre la pena. Ad esempio, scuse pubbliche o la rimozione tempestiva di contenuti offensivi possono essere considerate come circostanze attenuanti generiche.
Tuttavia, tali condotte non esonerano automaticamente l’autore dalla responsabilità penale, ma possono contribuire a una valutazione più favorevole nel processo.
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Esempi concreti di diffamazione
Gli esempi concreti ci offrono dimostrazione di come la giurisprudenza, al riguardo della diffamazione, cerchi di bilanciare la tutela della reputazione con la libertà di espressione.
Diffamazione a mezzo stampa: il ruolo del giornalista
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5107 del 2016, ha confermato la condanna di un giornalista che, in un articolo di stampa, aveva attribuito a un noto imprenditore comportamenti fraudolenti senza basi probatorie concrete. La Corte ha sottolineato che la critica giornalistica deve rispettare i limiti della verità dei fatti e della continenza espressiva, pena la configurazione del reato di diffamazione.
La giurisprudenza ha più volte ribadito che la libertà di stampa, tutelata dall’art. 21 Cost., trova un limite nella tutela della reputazione altrui. La critica giornalistica è lecita se rimane nei confini della verità e della pertinenza, mentre l’uso di espressioni eccessive e gratuite integra la diffamazione.
Diffamazione attraverso la comunicazione privata: chat e messaggi
Un altro esempio concreto è un caso di diffamazione avvenuta tramite un gruppo WhatsApp, in cui l’imputato aveva inviato messaggi denigratori nei confronti di un collega. La Corte ha stabilito che il fatto che il gruppo fosse costituito da diversi membri fosse sufficiente a configurare il reato di diffamazione, poiché i messaggi erano accessibili a una pluralità di destinatari (Cass. sent. n. 34105/2019).
Diffamazione a seguito di recensioni negative
La Corte di Cassazione (sent. n. 16712/2019) ha confermato la condanna per diffamazione nei confronti di un utente che aveva lasciato una recensione denigratoria su un ristorante, accusandolo di comportamenti scorretti nei confronti della clientela senza alcuna prova.
La Corte ha evidenziato che, pur essendo legittimo esprimere critiche, queste devono essere basate su fatti veritieri e non devono sfociare in insulti gratuiti. Il diritto di critica è riconosciuto come espressione della libertà di pensiero, purché non si traduca in un attacco alla dignità e alla reputazione altrui.
Diffamazione sui social network
La diffamazione su Facebook è stata oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. sent. n. 24431 del 2015). Nel caso concreto, un utente aveva pubblicato un commento offensivo su un ex collega, diffondendo senza prove, accuse infondate e lesive della sua reputazione professionale.
La Cassazione ha stabilito che un post su Facebook, anche su un profilo personale, può costituire diffamazione aggravata, dato il potenziale di diffusione ampia e pubblica dei contenuti. La sentenza ha ribadito la responsabilità legale degli utenti nei commenti pubblicati online.
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