Gli stipendi stanno per aumentare, l’Europa ci obbliga

Simone Micocci

27/05/2022

L’Unione Europea potrebbe intervenire laddove il Governo Draghi è fallito: aumentare gli stipendi, almeno per quei lavoratori che oggi risultano sottopagati.

Gli stipendi stanno per aumentare, l’Europa ci obbliga

Nulla da fare per la legge sul salario minimo in Italia, almeno per questa legislatura. Nonostante le richieste avanzate da diversi eperti, dalla sociologa Chiara Saraceno al direttore Lavoro dell’Ocse Stefano Scarpetta, fino all’ex Presidente dell’Inps Tito Boeri, non sono stati fatti passi avanti per quella che sarebbe stata una mossa importante per tutelare il potere di acquisto dei lavoratori, specialmente adesso che gli stipendi si stanno corrodendo a causa dell’inflazione.

L’Italia, dunque, resta nella platea di quei soli 6 Paesi, su 27 dell’Unione Europea, a non aver adottato una legge sul salario minimo.

Tuttavia, potrebbe esserci un colpo di coda: non per volontà del Governo, quanto della direttiva europea che potrebbe obbligare i singoli Stati membri a varare una legge sulla rappresentanza. Una direttiva che, come vedremo di seguito, potrebbe portare a un aumento degli stipendi in Italia.

Una direttiva per la quale potrebbe arrivare il via libera il 6 giugno 2022, con risvolti importanti per i lavoratori italiani in quanto potrebbe contrastare il lavoro povero; vediamo per quale motivo.

Troppi contratti in Italia: così si eludono le norme sugli stipendi

L’Unione europea potrebbe intervenire laddove non è arrivato il Governo Draghi potrebbe. Come detto sopra, infatti, anche se non ci sarà alcun obbligo di salario minimo, la nuova direttiva Ue che costringerà il governo ad approvare una legge per frenare i contratti pirata potrebbe essere un importante ostacolo per il lavoro povero.

Una volta che la nuova direttiva verrà approvata, come visto sopra il via libera potrebbe arrivare il 6 giugno prossimo, l’Italia avrà l’obbligo di approvare una legge sulla rappresentanza, pena l’avvio di una procedura d’infrazione.

Ma perché una tale legge andrebbe a contrastare il lavoro povero e ad aumentare gli stipendi degli italiani? Ce lo spiegano gli esperti, i quali pur concordando sul fatto che un conto sarebbe una legge sul salario minimo e un altro l’introduzione di norme mirate a valorizzare il ruolo di sindacati dei lavoratori e delle associazioni datoriali, ritengono comunque che la novità in arrivo dall’Europa possa avere notevoli vantaggi per gli stipendi dei lavoratori.

Nel dettaglio, vale per tutti quei lavoratori assunti con dei cosiddetti contratti “pirata”, ossia che vengono pagati molto meno rispetto a quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali di categoria. Ciò è stato possibile visti alcuni vuoti sulla rappresentanza, con la facoltà per alcune sigle minori, o persino fittizie, di sottoscrivere accordi meno vantaggiosi per i lavoratori, i quali oggi si trovano a guadagnare una cifra inferiore rispetto a quella che dovrebbe essere loro riconosciuta.

Va detto che questi potrebbero comunque fare causa per chiedere un adeguamento dello stipendio, tenendo conto di quelle che sono le cifre indicate dal contratto di riferimento. Il problema è che la legge n. 339 del 1989 stabilisce che la retribuzione non può mai essere inferiore all’importo stabilito da:

  • leggi;
  • regolamenti;
  • e contratti collettivi stipulati dalle “organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale”.

Il problema sta tutto in quest’ultimo punto: a oggi è impossibile affermare con certezza quali sono le organizzazioni sindacali “più rappresentative, anche perché c’è un articolo della Costituzione, il 39 per l’esattezza, che pur prevedendo la registrazione dei sindacati in cambio della possibilità di stipulare contratti collettivi validi per tutti gli appartenenti a quella determinata categoria risulta a oggi inattuato.

Ci troviamo quindi nella situazione in cui nei vari settori possono esserci più contratti collettivi, alcuni dei quali meno convenienti di altri.

Perché l’Europa potrebbe obbligare l’Italia ad aumentare gli stipendi

A risolvere questa impasse potrebbe dunque arrivare la direttiva europea in oggetto, la quale obbliga i Paesi ad attuare in alternativa una delle due misure:

  • adottare un salario minimo legale;
  • prevedere una maggiore copertura della contrattazione collettiva, con almeno il 70% dei lavoratori che dovrà essere coperto.

Viste le difficoltà riscontrate in questi mesi nell’attuare il primo punto, è molto probabile che l’Italia guarderà al secondo aspetto. Lo ha confermato anche il ministro Orlando, il quale ha dichiarato che “una qualche legge, se non sul salario minimo sul fronte della rappresentanza, arriverà”.

Ma come spiegano gli esperti al momento la situazione è talmente complicata da non escludere l’avvio di una procedura d’infrazione nei nostri confronti.

A tal proposito, Claudio Lucifora, consigliere del Cnel, ha spietato al FattoQuotidiano che oggi è impossibile calcolare la percentuale di copertura dei singoli contratti collettivi nazionali, e allo stesso tempo non è possibile verificare quali imprese applicano un contratto con stipendio minimo pari a quello indicato dai suddetti Ccnl.

Oggi i contratti vigenti in Italia sono 985 alcuni dei quali prevedono cifre inferiori a quelle dettate dai contratti collettivi nazionali. Ma con una legge sulla rappresentanza con la quale verrà stabilito che almeno il 70% dei lavoratori in un determinato settore dovrà essere impiegato con contratto collettivo nazionale, la situazione cambierà con un numero maggiore di dipendenti tutelati rispetto a oggi.

E con un aumento di stipendio in arrivo per chi oggi è sottopagato.

Perché, come spiega Lucifora, anche se le imprese potrebbero continuare ad applicare contratti differenti da quello principale, questi dovranno comunque attenersi all’accordo nazionale per quel che riguarda i minimi contributivi, con effetto diretto sullo stipendio dunque.

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