Salario minimo, in Italia è dibattito nella maggioranza: ma serve davvero al nostro Paese? Facciamo chiarezza.
Infiamma il dibattito sull’introduzione del salario minimo in Italia, con il mondo della politica che è spaccato tra favorevoli e contrari alla misura che di fatto rivoluzionerebbe il modo di decidere gli stipendi dei lavoratori.
Una misura molto diffusa in Europa: su un totale di 27 Paesi dell’Unione Europea, infatti, sono solamente 6 (tra cui appunto figura anche l’Italia, insieme ad Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia) quelli che non hanno adottato una legge sul salario minimo. Da noi se ne parla da qualche anno, da quando c’è stata la presentazione del ddl Catalfo per l’introduzione di un salario minimo da 9 euro l’ora; disegno di legge che tuttavia è bloccato in Parlamento con pochissime possibilità di essere approvato in questa legislatura.
C’è chi ritiene che il salario minimo in Italia sarebbe inutile, chi invece ritiene che si tratti di un passaggio necessario affinché tutti i lavoratori possano godere di una maggior tutela.
Ma cosa si intende per salario minimo e quali sarebbero effettivamente le conseguenze di una sua introduzione in Italia? Si tratterebbe davvero di una misura “inutile” come sostengono alcuni? Facciamo chiarezza su quello che è uno dei temi caldi su cui sembra scontrarsi la maggioranza.
Salario minimo
Cos’è il salario minimo
Il salario minimo è l’ammontare di retribuzione minima tutelata dalla legge. Con una tale misura, dunque, sarebbe la legge a fissare una soglia minima di stipendio, che potrebbe essere uguale per tutti o variare in base ai singoli settori (come succede, ad esempio, in Germania), senza possibilità per i datori di lavoro di discostarsi da questa.
Solitamente il salario minimo viene quantificato come retribuzione oraria: ad esempio, nel ddl Catalfo viene fissata una soglia minima di 9 euro per ogni ora di lavoro.
Come viene deciso lo stipendio minimo in Italia
“Il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali”; così il ministro Brunetta ha bocciato tale misura, sottolineando che in Italia non c’è necessità d’introdurre un salario minimo visto che c’è già un sistema che tende a fissare una retribuzione base per ogni settore, alla quale ogni datore di lavoro deve adeguarsi.
Come viene deciso lo stipendio minimo in Italia? Tramite la concertazione, attraverso quelli che sono gli accordi collettivi che fissano la paga minima nei settori in cui questi vengono adottati. In nessun caso è possibile scendere sotto la soglia fissata nell’accordo collettivo, al massimo con il contratto individuale si possono prevedere delle maggiori tutele per il dipendente, ma mai uno stipendio più basso di quello indicato nell’accordo collettivo.
Questo sistema funziona davvero?
Il problema è che in Italia c’è una moltitudine di accordi collettivi e controllarli tutti è pressoché impossibile. È vero che ci sono i Ccnl nati dall’accordo tra i più rappresentativi sindacati di categoria e le associazioni datoriali, ma è anche vero che oltre a questi ci sono altri accordi che in molti casi prevedono cifre inferiori rispetto a quelle dettate dai contratti collettivi nazionali.
In totale, sono 985 i contratti vigenti in Italia e ciò rende - come spiegato dal consigliere del Cnel Claudio Lucifora - impossibile calcolare qual è la percentuale di copertura dei singoli contratti collettivi nazionali, né tantomeno verificare quali imprese adottano dei contratti dove la paga minima è inferiore a quella indicata dai suddetti Ccnl.
Perché l’introduzione del salario minimo è importante in Italia
Proprio per questo motivo l’introduzione del salario minimo in Italia rappresenta un passaggio obbligato per far sì che tutti i lavoratori dello stesso settore siano tutelati nel medesimo modo.
Perché è vero che i Ccnl prevedono le stesse tutele e in molti casi fissano cifre persino superiori al salario minimo, ma non si possono dimenticare gli altri accordi collettivi, alcune volte sottoscritti da sigle sindacali minori (e persino fittizie), dove gli stipendi sono decisamente più bassi.
Quindi, o si va a limitare il numero di contratti collettivi, riducendoli ai soli accordi nazionali, oppure una legge sul salario minimo sarebbe l’unica possibilità per far sì che ogni lavoratore guadagni una cifra adeguata.
Chi vuole l’introduzione del salario minimo e chi no
Del ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ne abbiamo già parlato: è contrario all’introduzione del salario minimo, convinto che bastino gli accordi collettivi per far sì che tutti guadagnino quanto dovrebbero.
Non sono dello stesso parere il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, e quello del Partito Democratico, Enrico Letta, entrambi convinti che l’introduzione del salario minimo sia un passaggio fondamentale per la tutela di tutti i lavoratori. E anche il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ritiene che i tempi siano maturi per l’approvazione di una legge che fissi un salario minimo anche in Italia.
Anche le parti sociali sembrano concordare sul salario minimo, ma - come sottolineato dal segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri - a patto che questo non si sostituisca ai contratti nazionali.
Dello stesso parere Ignazio Visco, governatore di Banca d’Italia, il quale però spiega che semmai dovesse esserci una legge sul salario minimo sarà necessario studiarla bene, evitando gli automatismi. Perché un salario minimo eccessivo potrebbe anche portare a limitare le assunzioni, persino di quelle persone “che potrebbero invece voler lavorare al di sotto di quel livello”.
Più o meno dello stesso parere Giancarlo Giorgetti (Lega), ministro per lo Sviluppo economico, il quale ritiene che “il tema dei salari è un problema che va affrontato”, ma bisogna prestare attenzione a non aggiungere un ulteriore costo sulle aziende, in quanto ne hanno già molti. Bene il salario minimo, specialmente se la priorità è il recupero del potere di acquisto, ma con un occhio alle aziende.
Lato aziende, si è espresso Maurizio Stirpe, vicepresidente di Confindustria. “Non avremmo nulla in contrario, ma a delle condizioni”:
- il salario minimo dovrà essere fissato come percentuale compresa tra il 40 e il 60% del salario mediano;
- questo non dovrà essere confuso con la retribuzione proporzionale e sufficiente dell’articolo 36 della Costituzione;
- dovrà operare per tutti i contratti, e non solo dove manca la contrattazione collettiva.
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C’è dunque un problema lato aziende da considerare, visto che l’introduzione del salario minimo andrebbe ad aumentare i costi laddove fino a oggi le retribuzioni sono state inferiori a quella che sarebbe la soglia fissata per legge.
E ciò potrebbe avere conseguenze sul tasso di occupazione, limitando le assunzioni, con il possibile aumento degli accordi in nero.
Serve dunque fare in modo che un salario minimo possa non incidere sui costi aziendali: come? Ad esempio attuando un ulteriore taglio del cuneo fiscale, riducendo le tasse sul lavoro. Anche questo, d’altronde, è un tema caldo su cui sono in atto dei dibattiti nella maggioranza.
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