Capire come potremmo affrontare la prossima crisi finanziaria - e superarla - non è affatto semplice.
Se dovesse davvero arrivare un’altra crisi finanziaria nei prossimi 10 anni, saremo capaci di uscirne fuori? Quale potenza avrà l’effetto domino a livello mondiale?
Partiamo dall’analizzare il passato, indagando su quali siano le differenze e le analogie con l’oggi, ipotizzando così i possibili scenari futuri.
Sono ormai passati 15 anni dalla crisi finanziaria del 2008. I Paesi occidentali hanno messo in campo diverse strategie - solide ed efficaci, perlomeno sulla carta - che comprendono nuove regolamentazioni e nuovi controlli sul fronte della conformità.
Ne è un esempio il recente fallimento delle statunitense Silicon Valley Bank il cui contagio, nonostante gli errori enormi del management e l’incapacità di gestire il rischio legato ai tassi - è stato senza dubbio contenuto.
Ma il futuro è davvero così sicuro come sembra?
Siamo davvero preparati alla prossima crisi finanziaria?
Come riporta il Financial Times, rilassarsi troppo potrebbe non essere una buona idea. Di recente, alcuni storici della finanza della London School of Economics hanno evidenziato il ruolo cruciale della memoria storica e dell’egemonia politica in campo finanziario.
La memoria è un fattore essenziale per ogni essere umano, che interpreta il rischio attraverso la lente di ingrandimento delle “narrazioni”, per citare Robert Shiller, economista considerato il padre della finanza comportamentale.
Tuttavia, la memoria è ben lontana dall’essere stabile e duratura. Il crisi del 1929, oggi, non suscita emozioni univoche. Ormai la totalità della popolazione oggi ne ha solo sentito parlare e non l’ha vissuta sulla propria pelle.
E la stessa sorte potrebbe capitare anche alla memoria della crisi del 2008.
Youssef Cassis e Bruno Pacchiotti, economisti presso l’Istituto Universitario Europeo, hanno condotto un sondaggio intervistando 150 top manager finanziari, scoprendo che tre quarti di loro descrivono la crisi come un evento traumatico - tanto che la metà degli intervistati afferma che il suo ricordo influenza ancora oggi le politiche di gestione del rischio delle loro aziende. Un terzo afferma che quella crisi guida gli odierni modelli di business.
Due terzi dei top manager ritengono che i regolatori abbiano fatto bene a introdurre delle pesanti riforme finanziarie dopo il 2008 — e quattro su cinque vogliono che queste vengano mantenute, poiché «i mercati hanno la memoria corta e le nuove generazioni reinventano vecchie consuetudini», come ha spiegato uno dei partecipanti.
Ma lo stesso sondaggio ci dice anche che due terzi di questi banchieri lavorano nella finanza da più di 10 anni e quasi la metà da oltre 15 anni. Quindi, dato che le carriere nella finanza sono generalmente più brevi della media, i ricordi diretti della crisi non “sopravviveranno per altri 15 anni”, affermano Cassis e Pacchiotti.
La domanda cruciale, quindi, è: cosa accadrà nel 2030? La memoria riuscirà davvero a sopravvivere? I più giovani saranno pronti ad ascoltarla ed accoglierla?
Il nodo geopolitico
Come ignorare poi la questione geopolitica.
Secondo uno studio dell’economista Elise Brezis, riportato dal Financial Times, c’è una diretta correlazione tra crisi finanziaria e periodi di egemonia geopolitica.
Quando le crisi finanziarie scoppiano in un’epoca di egemonia - ovvero quando un Paese o un sistema economico è dominante rispetto agli altri - questo può usare il suo potere politico e monetario per contenere gli shock, proprio come è successo con l’impero britannico nel XIX secolo e con il sistema economico liberale del XX secolo guidato dagli Stati Uniti.
Ma quando l’equilibrio del potere è contestato, i Paesi iniziano a combattere con armi monetarie e politiche e diventa molto più difficile fermare il contagio, basti pensare a quanto è successo negli anni tra prima e la seconda Guerra Mondiale. Brezis teme possa ripetersi la stessa situazione, alla luce delle continue sfide contro il potere statunitense, l’aumento dei debiti nazionali e la minaccia di guerre del capitale.
Qualcuno potrebbe argomentare contro questa tesi, affermando che la finanza di oggi è più evoluta e maggiormente protetta. E potrebbe anche avere ragione.
Comunque andrà, un punto rimane chiaro: siamo tutti chiamati a ricordare il passato per cercare di capire cosa capiterà in futuro, soprattutto nel caso in cui le tensioni geopolitiche dovessero aumentare.
Se dovesse esplodere una crisi finanziaria in Cina, G7 e FMI riuscirebbero davvero a mettere in campo una risposta coordinata contro il contagio, proprio come abbiamo visto negli anni ’90 o nel 2008? E in caso contrario, chi potrebbe riuscirci?
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