Dichiara il falso sull’autocertificazione, ma viene assolto. Secondo una sentenza milanese non sussiste “alcun obbligo giuridico, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate, di dire la verità”.
Non c’è obbligo di verità sull’autocertificazione. È quanto stabilito da una giudice a Milano, nell’ambito di un processo a un 24enne che, nel marzo scorso in pieno lockdown, aveva dichiarato, mentendo, che stava tornando a casa da lavoro.
Con la zona gialla sparita dalla mappa dell’Italia, il modello dell’autocertificazione è utilizzato per la maggior parte degli spostamenti. In zona arancione, infatti, è obbligatorio redigerla per ogni spostamento fuori dal Comune, mentre in zona rossa bisogna portarla con sé per ogni spostamento fuori dalla propria abitazione.
In teoria, una denuncia per falso in attestazione può costare in una condanna da 1 a 6 anni di reclusione, in base alla gravità del fatto. Per quanto riguarda l’autocertificazione, ad esempio, potrebbero esserci inesattezze o falsi su motivi di salute o lavoro inesistenti, oppure indirizzo di abitazione non veritieri, etc.
Non è stato così per il giovane milanese, che se condannato avrebbe dovuto pagare oltre 2mila euro.
Dichiarare il falso nell’autocertificazione non è reato - la sentenza
Il 14 marzo scorso, durante un controllo alla stazione Cadorna, il giovane aveva dichiarato agli agenti di essere di ritorno a casa dopo un turno in negozio. Dieci giorni dopo, però, nel corso di una verifica un agente, contattato il datore di lavoro, scopre che il 24enne, quel giorno, non era di turno.
“Un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge”. Lo ha scritto nero su bianco la gup Alessandra Del Corvo, accogliendo la richiesta di assoluzione da parte della Procura di Milano.
È anzi “evidente come non sussista alcun obbligo giuridico, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate, di ‘dire la verità’ sui fatti oggetto dell’autodichiarazione sottoscritta, proprio perché non è rinvenibile nel sistema una norma giuridica” in proposito.
Non solo. Anche se tale legge esistesse, sarebbe comunque “in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo” previsto dalla Costituzione.
Pertanto la gup ha deciso con rito abbreviato per l’assoluzione, “perché il fatto non sussiste”.
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