Uso di buoni pasto smarriti, rubati o ceduti: quali rischi?

Claudio Garau

12 Novembre 2024 - 15:19

Le regole relative ai buoni pasto sono molto rigide quando si parla di uso di ticket altrui: ecco le conseguenze in caso di utilizzo indebito.

Uso di buoni pasto smarriti, rubati o ceduti: quali rischi?

La stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti sa certamente cosa sono i buoni pasto, come funzionano e qual è la loro finalità; forse non tutti sanno, però, che ci sono dei limiti di utilizzo e che si rischiano gravi conseguenze in caso di uso illecito. Proprio così: vi sono situazioni che comportano rischi e ci riferiamo, ad esempio, al caso di chi li ruba o li trova per strada perché persi dal titolare. Ma è anche l’ipotesi di chi cede i buoni pasto o li vende, ad esempio.

Sono casi accomunati dal fatto che il buono pasto non è utilizzato dal legittimo titolare - ovvero non è usato in modo conforme alla legge - ma proprio su questi temi è la stessa legge che dà una risposta precisa su quelli che sono i rischi collegati. Insomma, che succede in caso di utilizzo di un buono pasto altrui? Scopriamolo insieme.

Buoni pasto: caratteristiche essenziali e limiti

Onde aver chiaro il contesto di riferimento, e in particolare il fatto che l’utilizzo dei buoni pasto deve sempre avvenire in conformità alla legge, in elenco riportiamo i punti chiave di questo strumento così utile.

I buoni pasto:

  • sono un’indennità sostitutiva del servizio di mensa aziendale mancante, e perciò sono esentasse;
  • per la legge spettano soltanto al lavoratore al quale sono stati rilasciati;
  • sono nominativi e non cedibili a persone differenti dall’avente diritto;
  • non sono commerciabili o convertibili in denaro, e neanche regalabili;
  • non sono cumulabili in numero complessivo maggiore di otto, al di là dal valore di ciascuno.

Si tratta di caratteristiche ben precise e che utile tenere a mente per capire meglio i casi di utilizzo illecito dei buoni pasto.

Smarrimento e furto del buono pasto: che succede in caso di utilizzo?

Vediamo a questo punto i casi di uso del buono, diversi da quelli riconducibili al legittimo titolare. Ebbene, la Corte di Cassazione è stata molto chiara nell’affermare che colui il quale usi un buono pasto smarrito o rubato rischia di rendersi responsabile del reato di ricettazione.

Vero è che in queste circostanze, è possibile avvalersi dell’assoluzione per particolare tenuità del fatto commesso, ma soltanto se il comportamento non è abituale. In termini pratici, ciò vuol dire nessuna condanna ma la fedina penale - in cui compaiono i precedenti con la giustizia dell’individuo - resta comunque macchiata.

In tribunale non è mancato tuttavia il caso di chi, come dipendente di un’azienda, veniva condannato sia in primo che in secondo grado, per aver commesso il reato di ricettazione in riferimento a due buoni pasto del valore totale di poco maggiore di dieci euro. Ne era scaturita la sanzione della reclusione e della multa.

Inoltre, in giurisprudenza è emerso che, a propria discolpa, non basta far leva sulla mancanza nel lavoratore, o nella lavoratrice, di una consapevolezza sulla provenienza illecita dei buoni pasto. Anzi il fatto di dichiarare di averli trovati per strada perché smarriti (o addirittura rubati) - e di essersene impossessati - non è sufficiente neanche per parlare del meno grave reato di furto, rispetto a quello di ricettazione.

Ecco perché il dipendente può trovarsi accusato di illecito penale, nel caso in cui sia trovato con buoni pasto altrui senza giustificarne il possesso. Ma attenzione perché in base a ciò che emerge ogni volta dalla singola causa, i giudici possono anche riconoscere l’applicazione della citata regola dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis Codice Penale).

Vendita, cessione e donazione del buono: quali rischi?

La legge vigente è molto precisa sul punto che segue: in tema di buoni pasto sussiste infatti il divieto di cessione a terzi. In buona sostanza il buono pasto può essere usato dal solo mero titolare e per il suo intero valore facciale, ovvero senza resti.

Ne consegue che non è né cedibile, né commercializzabile e pertanto, se sei un lavoratore in possesso di questi buoni, non potrai venderli, regalarli o donarli a terzi come gesto di generosità.

Questo perché il buono pasto è un cosiddetto ticket nominativo ed, anzi, in giurisprudenza è stato affermato che cedere a terzi i buoni pasto emessi da una Pubblica Amministrazione datrice di lavoro al suo lavoratore subordinato, configurerebbe il reato di truffa di cui al Codice penale. Peraltro il rischio di condanna penale graverebbe non soltanto sul titolare che cede il buono, ma anche su chi lo utilizza dopo la cessione. Seguendo questa lettura dei giudici, non vi sarebbero inoltre particolari ostacoli ad affermare che anche nel settore privato i rischi per i lavoratori dipendenti siano analoghi.

Ma anche in questo caso non sono mancati i giuristi che hanno ricordato che, sussistendo un reato minore, non sarebbe punibile per la presenza della cosiddetta causa di giustificazione della particolare tenuità del fatto. Ciò a condizione che la condotta non sia abituale e, dunque, in mancanza di ripetizione dello stesso illecito nel tempo. In ogni caso, non dimenticare che permane la possibilità per il datore di lavoro di emettere una sanzione disciplinare contro il lavoratore che cede i buoni pasto.

Cumulabilità e divieti imposti dalla legge

Sul piano della cumulabilità dei buoni in oggetto, ricordiamo infine che le norme in materia la vietano in misura superiore a 8 per volta. In altre parole i buoni pasto sono utilizzabili fino a un limite di 8 giornalieri. Le sanzioni comunque riguardano direttamente la sola azienda, perché in caso di uso illecito dei ticket, gli stessi sono assoggettati a tassazione - di norma non lo sarebbero entro determinati limiti di valore.

Tuttavia il datore di lavoro che subisca questa conseguenza può scegliere di emettere una sanzione disciplinare verso il dipendente che ha non ha rispettato il dovere di fedeltà e obbedienza.

Che succede a livello disciplinare con il datore di lavoro in caso di vendita di ticket?

L’utilizzo illecito dei buoni pasto potrebbe ledere il rapporto di lavoro con l’azienda. Sono, infatti, i casi in cui la violazione commessa in tema di ticket di pagamento, contrasta con l’obbligo di fedeltà ed obbedienza al datore di lavoro, che aveva fissato specifiche condizioni di utilizzo non rispettate dal dipendente - o comunque aveva rimarcato quelle indicate dalle norme di legge.

In ipotesi di utilizzo illecito dei buoni pasto, gli stessi sono assoggettati a tassazione quando, invece, per legge, non lo sarebbero. Ecco perché in caso di comportamento illecito in tema di ticket di pagamento, il lavoratore rischia di vedersi inflitta una sanzione disciplinare, da parte dal datore di lavoro. Di riferimento sono le sanzioni disposte dalla contrattazione collettiva di riferimento: in concreto la gravità della sanzione sarà proporzionale alla gravità della violazione. Sarà così instaurato un procedimento disciplinare in cui però il lavoratore avrà diritto di difendersi onde evitare le conseguenze sanzionatorie.

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