Dipendenti e fornitori non pagati alla NEV, unica unità operativa del gruppo ad aver già subìto ripercussioni. E con i semiconduttori ormai introvabili, l’intero settore potrebbe non reggere il colpo
Mentre il mercato cerca di ignorare la guerra di notizie e indiscrezioni attorno al destino finanziario di Evergrande, divise fra l’ottimismo di Bloomberg e i toni apocalittici del Wall Street Journal, emerge una realtà decisamente preoccupante.
Ad oggi, infatti, l’unica divisione del conglomerato cinese ad aver già patito conseguenze dirette e concrete dalla crisi di liquidità è quella dell’auto elettrica - Evergrande NEV -, i cui dipendenti non avrebbero ricevuto la seconda tranche mensile dello stipendio e i fornitori si sarebbero visti rifiutare i pagamenti. Tanto da aver ritirato i propri dipendenti in job-on-call dalle fabbriche e bloccato le future forniture di materiali e apparecchiature. Molti lavoratori del gruppo, infatti, ricevono il salario il primo e il 20 del mese e, ad oggi, risulta saldato soltanto il primo ammontare del dovuto.
A detta di alcuni analisti, di fatto, la chiara evidenza che la crisi finanziaria ha già contagiato ambiti esterni al core business immobiliare del gruppo. Per altri, invece, un segnale paradossalmente ancora peggiore: dovendo immediatamente sacrificare qualcosa, Evergrande ha scelto il comparto dell’auto elettrica. La ragione? La mostrano questi grafici,
dai quali si evince come la crisi dei semiconduttori sia ben lungi dall’essere superata. Se il primo evidenzia come la domanda di chip ed equipaggiamenti correlati sia ancora decisamente alta, il secondo certifica una dinamica dei prezzi e del livello di esportazioni che non conosce crisi.
Anzi, tendenzialmente rischia di andare incontro a un aggravamento, sia a causa dei già programmati e annunciati aumenti a partire dal 1 ottobre da parte del leader mondiale, TMSC, sia per quanto mostrato nella terza immagine, il cosiddetto chip crunch. I tempi di attesa fra ordinazione e ricezione fisica delle merce sono saliti ulteriormente, portando la media del mese di agosto a 21 settimane. Infine, l’indice della scorte di circuiti integrati sudcoreano, nonostante un recupero dopo cinque mesi consecutivi di calo, rimane molto basso, al livello del precedente boom del settore nel 2017. A detta di Rajiv Biswas, capo economista per Asia-Pacifico presso IHS Markit, il pricing outlook di breve termine per il resto del 2021 mostra chiaramente segnali di continuazione nella dinamica di offerta insufficiente, di fatto destinata a tradursi in un’escalation del prezzi.
E se il primo mercato al mondo per soggetti operanti nel comparto EV vede un suo peso massimo sacrificare come primo agnello del gregge proprio la divisione auto elettrica sull’altare della sopravvivenza, qualcosa potrebbe riverberarsi a livello globale. Non fosse altro per le limitazioni di produzione e l’aumento dei costi connessi che la crisi dei chip porterà con sé, fra riduzione quasi esiziale dei margini e necessità di contemperare le esigenze di produzioni anche di ibrido e tradizionale alla scarsità di componentistica.
Forse, il canarino nella miniera che sta per soffocare, non è quello del mercato immobiliare, comparto sì gravato da un leverage enorme ma che nel caso specifico di Evergrande rappresenta solo il 2,4% delle liabilities totali del real estate cinese, come mostra il grafico.
Bensì, la punta di diamante dell’intero processo globale di transizione ecologica, l’avanguardia della rivoluzione green. E vista il controvalore miliardario di emissioni obbligazionarie legate ai criteri ESG che giacciono nei libri di banche, assicurazioni e fondi, più o meno frutto di greenwashing, le cartolarizzazioni sulle ghost town cinesi potrebbero tramutarsi immediatamente nell’ultimo dei problemi.
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