Il professore di Politica economica, Michele Raitano, spiega a Money.it perché i salari in Italia sono più bassi e come, attraverso la contrattazione collettiva, devono aumentare subito gli stipendi.
Gli stipendi italiani sono più bassi di quelli dell’Ue. E il problema è ancora maggiore in un periodo, come quello attuale, di alta inflazione. Per questo la soluzione deve passare per un rafforzamento dei lavoratori nella contrattazione, secondo Michele Raitano, professore ordinario di Politica economica dell’università Sapienza di Roma.
Raitano, parlando con Money.it, fa il quadro della situazione sugli stipendi dei lavoratori in Italia e spiega quali possono essere le soluzioni per superare questo periodo di alta inflazione evitando la recessione. Una discussione, quella sui salari, che è tornata al centro del dibattito dopo la pubblicazione del video di una giovane ingegnere che ha rifiutato uno stipendio da 750 euro.
Gli stipendi italiani tra i più bassi in Ue
Gli stipendi italiani, spiega Raitano, sono “bassi in termini assoluti” e negli ultimi 30 anni sono addirittura in diminuzione. Se guardiamo ai dati Inps, riguardanti il lavoro dipendente nel settore privato, i numeri non possono che preoccupare, tanto più considerando che in questo caso non si fa riferimento ai contratti atipici e più penalizzanti per i lavoratori.
Nonostante gli anni di crescita economica, sottolinea il professore, “i salari sono rimasti bassi” e, inoltre, le disuguaglianze sono crescenti: “C’è una piccola quota molto benestante, il top 1% dei manager privati e pubblici, ma dall’altra parte ci sono tanti stipendi bassissimi”, sottolinea il professore.
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Perché gli stipendi in Italia sono più bassi
I salari molto bassi dipendono da diversi fattori. A partire dal fatto che è cresciuto anche nel lavoro dipendente privato il ricorso ai contratti non standard, come evidenzia Raitano. Parliamo, per esempio, dei contratti a tempo determinato con buchi durante l’anno, con le pause tra i rinnovi, che non permettono neanche di riconoscere l’anzianità.
Raitano ricorda che circa un contratto su quattro è a tempo determinato, per i lavoratori dipendenti. E poi c’è un “elemento sottaciuto nel dibattito: ci sono sempre più contratti part-time e di conseguenza salari più bassi”: i contratti inferiori all’orario di lavoro sono il 30% e salgono al 50% per le donne, una percentuale peraltro cresciuta negli ultimi anni. Quindi i salari molto bassi sono legati “a una maggiore instabilità e all’atipicità dei contratti”.
Non ci sono più, in Italia, meccanismi del recupero strutturale legato all’inflazione o di scatti di anzianità realmente funzionanti, sottolinea il professore. Che arriva così all’altro lato del problema: la regolamentazione del mercato. L’Italia non ha un salario minimo, ma ha la contrattazione collettiva in quasi tutti i settori.
Il punto, però, è che le imprese potrebbero non rispettare il contratto collettivo nazionale perché la capacità di controllo è limitata. E poi, in più, sono cresciuti i contratti pirata, quelli non firmati dai sindacati più rappresentativi. E spesso questo può essere un modo per ridurre i salari o, almeno, per dare un maggiore potere di minaccia alle aziende.
Raitano prosegue spiegando che i salari bassi derivano dai tempi di lavoro ma anche dai salari orari bassi, derivanti dalla contrattazione collettiva e dalla mancanza dei controlli con un abuso dei contratti pirata.
Stipendi, cosa succederà nel 2023 con l’inflazione?
In questo quadro si aggiunge l’inflazione, ormai a due cifre. Un problema che non vivevamo così intensamente da molto tempo: “In passato era facile ragionare di inflazione perché tutti i prezzi avevano una stessa dinamica, adesso i beni energetici hanno raggiunto valori altissimi e altri si sono più o meno mantenuti”, spiega Raitano.
In più il problema è che i prezzi che sono maggiormente aumentati sono considerati diseguali, nel senso che gli incrementi incidono maggiormente sulle fasce di popolazione più povere, quelle con i salari bassi. E il quadro delle diseguaglianze “può accentuarsi ulteriormente”. Per questo motivo il rinnovo dei contratti viene ritenuto fondamentale da Raitano. Finora il governo ha agito con dei bonus, che hanno aiutato molto, adeguati soprattutto in una fase emergenziale.
Stipendi, cosa fanno le aziende
Raitano sottolinea come nelle dinamiche salariali spesso si perde di vista il punto fondamentale, ovvero il fatto che lo stipendio e la sua contrattazione derivano da un conflitto tra lavoratori e imprese. Per far crescere i salari deve crescere la produttività, ma “in Italia per anni sono stati introdotti incentivi per contenere il costo del lavoro, ma non sulla produttività e lo sviluppo tecnologico”.
C’è un segnale che evidenza una forza diseguale, spiega ancora il professore, tra imprese e lavoratori. E non bastano le riduzioni come quella del cuneo fiscale: “Tutte le volte che si dice di ridurre le tasse sul lavoro per aumentare i salari, lo Stato mette le risorse ma toglie con la mano destra per poi prendere con quella sinistra attraverso le tasse”. Servono, invece, politiche industriali, nel breve termine.
Il rinnovo dei contratti per aumentare i salari
Considerando l’alta inflazione è necessario intervenire sui salari, nella speranza che l’aumento dei prezzi sia temporaneo, come dovrebbe essere derivando da uno shock esterno. La soluzione, per Raitano, è quella di “rafforzare i sindacati e i lavoratori nella contrattazione, cancellando i contratti pirata ed evitando il mancato rispetto degli accordi”.
Bisogna quindi ridare forza al sindacato, secondo il professore della Sapienza, evitando quello che è stato fatto, da qualunque parte, negli ultimi anni, sparando contro i sindacati. “Sembra sempre che il lavoro sia un costo per l’impresa ed è un’ottica miope, perché invece fa crescere l’economia”, aggiunge Raitano.
Il professore sottolinea che da sempre esiste una diatriba tra il salario minimo e la legge sulla rappresentanza, ma invece “dovrebbero andare in parallelo: con il primo si rafforzano anche i sindacati”.
La spirale inflazionistica e gli stipendi
Uno dei rischi più volte paventato è che aumentare i salari possa innescare una spirale inflazionistica, ma non è detto che questo avvenga. Il professore spiega che dipende da quanto i salari pesano sui costi delle imprese: “Le imprese possono avere alti margini di profitto e non aumentano comunque i salari per non far salire l’inflazione, ma in realtà questa spirale si potrebbe evitare perché l’inflazione deriva da uno shock”.
Di fatto vuol dire che per gli aumenti bisogna affidarsi alla buona volontà delle aziende, ma “in un quadro di contrattazione rafforzato”. Lo Stato può quindi avere un ruolo attivo, che vada al di là dei bonus, misure utili nel momento dell’emergenza, ma che poi deve essere sostituito da una contrattazione più efficace.
Il rischio di puntare sulla contrattazione collettiva, però, è che i tempi siano lunghi e gli stipendi non salgano nell’immediato. Il che può avere un’altra conseguenza: può innescarsi “una spirale recessiva, perché i salari in termini reali scendono e può esserci una minore domanda” legata proprio agli stipendi più bassi.
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