In alcuni casi è possibile chiedere l’aumento di stipendio direttamente al giudice. Ecco come fare e soprattutto quando conviene farlo.
Il lavoratore che ritiene di percepire uno stipendio inadeguato può richiederne l’aumento al giudice, indipendentemente dal limite indicato dal Ccnl di riferimento. La recente sentenza della Corte di Cassazione, nello specifico la n. 27711/2023, ha infatti ribadito la capacità della giurisprudenza di superare anche le contrattazioni collettive nazionali.
Ciò deriva principalmente dal fatto che il diritto alla retribuzione trova le sue radici nella Costituzione (la norma suprema nell’ordine gerarchico) che ne sancisce gli elementi imprescindibili.
In particolare, l’articolo 36 recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge”.
Naturalmente, la possibilità di ottenere un aumento dello stipendio dal giudice è subordinata alla lesione del diritto garantito dalla Costituzione e quindi ai principi di proporzionalità e dignità.
Quando si può chiedere l’aumento di stipendio al giudice
La sentenza citata ci ricorda la preminenza delle norme costituzionali su tutte le altre, da cui deriva la possibilità per i giudici di superare anche i Ccnl e le leggi sul lavoro, ma solo quando non conformi. I concetti di proporzionalità tra prestazione e retribuzione e dignità del lavoratore sono indubbiamente fondamentali, ma non semplici da individuare.
In Italia, non c’è un minimo salariale garantito dalla legge, pertanto gli elementi oggettivi di confronto devono essere trovati nelle contrattazioni collettive di settori affini a quello in oggetto – sia interne che europee - e negli indicatori calcolati dall’Istat sulla soglia di povertà e sul costo della vita.
In linea di principio, lo stipendio è incostituzionale quando è inferiore alla soglia di povertà e molto discrepante rispetto alle retribuzioni pattuite per attività e settori analoghi, ma anche quando semplicemente non è compatibile con il costo della vita.
La richiesta di vita dignitosa fatta dalla Costituzione, infatti, comprende oltre alle esigenze primarie (vitto, alloggio e sanità) anche i bisogni educativi, sociali e culturali dell’individuo, come peraltro sancito anche dalla direttiva Ue 2022/2041.
Lo stipendio di un lavoratore a tempo pieno dovrebbe, in modo commisurato alla professione, consentirgli di rispondere a tutte queste necessità, indipendentemente dalla soglia di povertà e dal Ccnl.
Quando conviene ricorrere al giudice e come fare
Ne consegue che non è possibile, né utile, intentare causa per ottenere il desiderato aumento di stipendio che non si basi sui principi illustrati. Il lavoratore dovrebbe infatti verificare la retribuzione (netta) e paragonarla alla soglia di povertà Istat, facilmente ottenibile dal calcolatore online, e raffrontarla al costo della vita reso dagli indicatori.
Chiaramente, il lavoratore sa già se il suo stipendio gli permette di pagare altro oltre alle esigenze essenziali come vitto, alloggio, vestiario e medicine, ma i dati alla mano sono indispensabili per capire se conviene rivolgersi al giudice. Per chiedere un aumento dello stipendio bisogna infatti rivolgersi a un avvocato e avviare la causa civile, operazioni che comporteranno il pagamento delle spese legali e processuali in caso di sconfitta.
È poi comunque il legale a valutare la situazione prima di ricorrere al tribunale, ma per evitare una spesa inutile (a meno che si rientri nel gratuito patrocinio) è conveniente valutare prima la situazione in autonomia, almeno a caratteri generali, prima di sottoporla all’analisi più attenta del professionista.
Ad ogni modo, la causa risulta conveniente quando lo stipendio è inadeguato rispetto ai principi elencati ed è importante che siano considerati complessivamente (si raccomanda di utilizzare come riferimento lo stipendio netto).
Infine, può essere molto utile in merito anche la direttiva Ue 2022/2041, secondo la quale il salario minimo lordo non dovrebbe essere più basso del 60% rispetto al salario mediano lordo. L’insieme dei parametri economici, nazionali e no, non dovrebbe infatti mostrare un’eccessiva differenza tra il salario minimo e quello mediamente percepito, perlomeno se la retribuzione è legittima.
Non bisogna comunque dimenticare il valore giurisprudenziale delle sentenze di Cassazione, con conseguente probabile adeguamento dei tribunali ordinari.
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