Il mercato del lavoro italiano presenta tutte le criticità tipiche di una tempesta perfetta che non sembra destinata a placarsi. La video-inchiesta di Money.it rivela quali sono.
Negli ultimi tre trimestri dello scorso anno un milione e mezzo di persone ha abbandonato volontariamente l’impiego e, apparentemente, non si trova un numero sufficiente di figure professionali idonee e disponibili a sostituirli, in una platea di tre milioni di disoccupati.
Le aziende non trovano personale specializzato e allo stesso tempo faticano a stare al passo con l’innovazione. La formazione è in ritardo rispetto alle professionalità richieste dal mercato (siamo al penultimo posto in Europa per numero di laureati). I centri per l’impiego, in cui si sono investite poche risorse, sono sottodimensionati (la Germania spende dieci volte di più, pur avendo la metà dei disoccupati dell’Italia).
Tuttavia, il dato che fa più discutere è il mismatch, in altre parole il mancato incontro tra domanda e offerta. L’indicatore che esprime la reciproca insoddisfazione tra datori di lavoro e lavoratori. I dati di Unioncamere e Anpal ci dicono che circa un terzo degli annunci di lavoro pubblicati lo scorso anno non ha trovato il candidato ideale. Oltre due dei cinque milioni di assunzioni programmate per il 2023 andranno incontro a fallimenti o ritardi.
La ricerca delle figure professionali più richieste come dirigenti, specialisti ed esperti può durare fino a quattro mesi. Introvabili anche operai e tecnici specializzati. Restringendo per fascia d’età, se ci si riferisce ai giovani, il mismatch esplode. Restano vacanti sette posti di lavoro ogni dieci proposti dalle aziende. Tra gli under 30, s’incontrano difficoltà a trovare farmacisti, programmatori, elettricisti, idraulici e attrezzisti di macchine utensili.
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Dal lato della domanda la situazione è anche peggiore. Su 100 giovani che si laureano, dopo tre anni dalla laurea passati in ricerche spasmodiche del lavoro, solo 52 hanno trovato un impiego e 48 non l’hanno ancora trovato (su cento giovani tedeschi, dopo tre anni dalla laurea, in 92 hanno trovato lavoro e solo 8 lo cercano ancora).
Le ragioni dello squilibrio nel mercato del lavoro sono da ricercare nelle sofferenze strutturali del sistema, anche se la crisi internazionale, dovuta prima alla pandemia e poi alla guerra, può aver accelerato l’insorgere degli effetti evidenti cui assistiamo.
Le persone che lavorano in Italia sono 23 milioni, per oltre i due terzi hanno un contratto a tempo indeterminato. Nella stessa proporzione, la grande maggioranza dei lavoratori svolge un impiego di carattere terziario, nei servizi, in cui prevale l’elemento intellettuale del lavoro. Le mansioni più gravose, in termini di fatica fisica, riguardano una stretta minoranza dei lavoratori. Molti mestieri sono stati sostituiti dalle macchine. L’agricoltura incide sul mercato del lavoro per meno del tre percento e l’industria per circa il ventiquattro.
Nonostante la presenza delle macchine inizi a crescere anche tra le mansioni che richiedono l’intelletto, grazie allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, questo genere d’impiego riguarda la grande maggioranza dei lavoratori. Le occupazioni più diffuse, siano esse di carattere esecutivo o creativo, richiedono competenze crescenti e, spesso, conoscenze trasversali come le lingue straniere o l’informatica.
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Le trasformazioni nel mondo del lavoro sono repentine e la formazione gioca un ruolo fondamentale per adeguarsi a tali cambiamenti. Gli imprenditori dal canto loro dovrebbero intercettare le esigenze dei lavoratori e cogliere le opportunità che potrebbero derivare dall’innovazione organizzativa.
Basti pensare che prima della pandemia i telelavoratori in Italia erano appena 570mila, mentre altrove la percentuale era di gran lunga maggiore. In seguito al decreto del governo del 1° marzo 2020, nel giro di una settimana sono diventati 7 milioni, con una lunga serie di vantaggi.
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