Ecco cosa è possibile fare se lo stipendio è troppo basso attraverso gli strumenti per i lavoratori.
Chiunque vorrebbe uno stipendio più alto di quello abituale, indipendentemente dal suo ammontare e dalle spese quotidiane.
Per tanti cittadini, però, la retribuzione è un problema pratico di enorme importanza, che impedisce di affrontare la vita con serenità e piena autonomia. Chi ha uno stipendio troppo basso non deve necessariamente arrendersi alle circostanze, potendo infatti sperare in una risoluzione.
Ecco come difendersi passo passo a seconda dei casi (e quando è possibile).
1) Controllare la retribuzione
Il primo passaggio per prendere posizione contro uno stipendio giudicato insufficiente risiede proprio in un attento controllo della retribuzione. Può sembrare un passaggio banale, visto che ogni dipendente sa precisamente quanto percepisce ogni mese e in che misura tale cifra soddisfa le esigenze quotidiane, ma serve un’analisi più dettagliata. In primo luogo, bisogna controllare se la retribuzione corrisponde a quella indicata nel contratto, passando poi ad accertarsi che sia conforme anche al contratto collettivo di riferimento.
In secondo luogo si deve passare a una valutazione più delicata dello stipendio, tenendo conto del tipo di mansioni svolte, dei requisiti necessari, della quantità di lavoro e di come si rapporta effettivamente con le necessità principali di vita.
Secondo l’articolo 36 della Costituzione, infatti, la retribuzione deve essere “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Un parametro che secondo la giurisprudenza può perfino superare quanto sancito dalla contrattazione collettiva, imponendo un aumento della paga. Prima di approfondire la questione, tuttavia, c’è un altro elemento che vale la pena controllare: la correttezza di quanto pagato rispetto al dovuto. In altre parole, bisogna accertarsi che:
- tutte le ore effettivamente lavorate siano indicate e nella maniera corretta (straordinari, festività e così via);
- lo stipendio pagato corrisponda a quanto descritto in busta paga (se corretta).
A tal proposito, si ricorda che il datore di lavoro è obbligato per legge a consegnare la busta paga al dipendente o comunque renderla disponibile entro il termine per il pagamento degli stipendi.
2) Cercare un accordo e negoziare
Soltanto dopo aver capito quali sono i reali problemi che portano a uno stipendio troppo basso, eventualmente con l’aiuto di un professionista (sindacati, avvocati del lavoro, caf) si può passare all’azione. Nella grande maggioranza dei casi non è conveniente passare subito alle “maniere forti”, sempre a patto che non ci siano reati o comunque situazioni di pericolo e abuso. In presenza di incongruenze evidenti nella retribuzione (come una paga oraria difforme alla contrattazione collettiva) l’accordo bonario con il datore di lavoro può infatti rivelarsi una strategia vincente, potendo evitare all’azienda danni economici e soprattutto reputazionali. Bisogna aprirsi al confronto in maniera costruttiva, senza tuttavia rinunciare alla solidità delle proprie posizioni né a difendere il proprio diritto.
Consultarsi in forma preventiva con un professionista può essere utile a non farsi cogliere impreparati ed enunciare senza vacillare le proprie pretese, ma soprattutto a non comprimerle per timori e paure. Si ricorda, per esempio, che l’accordo peggiorativo dello stipendio è valido soltanto quando necessario a conservare il posto di lavoro che sarebbe altrimenti compromesso per crisi aziendale o altri giustificati motivi oggettivi, al netto delle valutazioni dell’obbligo di repêchage.
Se il datore di lavoro non è ben disposto o comunque i problemi stipendiali non sono così facili da evidenziare ci sono meno probabilità di raggiungere un accordo soddisfacente, almeno senza mediazione. La valutazione attenta serve proprio a decidere come comportarsi, tenuto conto che in assenza di incongruenze rispetto a quanto stabilito dalla legge l’aumento di stipendio può solo essere negoziato e non preteso. Se si ha una retribuzione coerente rispetto ai criteri costituzionali e ai contratti, per quanto possa apparire esigua al lavoratore, gli aumenti non possono essere imposti ma solo decisi di comune accordo.
