In arrivo un aumento di stipendio, ma non per tutti: il governo esclude ancora chi guadagna più di 35 mila euro l’anno, i quali continuano a pagare a pieno le conseguenze dell’inflazione.
Dopo il bonus 200 euro è in arrivo una nuova misura straordinaria con cui contrastare la perdita del potere d’acquisto dovuta all’alto tasso d’inflazione. Si tratta di un taglio del cuneo fiscale che probabilmente interesserà gli ultimi stipendi del 2022, il quale verrà finanziato da un nuovo decreto che dovrebbe essere approvato entro la settimana corrente.
Si procederà con un nuovo taglio dei contributi per la parte che grava sul dipendente, come tra l’altro già fatto con la legge di Bilancio 2022, con la quale è stato introdotto uno sgravio contributivo dello 0,8% per gli stipendi che non superano i 2.692 euro. Di fatto, quindi, tale misura è riservata a coloro che hanno un reddito annuo non superiore ai 35 mila euro.
Questa è la soglia individuata anche per il riconoscimento del bonus 200 euro introdotto dal primo decreto Aiuti, con il quale sono stati esclusi coloro che, avendo un reddito annuo superiore a 35 mila euro, non hanno avuto alcuna busta paga inferiore ai suddetti 2.692 euro.
E ancora una volta, viste le indiscrezioni sul nuovo decreto Aiuti in arrivo questa settimana, sembra che chi guadagna più di 35.000 euro, anche se è appena sopra a questa cifra, non riceverà alcun aiuto, pagando dunque in toto le conseguenze dell’inflazione.
La perdita del potere d’acquisto è per tutti, gli aumenti di stipendio no
Secondo gli ultimi dati, a luglio il tasso d’inflazione nei 19 Paesi dell’Eurozona ha raggiunto l’aumento record dell’8,9%. E ancora, secondo i dati pubblicati dall’Unione nazionale dei consumatori, l’inflazione costa a ogni famiglia fino a 900 euro in più.
I rincari riguardano diversi settori: dai prodotti alimentari - su tutti l’olio diverso da quello d’oliva, a seguire il burro, la farina e la pasta - ai costi dell’energia e dei trasporti.
Nel frattempo i salari crescono molto meno velocemente rispetto all’inflazione e da ciò ne determina una considerevole perdita d’acquisto delle retribuzioni. Uno stipendio da 1.000 euro, quindi, nel 2021 era molto più performante rispetto a quest’anno, visto che con la stessa retribuzione si possono comprare, e fare, molte meno cose.
Ben vengano, dunque, le mosse del governo Draghi: anche se non sempre sufficienti a compensare la perdita di acquisto registrata, infatti, misure come il bonus 200 euro sono utili per arginare gli effetti della crisi.
Il problema è che ci sono alcune famiglie che pur pagando le conseguenze dell’inflazione, al pari di tutti gli altri, non stanno ricevendo alcun aiuto: si tratta appunto di coloro che guadagnano più di 35.000 euro, nei confronti dei quali sembra che il governo abbia avvallato la perdita del potere d’acquisto.
È giusto negare gli aiuti a chi guadagna più di 35.000 euro?
La ratio del provvedimento è chiara: viste le poche risorse a disposizione, il governo ha preferito concentrarsi sui redditi più bassi, tenendo fuori chi guadagna cifre superiori a 35 mila euro.
Non un ragionamento illogico, ma siamo sicuri che la soglia di 35 mila euro sia sufficiente per dire che una famiglia non abbia bisogno di un aiuto economico? Anche perché un conto è uno stipendio di 50.000 euro lordi l’anno, un altro di 35.009 euro; paradossalmente, infatti, basta guadagnare poco più di 1 euro, lordi, in più al mese rispetto a chi ha uno stipendio mensile di 2.692 euro per essere esclusi da qualsiasi aiuto.
Ci sono famiglie numerose dove un solo componente lavora, e dove con stipendi compresi nella fascia 35.000-40.000 euro si fa comunque difficoltà ad arrivare alla fine del mese, specialmente adesso che l’inflazione sta facendo crescere alle stelle i costi della spesa. Perché escluderle a priori dalla possibilità di beneficiare degli aiuti di Stato?
Con questo ovviamente non vogliamo dire che gli aiuti dovrebbero spettare a tutti, ma sarebbe opportuno, probabilmente, prevedere un sistema progressivo, dove spetta meno a chi guadagna di più. Ad esempio, sopra i 35 mila euro di reddito l’importo spettante si riduce progressivamente, fino ad arrivare a zero al raggiungimento di una certa soglia (che potrebbe essere di 40 o 45 mila euro).
Così si risolverebbe il paradosso per cui chi ha uno stipendio di 2.693 euro (35.009 euro l’anno), appena 1 euro in più rispetto ai 2.692 euro individuati come limite massimo, non riceva alcunché.
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