In quali casi può essere licenziato un dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato? Ecco un elenco.
Spesso si commette l’errore di pensare che il contratto a tempo indeterminato sia sinonimo di sicurezza per il lavoratore. Eppure è bene essere consapevoli che si può essere licenziati con contratto a tempo indeterminato e che, paradossalmente, in alcuni casi è persino più semplice rispetto a chi è assunto con contratto a tempo determinato.
Sono diverse le circostanze che possono portare al licenziamento di lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato, mentre per i lavoratori con contratto a termine generalmente l’unica ragione ammessa per lo scioglimento unilaterale del contratto è quella in cui sussiste la giusta causa.
Se quindi si parla di “posto fisso” con il contratto a tempo indeterminato è solo perché in questo caso non c’è una scadenza naturale del contratto; in assenza di quelle circostanze che possono portare al licenziamento, con il lavoratore che volendo ha comunque la possibilità di impugnarlo, il rapporto di lavoro può proseguire fino al momento della pensione. Ecco perché quindi il contratto a tempo indeterminato è essenziale quando ad esempio si richiede un mutuo, per quanto comunque questo non sia garanzia assoluta della conservazione del posto di lavoro in qualsiasi circostanza.
Fatta chiarezza sul fatto che si può essere licenziati con contratto a tempo indeterminato vediamo quando ciò è possibile, analizzando le situazioni in cui il lavoratore può perdere il proprio posto.
Quando si può essere licenziati dal contratto a tempo indeterminato
Il contratto a tempo indeterminato, come si può intuire dal nome, non presenta tra le possibili cause di scioglimento il raggiungimento di un certo termine. La durata del rapporto è quindi indefinita, lasciando comunque alle parti - azienda e lavoratore - la possibilità di sciogliere unilateralmente il contratto.
Tuttavia, se da una parte il lavoratore può dimettersi senza che ne sussista alcun motivo, a patto di rispettare un periodo di preavviso, dall’altra l’azienda può licenziare solo in presenza di una delle ragioni riconosciute dalla normativa.
Nel dettaglio, sono tre le macro categorie che racchiudono le motivazioni che possono comportare un licenziamento di un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato: la giusta causa, il giustificato motivo soggettivo e il giustificato motivo oggettivo. In ognuna di queste tre categorie figurano diverse fattispecie di licenziamento: da quello disciplinare a quello economico, come pure il licenziamento per impossibilità temporanea della prestazione lavorativa.
È vietata qualsiasi altra ragione che non rientra tra i suddetti parametri: ad esempio non può essere licenziato un lavoratore per motivi religiosi, come pure per il proprio orientamento sessuale. Il licenziamento discriminatorio è infatti facilmente impugnabile, con il lavoratore che oltre al reintegro ha anche diritto a un’indennità risarcitoria.
Ricordiamo poi che anche laddove ci siano le motivazioni per giustificare il licenziamento, l’azienda è comunque chiamata a osservare un periodo di preavviso (eccetto laddove sussista la giusta causa). Ciò significa che dalla notifica del licenziamento all’ultimo giorno di lavoro deve trascorrere un certo periodo di tempo, commisurato all’anzianità e al ruolo in azienda, come definito dal Contratto collettivo del lavoro.
Esempi di licenziamento nel contratto a tempo indeterminato
A questo punto possiamo vedere più nello specifico quali sono le motivazioni in cui un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato può essere licenziato. Partiamo dalla prima macrocategoria, quel licenziamento per giusta causa che legittima anche il licenziamento in tronco (quindi senza obbligo di osservare il periodo di preavviso).
Rientrano in questo insieme i licenziamenti disciplinari, ossia tutti quei casi talmente gravi in cui si rompe il rapporto di fiducia tra lavoratore e azienda a tal punto da impedire la prosecuzione dell’attività lavorativa anche solo per una giornata. Il lavoratore deve quindi rendersi colpevole di un fatto molto grave, come ad esempio può essere:
- furto in azienda;
- comportamento violento nei confronti del datore o dei colleghi;
- molestie;
- violazione della privacy;
- concorrenza sleale e violazione dell’obbligo di fedeltà;
- falsificazione dell’orario di servizio (si pensi ad esempio ai “furbetti del cartellino”);
- vendita dei segreti aziendali;
- grave negligenza, ad esempio nel mancato rispetto delle norme per la sicurezza sui luoghi di lavoro;
- abuso delle tutele riconosciute nei periodi di malattia (ad esempio falsa malattia, oppure aver pregiudicato una pronta guarigione attraverso una condotta non ammessa), come pure durante i periodi di congedo o assistenza riconosciuta ai sensi della legge n. 104 del 1992.
Solitamente quindi si parla di licenziamento disciplinare. Tuttavia, può configurarsi come tale anche il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, per quanto in questi casi si tratti di situazioni meno gravi (tanto che l’obbligo di preavviso va comunque osservato). Semplicemente il lavoratore ritiene che per cause dipendenti dal lavoratore questo non è idoneo a proseguire il rapporto di lavoro come definito dal contratto; sarà questo comunque a dover dimostrare la gravità della motivazione alla base del licenziamento.
Ad esempio, tra i motivi che possono configurarsi come licenziamento per giustificato motivo soggettivo troviamo:
- lo scarso rendimento del lavoratore;
- violazione, non grave a tal punto da far scattare la giusta causa, degli obblighi contrattuali (come nel caso di reiterati ritardi sul lavoro);
- comportamento incompatibile con le esigenze aziendali (si pensi a un lavoratore che si rifiuta di collaborare con i colleghi, oppure che rifiuta sistematicamente le commesse aziendali).
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo può essere anche una somma tra tutti questi fattori, con l’azienda che quindi deciderà in favore dell’interruzione unilaterale del rapporto.
Si parla invece di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nei casi in cui le ragioni dipendono perlopiù da decisioni prese dall’azienda. Nel pieno rispetto dell’articolo 41 della Costituzione che sancisce il diritto di libertà dell’attività economica, ogni azienda è libera di adottare quelle decisioni necessarie a garantire la prosecuzione dell’attività e la sua crescita. Il problema è che in alcuni casi queste possono impedire il proseguimento dell’attività da parte di alcuni lavoratori. A tal proposito, si parla di licenziamento per giustificato motivo oggettivo quando:
- viene chiuso (o comunque esternalizzato) un settore produttivo e i lavoratori che ne erano impiegati non possono essere impiegati altrove;
- licenziamento per ragioni economiche, laddove l’azienda stia attraversando un momento di crisi e abbia necessità di licenziare un certo numero di persone.
Ma rientrano nel giustificato motivo oggettivo anche i licenziamenti ai danni di quei lavoratori che per ragioni oggettive non possono più prestare la loro attività. Si pensi ad esempio a un autista a cui viene ritirata la patente, oppure a una guardia giurata armata a cui vuole tolto il porto d’armi. Come pure a chi ha una malattia talmente grave da impedire il ritorno al lavoro una volta superato il periodo di comporto.
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