Il trasferimento deve essere sempre motivato da ragioni tecniche, organizzative e produttive; se non lo è al dipendente spetterà il risarcimento per danni cagionati dal trasferimento illegittimo.
Tra i diritti dell’azienda c’è quello di poter trasferire uno o più dipendenti presso un’altra sede di lavoro, anche se ciò comporta un cambio di residenza per il lavoratore.
Da parte sua però il datore di lavoro ha tre obblighi da rispettare:
- il trasferimento deve essere legittimo;
- la decisione va comunicata con un congruo preavviso;
- al dipendente - dove riconosciuto dal contratto collettivo - va corrisposta un’indennità di trasferimento.
In questo articolo ci soffermeremo sul primo punto facendo chiarezza su quando un trasferimento può dirsi legittimo e su quando non lo è. Inoltre vi daremo tutte le informazioni su come deve comportarsi il dipendente vittima di un trasferimento illegittimo e quali sono i diritti a lui riconosciuti.
Quando il trasferimento è illegittimo?
Come prima cosa facciamo chiarezza sul significato di trasferimento in ambito lavorativo. Nel dettaglio si intende con trasferimento lo spostamento definitivo ad un’altra unità produttiva dell’azienda in cui è occupato. Questa sede però deve trovarsi in un luogo differente da quello di provenienza oltre a disporre di autonomia funzionale.
Visto quanto appena detto il trasferimento non va confuso con la trasferta, per la quale invece lo spostamento è occasionale e temporaneo.
Come anticipato l’azienda è libera di decidere se e quando trasferire un proprio dipendente, tuttavia ci sono dei limiti che questa ha il dovere di rispettare. Ad esempio l’articolo 2103 del Codice Civile stabilisce che il trasferimento può essere giustificato esclusivamente da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
In caso di opposizione da parte del lavoratore, quindi, il datore di lavoro dovrà essere in grado di provare davanti al giudice l’esistenza delle suddette ragioni, così che questo possa accertare la legittimità del trasferimento.
Quindi una delle prime ipotesi di illegittimità del trasferimento è quella di insufficienza di motivazioni.
C’è un caso particolare per cui anche il trasferimento che non si fonda su queste ragioni viene ritenuto legittimo; si tratta dello spostamento motivato da incompatibilità ambientale del lavoratore. Ciò si verifica quando il comportamento tenuto dal dipendente comporta delle disfunzioni nell’organizzazione aziendale che potrebbero essere risolte con il trasferimento in altra sede.
Quindi in tal caso la condotta del dipendente non è abbastanza grave da portare ad una sanzione disciplinare (quale può essere il licenziamento per giusta causa) ma può comunque portare il datore di lavoro ad optare per lo spostamento presso un’altra sede.
Non ci sono norme che vietano all’azienda di trasferire il lavoratore con famiglia a carico. Discorso differente per il personale che rientra nelle tutele della Legge 104/1992, ovvero il lavoratore portatore di handicap grave o quello che assiste un familiare affetto da disabilità.
In tal caso l’azienda può comunque disporre il trasferimento, ma deve essere il lavoratore interessato a darne il consenso. Quindi, qualora nonostante il rifiuto l’azienda obblighi il dipendente a spostarsi nonostante il rifiuto di quest’ultimo, il trasferimento sarà giudicato come illegittimo dal giudice.
Quali diritti per il lavoratore trasferito illegittimamente?
Come prima cosa bisogna chiarire che quando il trasferimento è legittimo, e quindi soddisfa le condizioni suddette, il dipendente non può rifiutarsi. In caso di rifiuto ingiustificato, infatti, l’azienda può sanzionare il dipendente procedendo con il licenziamento.
Il dipendente quindi ha la possibilità di opporsi al trasferimento ma qualora il giudice confermi la legittimità del provvedimento non potrà rifiutarsi di spostare sede.
Anzi è bene specificare che nel periodo che va dalla presentazione dell’opposizione alla decisione del giudice il dipendente ha comunque l’obbligo di trasferirsi presso la nuova sede, pena il licenziamento.
L’opposizione deve essere presentata tramite atto scritto al datore di lavoro entro 60 giorni dalla data in cui gli è stato comunicato il trasferimento. Per essere valido il ricorso va depositato al Tribunale del Lavoro entro i 180 giorni successivi.
Spetterà al giudice stabilire se il trasferimento è legittimo oppure illegittimo. In quest’ultimo caso allora l’azienda avrà il dovere di ritrasferire il dipendente presso la sede di precedente impiego, oltre a doverlo risarcire dei danni cagionati.
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