Buste paga, dimentica quanto guadagni oggi. Stanno per arrivare i tagli di stipendio

Simone Micocci

2 Agosto 2024 - 12:19

Cuneo fiscale da confermare per il 2025: ma non sarà semplice trovare i soldi per farlo.

Buste paga, dimentica quanto guadagni oggi. Stanno per arrivare i tagli di stipendio

Il governo deve affrontare una sfida molto complicata in vista del prossimo anno: scongiurare il taglio degli stipendi.

A oggi sono due le misure che contribuiscono al potere d’acquisto degli stipendi: da una parte la decontribuzione per i redditi fino a 35mila euro (a cui si aggiunge quello riconosciuto alle mamme), dall’altra l’Irpef a tre aliquote.

Misure che, a seconda di quanto si guadagna, riconoscono un aumento fino a 1.000 euro l’anno, soldi che non è detto vengano garantiti anche il prossimo anno. Perché per quanto il governo Meloni abbia più volte assicurato che l’intenzione del governo è quella di confermare queste due misure anche per il prossimo anno, bisogna fare i conti con i vincoli di bilancio che dovranno essere rispettati nella prossima manovra.

A tal proposito, una risposta più chiara sulla possibilità che nel 2024 gli stipendi possano essere tagliati la avremo a settembre, quando con la nota di aggiornamento al Def il governo farà luce sulle risorse a disposizione per la legge di Bilancio. Per il momento però, specialmente considerando la procedura di infrazione avviata nei nostri confronti, tutto lascia pensare che a qualcosa si dovrà rinunciare.

Perché il governo rischia di non confermare gli aumenti di stipendio

Nei mesi scorsi l’Ue ha avviato una procedura d’infrazione ai danni dell’Italia a causa di un deficit eccessivo. Una decisione che era stata ampiamente prevista e che per questo non cambia i piani del governo, ma che conferma l’importanza per cui a partire dalla prossima legge di Bilancio il governo dovrà fare attenzione ai conti.

A tal proposito, entro il prossimo 20 settembre il governo dovrà realizzare il piano pluriennale di contenimento della spesa corrente primaria, con il quale bisognerà indicare le fonti di finanziamento per la conferma delle misure che - come lo sgravio contributivo - sono state introdotte a sostegno della busta paga.

Non sarà affatto facile alla luce del quadro attuale, con l’Italia che non solo non può più prevedere misure in deficit (nel 2024 ce ne furono per 15,7 miliardi) ma dovrà anche iniziare a ridurre il debito. A tal proposito, per la correzione del deficit vanno considerati circa 13 miliardi di euro, già inseriti nel Documento di economia e finanza.

Per il resto, il governo dovrebbe avere a disposizione per la legge di Bilancio 2025 tra i 20 e i 24 miliardi. Per confermare alcuni degli interventi in vigore quest’anno ne serviranno tra i 18 e i 20.

Ecco perché la conferma dello sgravio contributivo è tutto fuorché scontata come la si vuole far passare, ma d’altronde lo stesso governo non ha mai dato certezze a riguardo. Tanto il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, quanto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ne hanno parlato come una priorità condizionata però da quelli che sono i vincoli di bilancio.

Ma un taglio degli stipendi sarebbe davvero una cattiva notizia?

Va detto che lo sgravio contributivo rappresenta comunque una misura che non può essere confermata per sempre. E non solo perché obbligherebbe i governi a trovare ogni anno circa 10 miliardi di euro per farlo, ma anche perché - come spiegato da diverse istituzioni - rischia di “drogare” il mercato del lavoro.

Lo stesso Ufficio parlamentare di Bilancio nelle scorse settimane ha avvertito riguardo ai rischi di rendere strutturale lo sgravio contributivo (cosa che, vi anticipiamo, non accadrà mai), in quanto rischia di generare una “trappola di povertà”.

Così come Bankitalia, secondo cui anche prorogare temporaneamente lo sgravio rischia di essere molto dannoso per il bilancio pubblico. Così come ovviamente sarebbe rischioso renderla strutturale, rinunciando di fatto a quei soldi di cui lo Stato ha bisogno per finanziare assistenza e previdenza. Guadagneremmo sicuramente di più se non dovessimo versare i contributi, ma di fatto non è assolutamente possibile che un tale scenario si concretizzi.

Anche perché i vantaggi di una tale misura sembrano essere più politici che reali. Come spiegato dall’Istat, infatti, il costo di 10 miliardi che lo Stato deve sostenere per la conferma del bonus contributi non viene compensato da chissà quali vantaggi sull’economia. Stando alle simulazioni, infatti, nel caso in cui il taglio del cuneo fiscale dovesse essere finanziato totalmente a debito ci sarebbe un impatto positivo sui consumi di appena lo 0,2% del PIL. Ancora peggio andrebbe nel caso in cui dovesse essere finanziato attraverso tagli alla spesa pubblica, il che comporterebbe persino un valore negativo.

È vero quindi che lo sgravio contributivo ha garantito un aumento persino superiore a 1.000 euro l’anno per alcuni lavoratori, ma a che prezzo? A cosa si sta rinunciando per prevedere un meccanismo che tra l’altro rischia di deresponsabilizzare i datori di lavoro, i quali proprio alla luce dei soldi riconosciuti con lo sgravio rinunciano ad aumentare gli stipendi?

Vedremo dunque cosa succederà, se si andrà in direzione di una nuova conferma - con il problema che inevitabilmente si riproporrà nel 2026 e negli anni a venire, fino a quando non ci sarà un governo disposto a prendersi la responsabilità di una decisione impopolare ma necessaria - oppure se inizierà fin da subito il taglio in busta paga, se non totale almeno parziale con un ritorno ad esempio a una decontribuzione del 3% o 4% (mentre oggi è del 6% e 7% per le buste paga rispettivamente di importo non superiore a 2.692 e 1.923 euro).

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