Concorsi pubblici per lavorare nelle Università: ecco come stanno per cambiare

Simone Micocci

11/06/2021

Concorsi pubblici nelle Università: sono in arrivo degli importanti cambiamenti. “Un giovane laureato non dovrà fare altro che preoccuparsi di eccellere nel suo campo per fare carriera”; lo dice il relatore del disegno di legge in esame in Parlamento.

Concorsi pubblici per lavorare nelle Università: ecco come stanno per cambiare

Concorsi pubblici nelle Università: si cambia. È in esame in Parlamento un disegno di legge - di cui sono firmatari i deputati del Movimento 5 Stelle Melicchio e Torto ma che nutre di un ampio consenso - che introdurrà diverse novità per coloro che intendono avviare una carriera accademica come ricercatori.

Una proposta di legge di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi, vista una polemica scoppiata su di un comma che sembra avrebbe dato maggiori poteri alle Università, le quali avrebbero in questo modo potuto prevedere dei requisiti talmente specifici da limitare la partecipazione di candidati meno specializzati. Il comma incriminato, tuttavia, è sparito dal testo: come ci spiega il relatore del disegno di legge, Alessandro Melicchio (Movimento 5 Stelle), adesso sì che questo potrà davvero rappresentare un miglioramento per i concorsi nelle Università.

Vediamo perché.

Buongiorno onorevole Melicchio; qual è l’esigenza di una riforma dei concorsi universitari? C’è sempre stata la convinzione, più o meno diffusa, che questi premiassero sempre i soliti noti; quindi, bisognerà intervenire proprio su questo fattore. La vostra proposta di legge in che modo andrà a modificare quanto non ha funzionato in passato?

Purtroppo il fenomeno dei concorsi pilotati esiste e va eradicato, anche se è sbagliato pensare che funzioni allo stesso modo in tutti gli atenei e gli enti di ricerca.

Abbiamo voluto introdurre una norma che prevenisse le selezioni truccate, perché non premiare il merito nella ricerca vuol dire penalizzare tutto il Paese oltre che i singoli ricercatori che spesso poi fuggono all’estero.

Con questa proposta di legge:

  • prevediamo regole uguali in tutta Italia per i concorsi (mentre a oggi ogni ateneo può stabilire proprie procedure di reclutamento);
  • introduciamo il sorteggio per tutti i componenti delle commissioni, che inoltre dovranno essere composte in maggioranza da esterni;
  • istituiamo un portale nazionale su cui dovranno essere pubblicate tutte le fasi del reclutamento.

Il testo è improntato sul principio della massima trasparenza, ed è questo l’elemento innovativo che produrrà selezioni che premieranno chi è davvero meritevole, non chi ha più conoscenze o amicizie.

Sono stati giorni di profonda discussione per il vostro disegno di legge. Diverse polemiche sono sorte dopo l’intervista che l’ex Presidente dell’Osservatorio sui concorsi universitari Marco Federici ha rilasciato alla Repubblica. Questo lamenta il fatto che in caso di approvazione del ddl - che comunque sembra godere dell’appoggio della maggioranza del Parlamento - i concorsi pubblici potranno essere “pilotati” legittimamente dalle Università. Noi stessi avevamo dei dubbi a riguardo in quanto, così come pensato originariamente, il ddl rischiava di limitare la partecipazione al concorso a pochissimi candidati. Tuttavia, il comma incriminato, quello in cui si legge “nei concorsi universitari si può introdurre l’indicazione di un profilo sulla base dell’attività di ricerca e della didattica nei macrosettori”, è stato eliminato nelle ultime ore dopo la discussione in Parlamento. Può raccontarci cosa è successo?

Sono convinto che chi ha criticato aspramente quel comma ne abbia dato una interpretazione errata.

Chi conosce il funzionamento attuale dei concorsi, d’altra parte, sa bene che non è nelle indicazioni contenute in quel passaggio del testo che si può nascondere una norma che legittima un finto reclutamento.

La proposta di legge, in ogni suo punto, va esattamente nella direzione opposta a quella emersa nella polemica e a dimostrazione della volontà di prevenire forme di arbitrarietà nella selezione dei candidati a un concorso, quel comma è stato eliminato con un emendamento approvato in commissione Cultura.

Ora il testo dovrà essere discusso nell’Aula di Montecitorio e poi al Senato: c’è ancora un pezzo di strada da fare ma l’impianto della riforma è chiaro e non in discussione.

Concretamente, cosa cambierà quindi per i concorsi pubblici universitari e qual è l’iter che un giovane laureando dovrà intraprendere se vuole avere delle possibilità di concorrere come ricercatore per un importante ateneo italiano?

Avremo commissioni di valutazione al di sopra di ogni sospetto e un rischio di conflitto d’interesse tra candidati e commissari ridotto in modo drastico. Un giovane laureato non dovrà fare altro che preoccuparsi di eccellere nel suo campo per fare carriera, invece che pensare a trovarsi uno “sponsor” nell’università.

State pensando anche a prendere come esempio il modello statunitense per quel che riguarda sanzioni nel caso in cui venissero reclutati ricercatori che poi non si rivelano validi? Qui chi è a capo del dipartimento deve dimettersi e anche pagare - economicamente - per gli errori della sua decisione. Al momento non troviamo nel testo del disegno di legge proposte di questo genere: c’è la possibilità d’introdurre altri contrappesi?

Non abbiamo voluto dare a questa legge un approccio punitivo, ma piuttosto puntare sulla prevenzione.

Pensiamo sia più utile introdurre regole severe, come abbiamo fatto, invece che “punire” il singolo che, anche involontariamente, può compiere una scelta inappropriata.

Abbiamo però introdotto una sanzione per quegli atenei che, dopo aver concluso il concorso seguendo tutte le regole, non reclutino poi il vincitore, scelto da commissari per la maggior parte esterni, magari perché non gradito: non potranno bandire un concorso nello stesso settore per i successivi tre anni.

Per quanto riguarda l’ambiente accademico ci sono altre proposte che verranno valutate in futuro? Le chiedo, dunque, se state lavorando ad altre novità anche per favorire il ricambio generazionale e abbattere il clientelismo?

Questa legge, oltre che contrastare i finti concorsi, fa molto per ridurre l’età media d’ingresso in ruolo di un ricercatore, che a oggi è di circa 42 anni, e il periodo di precariato che ogni giovane ricercatore ha davanti a sé nell’intraprendere la carriera accademica.

Tra i punti più importanti c’è anche l’eliminazione della duplice figura di ricercatore (di tipo A e di tipo B) prevendendone una unica che già dal terzo anno può diventare professore associato.

Inoltre, alla Camera dei deputati ci sono altre due proposte di legge interessanti in via di approvazione che riguardano l’università. La prima è quella che estende il numero di lauree abilitanti, per agevolare il collegamento tra il mondo della formazione e il mondo del lavoro. La seconda punta ad abolire un vecchio decreto regio che impedisce l’iscrizione a due lauree contemporaneamente: pur introducendo paletti per evitare il fenomeno della cosiddetta “svendita dei titoli universitari”, puntiamo ad aumentare le opportunità per i giovani e ampliare l’offerta universitaria.

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