Riscatto contributi lavoro part-time: conviene davvero? Non sempre, ma in alcuni casi è sicuramente un buon modo per garantirsi l’accesso alla pensione.
L’articolo 8 del d.lgs 564/1996 ha introdotto lo strumento del riscatto dei periodi di non attività connessi a rapporti di lavoro prestato con contratto di lavoro par-time, sia esso di tipo verticale, orizzontale o ciclico.
Si tratta di uno strumento importante in quanto consente di aumentare i contributi utili ai fini della pensione. Un’operazione conveniente specialmente quando grazie al riscatto si maturano i contributi necessari per l’accesso alla pensione, senza dimenticare poi che questi sono anche utili per aumentare l’importo dell’assegno futuro.
I motivi per cui una persona decide di riscattare i contributi per i periodi di lavoro part-time, quindi, possono essere differenti. E a seconda dei casi si tratta di un’operazione più o meno conveniente. Vediamo a tal proposito cosa stabilisce la normativa.
Contributi part-time orizzontale e verticale: nessuna differenza ai fini della pensione
Con il contratto part-time l’orario di lavoro è inferiore alle 40 ore settimanali indicate dalla legge.
In particolare, si parla di part-time orizzontale quando la riduzione di orario avviene su ogni singola giornata di lavoro. Ad esempio, anziché essere impiegato per 8 ore in 5 giorni a settimana, il lavoratore è impiegato in appena 5 ore sempre su 5 giorni a settimana, con un orario di lavoro dunque di 25 ore settimanali.
Si parla di part-time verticale, invece, quando nel contratto viene stabilito che l’attività lavorativa viene sì svolta a tempo pieno, ma solamente in alcuni periodi della settimana, del mese o dell’anno. Si pensi, ad esempio, a un lavoratore impiegato per 40 ore a settimana ma solo per 2 settimane ogni mese.
A tal proposito, è importante sottolineare che sia i contributi per i periodi di part-time orizzontale che quelli per il part time verticale sono interamente validi ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione, ma solamente quando raggiungono il minimale annuo previsto.
Fino a qualche anno fa, in realtà, ciò valeva solamente per il part-time orizzontale, salvo poi l’intervento dell’articolo 1, comma 350, della legge n. 178/2020 (legge di Bilancio 2021), dove si legge che “il periodo di durata del contratto di lavoro a tempo parziale, che prevede che la prestazione lavorativa sia concentrata in determinati periodi, è riconosciuto per intero utile ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa per l’accesso al diritto alla pensione”.
Come detto sopra, però, l’anno è considerato per intero ai fini della pensione solo al raggiungimento del minimale retributivo. Secondo la normativa, infatti, per poter ottenere un accredito pensionistico pieno è necessario aver avuto una retribuzione almeno pari al 40% del trattamento minimo di pensione in vigore all’1 gennaio dell’anno di riferimento.
Nel 2022 questo è pari a 524,34 euro, quindi la retribuzione settimanale deve essere almeno pari a 209,73 euro, 10.906,27 euro annui. Non raggiungendo questa soglia, un intero anno lavorato non verrà considerato come tale ai fini pensionistici in quanto viene effettuata una riduzione proporzionale a quanto versato.
Prendiamo come esempio un lavoratore con contratto part-time al 50% con retribuzione annua di 6.000 euro. Dividendo per 52 settimane, ne risulta una retribuzione settimanale di 115,38 euro.
A questo punto basta risolvere la seguente proporzione:
209,73 : 52 = 115,38 : X
Dove X è il numero di settimane contributive riconosciute dall’Inps per l’anno di lavoro con contratto part-time. Nel caso specifico, dunque, ai fini contributivi non vengono riconosciute 52 settimane, bensì solamente 28.
Diversamente, quando il minimale contributivo viene raggiunto, l’anno di lavoro con part-time, sia orizzontale che verticale, viene considerato per intero ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione. Per il calcolo dell’assegno, invece, si tiene conto esclusivamente dei contributi versati.
Come integrare i contributi versati per il part-time
A questo punto, è ovvio che quando la retribuzione percepita è inferiore al minimale retributivo è interesse del lavoratore versare la contribuzione mancante per far sì che l’anno di lavoro part-time possa essere considerato interamente.
Ciò è possibile attraverso due strumenti:
- il riscatto dei contributi, come stabilito dalla riforma Dini del 1995, ma solo per i periodi di part-time orizzontale successivi al 1° gennaio 1996;
- il versamento volontario dei contributi, strumento accessibile solamente a coloro che vantano almeno un anno di contribuzione obbligatoria.
È bene sottolineare, però, che l’autorizzazione al versamento volontario dei contributi deve essere richiesta entro i 12 mesi successivi alla scadenza ordinaria del termine per la consegna della certificazione unica riferita all’anno di lavoro che si vuole “integrare”. Visto che il termine di consegna della certificazione unica è il 15 marzo, ne risulta che l’autorizzazione per il versamento volontario dei contributi per il lavoro part-time svolto nel 2022 andrà richiesta entro marzo 2024.
C’è tempo, dunque, fino a marzo 2023 per il versamento volontario per il part-time svolto nel 2021, mentre per il 2020 il termine ormai è scaduto e l’unica possibilità è quella di ricorrere al suddetto riscatto.
Riscattare o versare volontariamente i contributi per i periodi part-time conviene?
Entrambe le suddette operazioni, sia il riscatto che il versamento volontario dei contributi, hanno un costo. Per questo motivo prima di scegliere se approfittare di questi due strumenti è bene fare una riflessione.
Sicuramente ricorrere a l’uno o l’altro può essere conveniente quando con i soli contributi versati non si riesce a raggiungere il requisito contributivo minimo previsto dalla legge per l’accesso alla pensione. Ad esempio, se un lavoratore all’età di 67 anni non ha raggiunto i 20 anni di contributi utili per l’accesso alla pensione di vecchiaia, può sicuramente prendere in considerazione l’idea di riscattare gli anni di lavoro part-time qualora ciò sia sufficiente per arrivare al suddetto obiettivo.
Prendiamo come esempio un lavoratore che per 20 anni è stato impiegato part-time con una retribuzione annua inferiore al minimale fissato dall’Inps. A questo non verranno riconosciuti 20 anni di contributi, a meno che appunto non ricorrerà al riscatto.
In questo caso l’onere sostenuto è sicuramente conveniente, in quanto consente non solo di aumentare la pensione futura ma anche di raggiungere il diritto alla stessa che altrimenti gli sarebbe stata negata.
Diversamente, ossia qualora si voglia ricorrere al riscatto, o al versamento volontario, per il lavoro part-time solo per aumentare l’importo della pensione, in quanto si dispone già dei contributi sufficienti per andarci, l’operazione potrebbe non essere così conveniente viste le regole di calcolo applicate nel contributivo. Forse meglio orientarsi su altre forme d’investimento, come può essere l’iscrizione a un fondo per la pensione integrativa.
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