Previsioni prezzo petrolio 2021: l’oro nero tornerà ad essere un investimento lucrativo?
Che cosa succederà al prezzo del petrolio nel 2021?
La domanda sorge sul finire di un anno che ha trasformato l’economia mondiale, con un consuntivo che si profila particolarmente amaro per il tessuto imprenditoriale globale. Tra i vinti certamente il greggio che, dopo aver guadagnato sul campo lo status di asset finanziario altamente solido, ha mostrato nel corso di questi mesi delle performance altalenanti.
Esemplificativi in tal senso gli eventi dello scorso aprile, quando il prezzo del petrolio Wti – un benchmark nel mercato del greggio – ha iniziato a muoversi in territorio negativo per la prima volta nella storia (-37,63 dollari).
Sul rendimento discontinuo dell’oro nero hanno pesato quest’anno diversi fattori, come l’uccisione del generale iraniano Soleimani, la diffusione del coronavirus e lo scontro tra due dei maggiori produttori di petrolio, Russia e Arabia Saudita.
Dopo il picco negativo dello scorso aprile, tuttavia, il prezzo della commodity è tornato a salire, con i barili Wti che vengono scambiati attualmente a 42 dollari. La parziale ripresa del greggio solleva ora degli interrogativi sull’opportunità di investire sul petrolio il prossimo anno.
Le previsioni degli analisti sul prezzo del petrolio nel 2021
Le previsioni per l’ultimo trimestre dell’anno mostrano il petrolio ancora rallentato dalla stagnazione dell’economia. Secondo il founding partner di Again Capital, John Kilduff, “il mercato del petrolio ha subito il Covid più degli altri asset. La domanda ancora stenta a riprendersi”. Dello stesso avviso anche la Bank of America, che vede il prezzo del petrolio intorno ai 45 dollari al barile per le ultime settimane dell’anno.
Occhi puntati ora sulle prospettive del greggio nel 2021. Prendendo come riferimento il petrolio Brent, gli analisti delle maggiori banche d’investimento mondiali si sono divisi equamente tra rialzisti e ribassisti. Da un’analisi del dato aggregato relativo alle previsioni raccolte emerge che il prossimo anno – quarto trimestre del 2021 – il petrolio Brent avrà un prezzo al barile di 53,5 dollari, per un rialzo di oltre 10 dollari rispetto al prezzo corrente (ma ancora al di sotto degli standard pre-pandemia).
Tra i rialzisti Goldman Sachs, che prevede un aumento del prezzo del greggio Brent fino a quota 65 dollari al barile entro il terzo trimestre del 2021, per poi scendere a 58 dollari negli ultimi 3 mesi. Ottimisti anche gli analisti di Citigroup che vedono il prossimo anno un prezzo medio del barile di 55 dollari, con un picco di 60 dollari entro l’ultimo trimestre. Trend positivo del valore del petrolio anche per UBS, che scommette su una costante crescita del greggio verso quota 60 dollari.
Sull’altra sponda le proiezioni di Standard Chartered che prefigurano un crollo del petrolio Brent già nel terzo trimestre di quest’anno, seguito da un progressivo miglioramento che non porterà il valore del greggio oltre i 45 dollari nel 2021. A prevedere un prezzo al barile inferiore ai 50 dollari durante il prossimo anno anche Deutsche Bank, Société Générale e Commerzbank.
Il 2020 è stato un anno nero per il petrolio
L’interesse degli analisti per l’anno che verrà affonda le sue radici nei dati allarmanti relativi al prezzo del petrolio nel 2020. Un annus horribilis, quello dell’oro nero, segnato principalmente da tre macro-eventi: l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani all’aeroporto di Baghdad - ordinato da Donald Trump - lo scoppio della pandemia e la guerra dei prezzi tra due produttori di primo ordine, Russia e Arabia Saudita.
In verità, la decisione della Casa Bianca di abbattere l’ex comandante delle Guardie della rivoluzione iraniane non aveva causato, inizialmente, particolari stravolgimenti, con il prezzo del petrolio Wti che si muoveva ad inizio gennaio sui 63 dollari al barile, contro i 70 del greggio Brent. Ma l’escalation incontrollata delle tensioni sull’asse USA-Iran aveva comportato una rapida inversione di tendenza nei giorni a seguire.
Poco tempo dopo, le voci su un nuovo virus nella città cinese di Wuhan – che si rincorrevano già sul finire del 2019 - si sono concretizzate nella più violenta pandemia dai tempi dell’influenza spagnola, portando in dote una robusta contrazione della domanda di petrolio causata dalle restrizioni draconiane implementate, dall’Asia al continente americano.
Sullo sfondo anche le tensioni tra Russia ed Arabia Saudita, che la scorsa primavera hanno raggiunto l’apice. I russi avevano infatti rifiutato di firmare la proposta avanzata dall’OPEC – capeggiata dai sauditi – di ridurre la produzione mondiale di greggio per stabilizzare il mercato.
Questi fattori hanno indubbiamente giocato un ruolo nel decremento dei prezzi del petrolio nel 2020, ma focalizzarsi eccessivamente sulle congiunture sfavorevoli dell’anno in corso rischia di far perdere di vista quel macro-trend che influenza negativamente il mercato del petrolio da diverso tempo.
È dal 2017, infatti, che la domanda globale di petrolio è in picchiata. A pesare le crescenti pressioni sulla transizione energetica e la maggiore consapevolezza dei cittadini sui temi legati alla salvaguardia dell’ecosistema. Trend, questo, che il nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, sembra intenzionato a cavalcare, contribuendo a ridurre quella fetta di investitori che vedono il petrolio sopra quota 50 dollari al barile nel 2021.
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