L’ennesimo caso di femminicidio (quota 105 donne nel solo 2023) di Giulia Cecchettin mette di fronte alla necessità di porre un freno alla violenza sulle donne. Quali sono gli strumenti?
In queste ore le parole che si leggono in maniera quasi ripetitiva sono “lo sapevamo.” Lo sapevamo non perché Giulia Cecchettin o Filippo Turetta avessero lasciato una lettera con le proprie dichiarazioni di intenti o un messaggio allarmante, ma perché non è il primo femminicidio, ma l’ennesimo. Dopo anni di numeri altissimi, sappiamo riconoscere i pattern della violenza di genere. La violenza sulle donne per mano di uomini è iscrivibile all’interno di una “piramide” che ha alla base il linguaggio sessista - così comune nei nostri media e sempre in bocca ai nostri politici - e al cui vertice c’è la violenza più esplicita, come quella psicologica, lo stupro e in ultimo il femminicidio.
Per fermare la violenza sulle donne non basta saperlo e non serve neanche pregare, come invece ha fatto Antonio Tajani; c’è necessità di abbattere la base della piramide, ovvero di agire in maniera complessa: dall’educazione dei più piccoli, fino alla prevenzione grazie un sistema di sensibilizzazione che passi nei canali di divulgazione degli adulti, come la televisione.
A leggere i commenti degli esponenti dei partiti al governo sembra che non sappiano come fermare la violenza di genere, perché non nominano mai l’ingrediente che secondo i dati statistici e la richiesta dal basso di associazioni, attiviste e persone comuni potrebbe davvero fare la differenza per le generazioni future: l’educazione alla sessualità.
“Come fermare la violenza sulle donne?” è una domanda atavica perché allo stato attuale dei fatti non vedrà mai una soluzione. Non ci si muove abbastanza nella direzione dell’educazione e della prevenzione e l’inasprimento delle leggi serve al concetto di giustizia, che arriva dopo la violenza. Bisogna prima subire la violenza, dimostrare di averla subita e allora forse (se si ha il giudice giusto, l’avvocato giusto, se non si trovano escamotage per addossare la colpa alla vittima e se l’abuser non è troppo ricco, una persona che salutava sempre, un bravo ragazzo che faceva i biscotti e che amava troppo) allora, e solo allora, si ottiene un riconoscimento della violenza. Ma per fermare la violenza sulle donne c’è bisogno prima di tutto di educazione e l’Italia è ancora oggi uno dei pochi Paesi nell’Unione Europea a non avere l’obbligo all’educazione alla sessualità a scuola.
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La violenza sulle donne: parliamo di numeri
Per poter parlare di un fenomeno complesso come la violenza di genere, bisogna parlare di numeri. Nell’introduzione è stata già citata la piramide della violenza di genere: ognuno dei fenomeni citato dalla piramide è accompagnato da percentuali che ogni anno i maggiori centri di statistica aggiornano. Anche il sito del ministero della Salute o quello del governo italiano hanno degli spazi dedicati alla violenza contro le donne per mano degli uomini, descritto come problema di sanità pubblica, problema culturale e sociale. Esiste persino una giornata dedicata, ovvero la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne fissato il 25 novembre dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Il 25 novembre gli Stati, le associazioni e i singoli si ritrovano a discutere del fenomeno della violenza di genere e delle possibili soluzioni. Per tutto il mese di novembre esistono giornate dedicate all’attivismo, alla sensibilizzazione e all’educazione. Quindi non più un giorno, ma un mese. Però la violenza continua a esistere ed è forse un altro slogan che esprime al meglio la quantità di tempo necessario a educare: “Il 25 novembre è ogni giorno”.
Ma se è così, perché nell’ultimo anno sono stati tagliati il 70% dei fondi alla prevenzione della violenza di genere? Rispetto al 2022 infatti si è passati da 17 milioni, a 5 milioni di euro nel 2023. Sono fondi insufficienti a fronte di:
- casi di linguaggio sessista
- victim blaming
- gender pay gap
- catcalling
- stalking
- condivisione non consensuale di materiale intimo
- violenza economica
- stealthing
- coercizione riproduttiva
- stupro
- violenza psicologica
- femminicidio
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Educazione e prevenzione: la necessità di un passo in più
La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, si è rivolta alla presidente del consiglio Giorgia Meloni per mettere da parte le differenze politiche e portare a casa risultati concreti in ambito educativo e di prevenzione contro la violenza sulle donne. Scrive:
Mi rivolgo anche alle altre forze politiche, la politica su questo non si riduca a dichiarazioni e riti ripetuti. Possiamo e dobbiamo fare di più.
