Diffuso l’indice CPI USA relativo al mese di dicembre: che succede ai tagli dei tassi USA.
Focus sul dato clou relativo all’inflazione degli Stati Uniti, anch’esso monitorato attentamente dalla Fed di Jerome Powell per decidere il modo in cui impostare la direzione dei tassi di interesse degli Stati Uniti. Si tratta dell’indice CPI, ovvero dell’indice dei prezzi al consumo, relativo al mese di dicembre, che ha seguito la diffusione, venerdì scorso, dei Nonfarm Payrolls, ovvero del report occupazionale USA, sempre di dicembre, che ha letteralmente mandato in tilt Wall Street.
Il dato CPI è salito su base annua del 2,9% in linea con le attese, segnando su base mensile un rialzo dello 0,4%, accelerando il passo rispetto al +0,3% di novembre e confermandosi più forte anche del +0,3% stimato dal consensus.
Per quanto riguarda l’inflazione core, ovvero l’inflazione depurata dalle componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni alimentari ed energetici, il trend su base mensile dell’indice CPI Core è stato di un rialzo dello 0,2%, come da attese, mentre su base annua la performance è stata pari a un rialzo del 3,2%, meno del +3,3% stimato. Trend ancora troppo forti, per un’inflazione che, nel mondo ideale di Jerome Powell, dovrebbe marciare al ritmo annuo del 2%.
Inflazione USA: il trend dei prezzi energetici e dei beni alimentari
Guardando alle componenti dell’inflazione, l’indice dei prezzi energetici ha segnato un rialzo del 2,6% a dicembre su base mensile, contribuendo al trend al rialzo del CPI su base mensile per oltre il 40%, con i prezzi della benzina scattati del 4,4%.
In crescita anche i prezzi dei beni alimentari, che hanno riportato negli Stati Uniti un incremento su base mensile decisamente più ridotto, pari a +0,3%.
Su base annua, il trend è stato tuttavia decisamente opposto, visto che i prezzi energetici sono scesi dello 0,5%, mentre i prezzi dei beni alimentari sono scattati del 2,5%.
Wall Street in rally post inflazione USA. Dow Jones balza di 700 punti
Wall Street interpreta il dato stavolta in modo positivo, con l’indice Dow Jones che sta schizzando di oltre 700 punti: il rapporto sull’inflazione USA è stato considerato infatti incoraggiante, soprattutto per quanto concerne l’inflazione core che, pur se ancora superiore al 3%, è salita meno di quanto temuto dagli economisti, alimentando la speranza che, dopo tutto, il trend dei prezzi possa non spaventare la Fed al punto da indurla a dire stop alla fase di tagli dei tassi.
Va detto che un importante assist a Wall Street arriva anche - o soprattutto? - dai numeri da record che sono stati sfornati dai giganti finanziari USA.
Detto questo, nel commentare i numeri relativi all’inflazione, interpellato dalla CNBC, Skyler Weinand, direttore degli investimenti di Regan Capital ha fatto notare che l’indice CPI core più debole delle attese sta facendo tirare qualche sospiro di sollievo, “soprattutto dopo i numeri relativi all’occupazione resi noti venerdì scorso”, che hanno scatenato una furia di sell off sia su Wall Street che sui Treasury. L’impressione, secondo Weinand, è che “la Fed possa riuscire ancora a tagliare i tassi di interesse nel corso del 2025”, in una fase in cui si è parlato anche del rischio che Powell & Co. fossero costretti a riconsiderare l’eventualità di tornare ad alzare i tassi, con quell’annuncio che ha fatto venire i brividi alle colombe.
Dopo il dato di oggi, sui mercati si rinfocolano di fatto le scommesse sui tagli dei tassi da parte della Banca centrale americana nel corso del 2025. Il primo taglio, secondo i futures sui fed funds, dovrebbe palesarsi tuttavia soltanto a giugno (occhio al calendario dei meeting del FOMC, il braccio di politica monetaria della Fed, previsti per questo anno). Emerge tuttavia una maggiore probabilità di una seconda sforbiciata dei tassi entro la fine del 2025.
Il Dipartimento del Lavoro Usa ha annunciato venerdì scorso che, nel mese di dicembre, l’economia degli Stati Uniti ha creato 256.000 nuovi posti di lavoro, decisamente al di sopra delle attese degli analisti, che in media avevano previsto un aumento delle buste paga limitato a +160.000 unità.
In discesa il tasso di disoccupazione, calato al 4,1%, rispetto al 4,2% di novembre, facendo meglio del 4,2% messo in conto dal consensus degli analisti. Un quadro, quello emerso venerdì scorso, che ha messo in evidenza un’economia fin troppo solida al punto da non rendere necessarie, secondo alcuni analisti, altre sforbiciate dei tassi da parte della Fed di Jerome Powell.
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