Matteo Salvini impone al governo la linea dura per la nave Sea Watch, ma i gialloverdi in questi mesi non hanno fatto nulla in Europa per cercare di risolvere la questione immigrazione.
Ci sono due date che devono essere tenute a mente per capire tutta l’ipocrisia del governo del cambiamento nei riguardi del caso della Sea Watch 3, la nave della Ong tedesca che dopo aver forzato il blocco navale si trova ora ferma davanti al porto di Lampedusa con 40 migranti a bordo (2 sono stati fatti sbarcare per motivi di salute).
La prima è quella del 28 giugno 2018, giorno in cui si è svolto un Consiglio Europeo con al centro dell’agenda proprio la questione immigrazione. La seconda data è poi quella del 7 giugno 2019, quando si è svolto un vertice tra tutti i ministri dell’Interno dell’Unione sul tema dei migranti e dei rimpatri.
Nella prima occasione il governo si presentò con una risoluzione inutile invece di portare avanti una legge, votata dal Parlamento Europeo, che obbligava i paesi dell’Unione a rispettare le quote di redistribuzione dei migranti pena forti multe.
Nel secondo caso invece Matteo Salvini scelse di non presentarsi affatto al vertice, preferendo andare come ospite a Pomeriggio Cinque da Barbara D’Urso e poi a Biella per un comizio in vista dei ballottaggi per le elezioni amministrative.
Le colpe di Salvini e del governo sulla Sea Watch
“Sulla Sea Watch non mollo e non cambio idea”, parola di Matteo Salvini. “L’Europa ha fallito”, è stato invece il commento di Luigi Di Maio mentre il pensiero del premier Giuseppe Conte praticamente non è pervenuto.
La linea del governo gialloverde appare essere chiara: la Sea Watch non può sbarcare in quanto non ha rispettato i recenti dettami del decreto Sicurezza bis, con la colpa di fondo di questa situazione è dell’Europa che continua a rimanere immobile sul tema immigrazione lasciando tutta l’incombenza ai paesi del Mediterraneo.
Ma cosa ha fatto l’Italia nell’ultimo anno per risolvere questa situazione e combattere l’immobilismo di Bruxelles? Nulla, praticamente nulla anzi in qualche modo ha rafforzato questo stallo con le sue mosse.
Andiamo per ordine. Il problema di fondo per l’Italia è che gli altri paesi dell’Unione, in barba agli accordi sottoscritti, non rispettano le quote di ripartizione dei migranti con paesi come Polonia e Ungheria che finora non ne hanno accolti neanche uno.
Il Parlamento Europeo quindi nell’autunno 2017 ha votato, senza i voti di Lega e Movimento 5 Stelle, una risoluzione che prevede forti multe (250.000 euro per ogni migrante non accolto) per tutti quei paesi che non rispettano il patto.
Musica per le orecchie dell’Italia ma il governo del cambiamento, appena insediato, nel Consiglio Europeo del giugno 2018 incentrato proprio sul tema dell’immigrazione invece che portare avanti questa risoluzione ne ha presentata una che prevede una ridistribuzione su base volontaria.
Il motivo di questo clamoroso autogol è presto spiegato: visto che si andava verso le elezioni europee, la Lega potrebbe non aver voluto fare un torto ai paesi dell’Est suoi potenziali alleati, anche se poi adesso gli hanno voltato le spalle non unendosi al suo gruppo.
C’è stata però una seconda occasione per sistemare le cose. Il 7 giugno scorso c’è stato un vertice tra tutti i ministri dell’Interno dell’Unione dove si parlava di sicurezza, migranti e rimpatri.
Matteo Salvini dopo aver strillato durante tutta la campagna elettorale delle europee che era pronto a sbattere i pugni sul tavolo in Europa, ha disertato il vertice come tutti gli altri simili preferendo andare nell’accogliente salotto televisivo di Barbara D’Urso.
Il governo quindi ha avuto modo di inchiodare l’Europa alle proprie responsabilità, evitando così situazioni del genere, ma ha presentato risoluzioni inefficaci oppure non si è presentato per nulla ai tavoli delle trattative.
Se quindi si vuol cercare dei responsabili politici per la vicenda della Sea Watch, oltre alle colpe passate di Matteo Renzi che ha barattato l’accollo degli sbarchi in cambio di flessibilità economica, in questo momento sono tutti all’interno del governo gialloverde.
Intanto quasi in silenzio è passata la notizia che il Consiglio dei Ministri non ha discusso, rimandando a lunedì ultimo giorno utile, dell’assestamento di Bilancio fondamentale per evitare la procedura d’infrazione: di fronte però alla sicurezza nazionale, il rischio di almeno cinque manovre lacrime e sangue non può che finire in secondo piano.
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