3 alternative per avere un rendimento del 5% sui titoli di Stato ora che i tassi d’interesse stanno calando

Stefano Vozza

19 Novembre 2024 - 12:49

La discesa dei tassi di interesse BCE porta al cambio di strategie per chi punta a massimizzare il ritorno complessivo sul reddito fisso.

3 alternative per avere un rendimento del 5% sui titoli di Stato ora che i tassi d’interesse stanno calando

I rendimenti sui prodotti a basso rischio sono legati in buona parte, ma non in toto, alle politiche monetarie della Banca Centrale di riferimento. Quando sale il costo del denaro sale anche l’interesse che i debitori devono riconoscere ai risparmiatori per convincerli a prestare loro i soldi, e viceversa.

L’altra variabile principale che incide sui rendimenti risiede sullo stato di salute dell’emittente. Se peggiora, salgono i tassi offerti e viceversa. Più è solido l’emittente, migliori saranno le condizioni di mercato a cui riuscirà a indebitarsi, e succede l’inverso a casistiche invertite.

Con i tassi di riferimento BCE che stanno calando, oggi conseguire un rendimento del 5% non è semplice come nel recente passato. A ottobre 2023 bastava sottoscrivere un BTP a 10 anni per avvicinarsi tantissimo a questo obiettivo. Ora il discorso è più complicato, per cui vediamo 3 alternative per avere un rendimento del 5% sui titoli di Stato.

Alzare il rendimento alzando il rischio emittente

Un’opzione passa per la scelta di un emittente dal profilo di rischio più compromesso rispetto a quelli forti, ossia dal rating al limite dell’investment grade. Peggiori sono le credenziali di credito del debitore, maggiori saranno i ritorni che egli deve offrire ai risparmiatori per convincerli a sottoscrivere il suo debito.

Oggi tra gli Stati nazionali con valuta legale l’euro è difficile trovare bond di nuova emissione che rendano il 5% annuo, specie su orizzonti non troppo lunghi. Non resta che abbracciare qualche emissione in euro di Stati sovrani a rating debole e la cui valuta nazionale non sia l’euro.

Cioè si potrebbe considerare l’idea di bond di Stati esteri ma denominati in euro, e dal rating emittente non proprio rassicurante. Non è il massimo della scelta, vero, ma come sempre l’importante è essere pienamente consapevoli di quello che si va facendo prima di passare all’azione.

I bond sovrani in valuta diversa dall’euro

Una seconda alternativa per l’investitore nazionale passa per il tramite del tasso di cambio per quei bond sovrani denominati in una valuta diversa dall’euro. Può trattarsi tanto del dollaro come della sterlina o un0altra moneta terza, l’operazione in sé prevede una doppia struttura di rendimenti:

  • una legata alla cedola pro tempore;
  • l’altro è dato dal potenziale gain da cambio legato all’apprezzamento della valuta estera rispetto all’euro nel periodo di possesso del bond.

Si tratta di un’operatività ad alto rischio adatta agli speculatori più che ai “semplici” investitori. Qui, infatti, bisogna essere esperti di trading, di politiche monetarie e di dinamiche valutarie. L’ideale in questi casi sarebbe comunque quello di esporsi su monete forti, emittenti meritevoli e su timeframe stretti misurati nell’ordine delle poche settimane.

3 alternative per avere un rendimento del 5% sui titoli di Stato ora che i tassi d’interesse stanno calando

Anche l’ultima alternativa ha un grado di rischio più elevato rispetto all’ordinaria operatività in bond sovrani. A grandi linee consisterebbe nel fare un “comodo” swing trading in sovereign bond per portare a casa poche, ma robuste cedole prima della rivendita.

Facciamo un esempio. Il BTP in scadenza il 1° febbraio 2033 (ISIN IT0003256820) ha una cedola nominale annua lorda del 5,75%, poco più del 5% al netto della ritenuta. In linea di principio, “basterebbe” acquistarlo, tenerlo 1 anno e rivenderlo almeno allo stesso prezzo di carico per assicurarsi il 5% di ritorno. Se la rivendita avvenisse a un prezzo maggiore ci sarebbe anche una plusvalenza, mentre in caso contrario la cedola servirebbe ad attenuare la perdita in conto capitale.

In questo caso la vera grande sfida sta nella scelta del giusto prezzo di ingresso e di uscita dal bond. L’operazione sembra “facile” all’apparenza, ma presenta un profilo di rischio elevato, come dimostra lo storico dei suoi corsi. Oggi il titolo prezza sui 117,50 centesimi, ma in passato il minimo (2012) e il massimo (2015) si sono attestati sugli 80 e sui 166 centesimi.

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