Dopo l’ok da parte della Germania, l’Italia è l’unico tra i Paesi membri dell’Ue che non ha ratificato la riforma del Mes, il vecchio strumento d’austerità europeo: perché e cosa può succedere.
Ancora una volta si torna a parlare di Mes. Il Meccanismo europeo di stabilità, il vecchio strumento d’austerity europea che aveva contribuito a mettere in difficoltà le Grecia dopo la crisi dei debiti sovrani del 2011, è stato riformato dall’Ue. Gli Stati membri, quindi, dall’inizio di quest’anno sono chiamati a ratificare le nuove regole. L’unica a non averlo fatto è l’Italia.
Attenzione: qui non si parla di chiedere i soldi in prestito all’Ue, in cambio di potenziali condizioni stringenti per la nostra economia. Insomma, non sono sul tavolo i 36 miliardi di euro che Italia Viva e Matteo Renzi spingevano per prendere quando cadde il governo Conte II. Qui si tratta di accettare o meno una riforma sul funzionamento dello strumento, negoziata quando in Italia c’era il governo Conte I, con il rischio, qualora non lo si facesse, di rimanere isolati in Europa.
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Cos’è il Mes e come ha funzionato fino ad oggi
Il Meccanismo europeo di stabilità è lo strumento che ha sostituito quel Fondo europeo salva-Stati che, dopo la crisi economica globale del 2007-2008, ha dato una mano i paesi a rischio default con miliardi di euro, ma a fronte di riforme d’austerità con tagli alla spesa pubblica.
Si tratta quindi di un’organizzazione intergovernativa dei 19 membri dell’Eurozona, nata nel 2012, con l’obiettivo di aiutare i paesi in difficoltà economica che non riescono a trovare soldi sul mercato. Il Mes viene finanziato da tutti e 19 gli Stati, con una dotazione di 80 miliardi, di cui 14 dall’Italia. Emettendo titoli con la garanzia dei 19, però, il Mes può raccogliere sui mercati fino a 700 miliardi. Secondo le regole attuali i soldi possono essere prestati con due linee di credito: quella condizionale precauzionale (Pccl) e quella soggetta a condizioni rafforzate (Eccl).
La prima aiuta i paesi che l’organizzazione ritiene solidi, con condizioni “soft” (quali: deficit e debito sotto controllo, facilità a finanziarsi sui mercati negli anni precedenti e l’assenza di problemi di solvenza del sistema bancario). La seconda va in soccorso di chi è più in difficoltà e prevede condizioni “strong”, cioè “misure correttive tali da evitare problemi futuri per l’accesso al finanziamento sul mercato”.
In cosa consiste la riforma del Mes
L’Unione europea ha approvato una riforma che elimina le prime condizionalità, sostituite dal solo rispetto del nuovo Patto di Stabilità e modifica le clausole più restrittive. Fa discutere, tuttavia, la questione ristrutturazione del debito. Se il board direttivo del Mes, il cui potere viene in parte rafforzato, non ritenesse sostenibili i debiti degli Stati, potrebbe richiedere una ristrutturazione come condizione obbligatoria per accedere al prestito, valutando l’opzione con la Commissione europea.
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In caso di ristrutturazione, che in questo caso sarebbe semplificata e quasi immediata tramite la modifica delle Clausole d’azione collettiva, uno Stato non ripaga più tutti i suoi debiti ai creditori. Questo potrebbe far scendere drasticamente la fiducia dei mercati e far salire alle stelle i tassi di interesse. Insomma per noi il rischio è l’esplosione dello spread, con lo spettro del default in caso di assoluta emergenza.
La riforma non prevede un meccanismo automatico di ristrutturazione, ma solo la discrezionalità nel valutare la sostenibilità del debito da parte del Mes e della Commissione europea. In ogni caso l’Italia controlla il 17% del board del Mes e può bloccare le decisioni discrezionali. La ristrutturazione, pertanto, può diventare un vero pericolo solo se inserita nel Memorandum d’Intesa “strong”. Ma comunque dovrebbe essere sempre l’Italia a fare richiesta del prestito.
Il meccanismo salva-banche
Il nuovo Mes si lega poi al Fondo di risoluzione unico (Fsr), finanziato dalle banche degli Stati dell’Eurozona, con l’obiettivo di risolvere le crisi bancarie. Se il Fondo finisce i fondi a disposizione, il Mes può prestare fino a 55 miliardi per salvare gli istituti bancari.
Riforma del Mes, perché il governo Meloni è contro e cosa rischia
Il governo Draghi aveva preparato un testo di legge per ratificare la riforma, ma ora tutto è stato bloccato. In particolare nella maggioranza protestano Lega e Forza Italia. Secondo il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, si tratterebbe di una riforma “poco europeista”, soprattutto per “il mancato controllo di chi guida il Mes da parte del Parlamento europeo”. Per questo ci sono “riserve da parte della maggioranza”.
In effetti lo scorso 30 novembre è stata approvata una mozione parlamentare che impegna il governo a “non varare il disegno di legge di ratifica del Mes alla luce dello stato dell’arte della procedura in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo”.
Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti stanno prendendo tempo: di sicuro firmare una riforma su uno strumento da sempre osteggiato dal centrodestra potrebbe essere visto male da parte dell’elettorato, ma non si vuole rischiare di rimanere ulteriormente isolati in Europa. Il momento economico è difficile e le distanze con alcuni Paesi, in primis la Francia, sono già tante. Uno scenario che l’Italia non può permettersi se vuole avere spazi di bilancio, non inimicandosi la Commissione europea, che finora è stata tutto sommato morbida con l’esecutivo.
La linea di Palazzo Chigi, quindi, potrebbe essere quella di ratificare la riforma chiedendo contemporaneamente all’Ue nuove regole meno restrittive nel Patto di Stabilità del 2023, con la promessa agli italiani di non chiedere mai un prestito al Mes.
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