Dobbiamo fermare questa spirale di violenza, ci riguarda tutte e tutti. E riguarda anzitutto gli uomini, perché non può essere un grido e un impegno solo delle donne in lotta per la propria libertà. Il problema della violenza di genere è un problema maschile. Serve consapevolezza per sradicare la cultura patriarcale di cui è imbevuta la nostra società.
La richiesta lecita da parte della segretaria del PD potrebbe però trovarsi di fronte a un ostacolo insormontabile: l’ideologia. Solo sei mesi fa infatti Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti sulla “Convenzione di Istanbul” contro la violenza sulle donne, motivando la decisione con riferimento a una generale preoccupazione sulle tematiche legate al gender. Strano, perché il trattato è concentrato sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e non contro l’identità di genere.
Il problema ideologico è che, come l’ampiamente sostenuto da Pro Vita & Famiglia, l’educazione alla sessualità e all’affettività è vista come una cosa di sinistra e un potenziale rischio di manipolazione nei più piccoli. Inutile dire che è proprio dalla tenera età che concetti come rispetto e consenso, uguaglianza e giustizia hanno più probabilità di attecchire. La chiamano “teoria del gender”, perché secondo i detrattori dell’educazione alla sessualità nelle scuole si rischia di parlare di sesso e sessualità ai minori. Un “rischio” a cui vanno comunque incontro giornalmente in ambienti meno sicuri come le proprie camerette, attraverso internet (quando non seguono profili di attivismo) in famiglia, composta da adulti che a loro volta non hanno avuto un’educazione di genere.
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La violenza è degli uomini contro le donne, ma non fanno nulla
Al netto di qualche dichiarazione dispiaciuta, qualche preghiera a Dio e all’ipotesi di una manifestazione di soli uomini contro il femminicidio, cosa dovrebbero davvero fare degli alleati?
A ogni nuovo evento violento, almeno quelli più espliciti come lo stupro e il femminicidio, una enorme schiera di uomini si muovono tra la televisione e i social media per dire a grande voce “Non tutti gli uomini”. Una dichiarazione che forse lo stesso Filippo Turetta o Alessandro Impagnatiello hanno fatto in passato, credendo che loro non lo avrebbero mai fatto, ma poi è successo. “Se gli uomini vogliono diventare alleati - scrive la psicologa Federica di Martino (@Ivgstobenissimo) - possono mettersi in silenzio e ascoltare, leggere e capire, prima di parlare”, ma anche scendere in piazza, usare il proprio privilegio per passare il microfono a chi fa parte di categorie marginalizzate a cui questa voce viene sistematicamente silenziato e non togliere spazio.
Ma soprattutto:
Scegliete un bel capannone, delle stanze comode, luoghi fisici e spazi online dove trovarvi per decostruire collettivamente. Create dei gruppi di autocoscienza maschile in cui mettere in campo le vostre fragilità e il vostro privilegio. Imparate dai movimenti e dalle pratiche femministe, non aspettate che siano le donne a educarvi e a lavorarvi tutto. Non abbiamo tempo, forze e voglia di lavorarvi il femminismo, fuoriuscite dalla pratica di cura, perché non siamo le vostre mammine. Smettetela di occupare i nostri spazi smettetela di darglieli, i nostri spazi. Noi dobbiamo pensare a guardarci le spalle e non farci ammazzare, se ci riesce.
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Serve educazione alla sessualità e rivoluzione culturale
I due punti sopraccitati sono il fondamento del cambiamento e del miglioramento della società: da una parte l’educazione alla sessualità (non solo l’educazione alle relazioni che dovrebbe giungere solo al liceo e in forma ridotta) e la prevenzione, dall’altra la decostruzione della violenza come romantica e normale.
Serve educazione al rispetto, alla non violenza, al consenso, ai sentimenti, al rifiuto, alle differenze, contro gli stereotipi di genere e i pregiudizi, contro i comportamenti normalizzati dalla nostra televisione e alle volte dalle voci della nostra politica.
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