3) Rivolgersi ai sindacati
Se l’accordo bonario non riesce è bene fare un ulteriore tentativo prima di adire le vie legali, rivolgendosi ai sindacati di categoria. Attraverso una vertenza sindacale, infatti, il lavoratore può sperare di risolvere i problemi riscontrati con la conciliazione. In questo modo si beneficia di tempistiche ridotte, senza peraltro compromettere (troppo) l’ambiente lavorativo. Si tratta sempre di una risoluzione affidata alla trattativa tra le parti, con la differenza che il dipendente è assistito da figure esperte, che valorizzano la forza del lavoratore. In questa fase si svolge un lavoro utile anche a un’eventuale futura causa civile, dovendo raccogliere tutta la documentazione e le prove riguardanti la contestazione.
Dinanzi a un orario lavorativo dichiarato inferiore a quello reale, per esempio, si può ricorrere anche alle dichiarazioni testimoniali e alle mansioni svolte, che secondo la giurisprudenza contribuiscono a dimostrare l’orario di lavoro, oltre a tutte le prove documentali di cui si dispone.
Ci sono comunque dei limiti a questa procedura, soprattutto quando le violazioni del datore di lavoro devono essere sottoposte alla valutazione dei giudici. Quando la retribuzione è adeguata rispetto alla contrattazione individuale e collettiva, quindi, c’è poco che i sindacati possano fare per pretenderne l’aumento, salvo che il problema sia lamentato da un grande numero di lavoratori (utile a rafforzare la propria posizione).
4) Rivolgersi a un avvocato
Se le strade precedenti non si sono dimostrate adeguate, non resta che rivolgersi a un avvocato - anche con patrocinio gratuito a carico dello Stato - per far valere i propri diritti. Di solito il primo passaggio a questo punto consiste nell’invio di una diffida formale al datore di lavoro, l’ultimo tentativo di accordo prima di addentrarsi nelle aule di tribunali. A questo punto, ogni fase della strategia viene però concordata con il professionista, a cui bisogna affidarsi con trasparenza e completezza, portando in conoscenza tutti gli elementi potenzialmente rilevanti. Per quanto si tratti della soluzione estrema, molto spesso soltanto la vera e propria causa consente di ottenere il riconoscimento dei propri diritti, in particolar modo quando lo stipendio è formalmente corretto.
In tal proposito, si evidenzia nuovamente che la retribuzione deve sempre essere proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro, ma anche sufficiente per la dignità e la libertà del dipendente. Una valutazione estremamente delicata da compiere e per questo da rimandare ai giudici, non essendo presenti disposizioni sul salario minimo.
Il parametro di riferimento resta in ogni caso la possibilità di provvedere autonomamente al proprio sostentamento con un orario di lavoro full time. Si ricorda che la prescrizione dei crediti da lavoro retributivi è pari a 5 anni, che decorrono dalla cessazione del rapporto di lavoro nel settore privato e dalla loro maturazione nel pubblico impiego, secondo l’interpretazione della Cassazione.
5) Denunciare il datore di lavoro
Al netto della procedura illustrata, se il datore di lavoro commette dei reati - o almeno presunti tali - a danno dei dipendenti questi ultimi hanno tutto il diritto di denunciare.
A tal fine bisogna rivolgersi alle Forze dell’ordine (o se si preferisce a un legale) per presentare una querela entro 3 mesi da quando è avvenuto l’illecito, è cessato o è stato scoperto. La querela ovviamente deve corrispondere al vero o quanto meno a ciò che il lavoratore ritiene tale, meglio ancora se supportata da prove a favore della propria tesi.
Tra i tanti reati imputabili al datore di lavoro in riferimento a uno stipendio troppo basso rilevano lo sfruttamento del lavoro e l’estorsione, quando il dipendente è costretto ad accettare condizioni sfavorevoli per timore - sfruttato consapevolmente dal datore - di perdere il lavoro.
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