Bonus in busta paga? Per Elsa Fornero è inutile e in alcuni casi persino dannoso: “Protrae il declino del mercato del lavoro”.
Elsa Fornero - ministra per il Lavoro nel governo Monti nonché autrice di una delle riforme delle pensioni più contestate degli ultimi anni - ha commentato lo sgravio contributivo introdotto dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni spiegando le ragioni per cui rischia di essere inutile se non persino dannoso.
Lo fa con un articolo pubblicato su La Stampa, dove Elsa Fornero motiva la sua bocciatura ritenendo che la crisi del mercato del lavoro non si risolve per decreto. Misure spot come il taglio del cuneo fiscale garantiranno sì un aumento di stipendio nel breve periodo ma non risolvono quei problemi strutturali che ci trasciniamo ormai da troppo tempo.
Come ci ricorda Fornero, infatti, nel 21° rapporto annuale dell’Inps è stato pubblicato uno studio realizzato da Nicola Bianchi e Matteo Paradisi, con il quale viene messo in risalto l’aumento dei divari salariali tra lavoratori giovani e anziani.
Chi inizia a lavorare oggi, infatti, percepisce uno stipendio sempre più distante da quello di chi lo ha fatto negli anni addietro. Ed è per questo motivo che il governo Meloni ha scelto di favorire i redditi più bassi provvedendo a un ulteriore taglio del cuneo fiscale. Nel dettaglio, viene introdotto un bonus in busta paga - variabile a seconda dello stipendio percepito - grazie a uno sgravio fino al 7% della quota contributiva a carico del lavoratore. A beneficiarne saranno i redditi fino a 25 mila euro, mentre per chi supera questa soglia ma resta dentro i 35 mila euro lo sgravio sarà del 6%.
Tuttavia, Elsa Fornero boccia questo bonus convinta del fatto che il problema dei salari - prendendo atto delle ragioni che lo hanno fatto nascere - richieda politiche più lungimiranti per essere risolto.
Perché la differenza tra stipendi dei lavoratori giovani e anziani è sempre maggiore
La prima ragione della differenza tra stipendi dei lavoratori giovani e anziani, a netto vantaggio di quest’ultimi, secondo Fornero è data dalla maggiore esperienza. L’anzianità viene infatti premiata con incrementi salariali dai contratti di lavoro, il che è giusto ma “entro certi limiti”. Come spiega Fornero, infatti, sarebbe opportuno che l’esperienza corrisponda anche a una maggiore produttività (altrimenti che senso ha premiare il dipendente?), fattore che non sempre si realizza al giorno d’oggi visto che la veloce innovazione tecnologica spesso rende più produttivi i lavoratori più giovani rispetto ai più anziani.
In secondo luogo dipende dal settore d’impiego. Negli ultimi 30 anni, infatti, si è ridotta la presenza nei settori con produttività maggiore e quindi in grado di corrispondere stipendi più alti: anziché le assunzioni nel settore dell’elettronica, della chimica e della farmaceutica, infatti, sono aumentate quelle in settori a produttività - e quindi stipendio - minore, specialmente nel settore del turismo dove la concentrazione di giovani è maggiore. Un settore dove non solo gli stipendi sono più bassi ma si rileva persino una maggiore precarietà.
A tal proposito, una “perdita di settori ad alta produttività indebolisce il Paese e non è invitante per i giovani”: più che concentrarci su come aumentare la produttività - sulla quale l’Italia “non è meno brava rispetto a tedeschi e francesi” - bisognerebbe tornare a investire nei settori più avanzati.
E ancora, ritiene Fornero, c’è un “maggior peso sindacale, politico e anche sociale dei lavoratori meno giovani”: basti pensare che “la società nel suo complesso è nettamente più propensa a dedicare risorse al salvataggio di un’impresa tradizionale in difficoltà che al finanziamento di un’impresa giovane che cerchi di crescere”. Il che è molto differente da quanto accade in altri Paesi, come ad esempio negli Stati Uniti, dove anziché puntare alla conservazione si favorisce l’innovazione.
L’errore è stato delle generazioni passate, convinte che la crescita sarebbe stata spontanea e per questo motivo non necessitasse di essere incentivata in alcun modo. Anziché pensare alle generazioni future, spiega Fornero, si è contribuito a:
- svilire il sistema educativo e della formazione professionale;
- investire l’ancora abbondante risparmio privato soprattutto nel patrimonio abitativo;
- favorire il debito pubblico anziché la formazione di capitale sociale;
- beneficiare di pensioni anticipate elargite da politici ansiosi di attrarne i voti;
- ottenere, anche con l’aiuto del sindacato, salari crescenti sulla base della sola anzianità, anziché del merito e della produttività.
Bonus busta paga bocciato, “Protrae il declino” secondo Fornero
Anziché prendere atto dei suddetti problemi, così da pensare a come risolverli con riforme di lungo periodo, i governi negli ultimi anni si sono concentrati perlopiù su misure spot transitorie volte a ridurre - seppur di poche decine di euro - il gap salariale in oggetto.
Ne è un esempio il taglio al cuneo fiscale del governo Meloni che premia i redditi più bassi: un bonus (qui le cifre) che tuttavia non risolve la crisi del mercato del lavoro. Con misure di “temporaneo alleggerimento del carico fiscale e del costo del lavoro” (ricordiamo che al momento lo sgravio è in vigore solamente nel 2023) i governi non fanno altro che protrarre il declino, non dando ai giovani le risposte che meritano, nonché “invitandoli a emigrare, in cerca delle opportunità mancanti nel nostro Paese”.
Cosa fare adesso?
Concludendo, il governo dovrebbe essere coraggioso e farsi carico di misure più lungimiranti: ad esempio, anziché a bonus e agevolazioni bisogna dare priorità alla preparazione e lavoro dei giovani e in quest’ottica non si possono non utilizzare le risorse del Pnrr, il quale altrimenti rischia di essere “l’ennesima occasione perduta con lo sguardo rivolto al passato”.
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