Il ticket Naspi è dovuto nei casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato. Può accadere che l’azienda versi erroneamente l’importo pur essendone esonerata. Come procedere al recupero?
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (in sigla: Naspi) è una prestazione economica garantita dall’Inps al fine di sostenere coloro che perdono involontariamente l’occupazione.
La misura, introdotta in sostituzione delle precedenti prestazioni Aspi e Mini-Aspi, opera con riferimento agli eventi di disoccupazione involontaria verificatisi a decorrere dal 1° maggio 2015 e spetta, in presenza di determinati requisiti legati alla carriera lavorativa dell’interessato, previa domanda trasmessa all’Inps.
Ai sensi della legge 28 giugno 2012 numero 92, articolo 2, commi da 31 a 35, in tutte le ipotesi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che darebbero teoricamente diritto all’indennità di disoccupazione Naspi (a prescindere dal possesso da parte del lavoratore dei requisiti per la fruizione o dall’effettiva percezione di questa) il datore di lavoro è tenuto a versare all’Istituto un contributo aziendale di recesso (cosiddetto «ticket di licenziamento» o «ticket Naspi»).
La somma, dovuta a prescindere dalla tipologia di rapporto interrottosi (se full-time o part-time), non dev’essere versata, ad esempio, nelle ipotesi di interruzione del contratto per:
- dimissioni ordinarie;
- interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere;
- licenziamenti in ragione di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai Ccnl stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- imprese sottoposte a procedura fallimentare o in amministrazione straordinaria, destinatarie di trattamenti straordinari di integrazione salariale.
In concreto può accadere che il datore di lavoro, l’ufficio personale o il professionista esterno incaricato dell’elaborazione paghe, inseriscano erroneamente il ticket Naspi in UniEmens e lo paghino all’Inps.
In questi casi come comportarsi per recuperare dall’Istituto l’importo liquidato per errore?
Inviare una denuncia di variazione UniEmens
L’azienda che ha versato erroneamente il ticket Naspi è tenuta a trasmettere all’Inps una denuncia di variazione del modello UniEmens, modificando innanzitutto il codice relativo al tipo di cessazione del rapporto di lavoro.
L’obbligo o meno di versare il ticket Naspi è infatti legato al «codice Tipo cessazione» da inserire in UniEmens.
Prendiamo l’esempio del dipendente Caio che ha interrotto il rapporto di lavoro per dimissioni in data 30 giugno 2022. L’azienda ha erroneamente indicato il codice Tipo cessazione «1A» relativo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, versando altresì il contributo aziendale di recesso.
A questo punto il datore di lavoro, nella denuncia di variazione UniEmens dovrà modificare il codice Tipo cessazione inserendo «1B» identificativo di «Dimissioni volontarie del lavoratore», casistica per la quale non è obbligatorio versare il ticket Naspi.
Il secondo passaggio in sede di variazione UniEmens è quello di eliminare il contributo aziendale di recesso.
Una volta correttamente inviato l’UniEmens di variazione, l’Inps:
- accerterà la differenza in termini di somme dovute tra l’UniEmens originario e quello di variazione;
- trasmetterà all’azienda una nota di rettifica a credito per contributi versati in eccesso.
Nella nota di rettifica sarà indicato l’importo del ticket Naspi erroneamente corrisposto, con le indicazioni per procedere al recupero della somma.
Il recupero potrà avvenire con modello F24, indicando la somma nella colonna dei crediti da compensare rispetto ai debiti.
A quanto ammonta il ticket Naspi?
Il datore di lavoro è tenuto a versare, a titolo di ticket Naspi, una somma pari al 41% del massimale mensile di disoccupazione per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
In ragione del fatto che, per il 2022, il massimale mensile corrisponde a euro 1.360,77 per ogni anno di anzianità aziendale, il contributo di recesso è pari a 1.360,77 * 41% = 557,92 euro.
Se il lavoratore ha un’anzianità pari o superiore a 36 mesi il contributo corrisponde a 557,92 euro * 3 = 1.673,75 euro.
Questo significa che, tanto per un dipendente con un’anzianità aziendale di 4 anni, quanto per un collega con 20 anni di permanenza in azienda, il contributo di recesso ammonta a 1.673,75 euro.
Nel computo dell’anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto a termine, nel caso in cui il rapporto sia proseguito senza soluzione di continuità ovvero si è dato luogo alla restituzione del contributo addizionale, in caso di trasformazione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato, entro 6 mesi dalla cessazione del tempo determinato.
Nelle ipotesi di rapporti di lavoro inferiori ai 12 mesi, il contributo aziendale di recesso dev’essere riproporzionato in ragione del numero di mesi di durata del rapporto di lavoro. Nello specifico, si considera come mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario.
In caso di interruzione del rapporto di lavoro con dipendenti coinvolti in operazioni societarie di trasferimento d’azienda, ai fini del versamento del contributo di recesso dev’essere considerata la durata complessiva del contratto, compreso il periodo svolto presso l’azienda cedente.
Esistono periodi esclusi dal conteggio?
Nel computo dell’anzianità aziendale non sono compresi:
- i periodi di congedo straordinario ai sensi del decreto legislativo numero 151/2001;
- i periodi non lavorati nei rapporti di lavoro intermittente (con o senza garanzia di disponibilità), dal momento che il dipendente per tutto il periodo in cui resta disponibile a rispondere alla chiamata dell’azienda, non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, né matura alcun trattamento economico e normativo (salvo l’indennità di disponibilità).
Come dev’essere pagato il ticket Naspi?
Il pagamento del ticket Naspi dev’essere effettuato in un’unica soluzione entro e non oltre il termine di versamento della denuncia UniEmens successiva quella del mese in cui si verifica la cessazione del rapporto.
Ipotizziamo che il rapporto di lavoro si interrompa il 31 maggio 2022. Il ticket Naspi dev’essere:
- pagato con modello F24 entro il termine di versamento dei contributi relativi al mese di giugno, fissato per il giorno 18 luglio 2022 (dal momento che la scadenza originaria, il giorno 16, cade di sabato);
- indicato nella denuncia UniEmens da inviare all’Inps entro il 1° agosto 2022 (posto che la scadenza ordinaria del 31 luglio coincide con una domenica).
Il versamento, in ogni caso, è soggetto all’ordinaria disciplina sanzionatoria prevista in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria a carico del datore di lavoro.
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