In Europa c’è una crisi più grave di quella bancaria: è la crisi del lavoro e dei salari. Cosa può succedere, con la tensione sociale sempre più alta e scioperi in corso in diverse nazioni europee.
L’Europa sotto pressione con una crisi del lavoro sempre più minacciosa in alcune importanti economie.
Da Londra a Berlino e Parigi, una nuova era di agitazione dei lavoratori si sta facendo strada a colpi di scioperi e manifestazioni contro la morsa di un capitalismo ormai sotto accusa tra inflazione alle stelle e redditi bassi.
I dilaganti scioperi del servizio pubblico in Gran Bretagna, Germania e Francia, degenerati anche in episodi violenti sono il presagio di un periodo cupo per l’Europa, con una tensione sociale pronta a scoppiare.
Incitato da una crisi del costo della vita epocale, l’umore nelle principali economie della regione sta precipitando verso la rabbia e il confronto per difendere il valore dei diritti del lavoro attuali o futuri si sta facendo duro. Sullo sfondo, i governi sono alle prese con finanze pubbliche sotto assedio tra debiti più onerosi e sostegni fiscali necessari.
Più che una crisi bancaria, l’Europa deve temere turbolenze nel mondo del lavoro.
Europa: terremoto sociale con la crisi del lavoro che avanza
L’Europa è in fermento, pressata da lavoratori frustrati da salari non al passo con un’inflazione da record.
Nelle ultime settimane, le richieste salariali si sono imposte con scioperi e manifestazioni in alcune importanti capitali d’Europa. Sono stati presi di mira i servizi per i cittadini, come si è visto nel blocco del sistema sanitario britannico o nelle chiusure dei trasporti in Germania, con la minaccia di ulteriori interruzioni dei viaggi in arrivo quest’estate. La Francia sta inoltre sopportando una forte resistenza contro i tentativi di innalzare l’età pensionabile del Governo Macron.
La lotta in corso tra lavoratori pressati da un costo della vita pesante e imprenditori mira a raggiungere nuovi accordi sugli stipendi, che però possono a loro volta alimentare l’inflazione come spesso ripetuto anche da Lagarde e funzionari Bce.
Per Marcel Fratzscher, capo dell’Istituto tedesco per la ricerca economica con sede a Berlino ed ex funzionario della Banca centrale europea, le mutevoli dinamiche potrebbero far presagire anni di intense controversie nelle economie della regione.
“I tempi di un mercato in cui i datori di lavoro potevano più o meno dettare salari e condizioni di lavoro sembrano essere finiti”, ha affermato.
Lo sfondo di questo cambiamento è duplice. In primo luogo, la manodopera ha perso terreno rispetto al capitale negli ultimi decenni, con salari reali sempre più ridotti in molti Paesi dalla crisi finanziaria del 2008.
“Ci sono molte ragioni alla base di questo declino: una di queste è ovviamente la globalizzazione, un’altra è il cambiamento tecnologico”, ha affermato Rosalia Vazquez-Alvarez, specialista in salari presso l’Organizzazione internazionale del lavoro a Ginevra. “Chiaramente anche il potere contrattuale dei lavoratori è diminuito.”
In secondo luogo, il catalizzatore più recente verso l’agitazione è stata l’inflazione a due cifre sia nel Regno Unito che in tutta la regione dell’euro.
In sintesi, si sta radicando un clima di tensione sociale da non sottovalutare. Con i tassi di interesse che aumentano, l’inflazione del carrello della spesa che rimane elevata e i Governi pressati da un ritorno al controllo debito e conti pubblici, la situazione potrebbe degenerare con i lavoratori sempre più in difficoltà.
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La stagione degli scioperi per i salari è solo all’inizio?
Ciò che è chiaro è che la lotta per maggiori salari nelle principali economie europee sta guadagnando slancio in questo momento.
L’appartenenza sindacale, per esempio, è in crescita nel Regno Unito e nei settori in sciopero in Germania, dove la quota di lavoratori iscritti a un sindacato si era ridotta al 16% prima della pandemia, dal 30% all’inizio del secolo.
Anche il sostegno pubblico sembra essere favorevole, spinto dalle diffuse preoccupazioni degli elettori sulla disuguaglianza economica.
Anche nel Regno Unito, un Paese in cui lo scetticismo nei confronti dei sindacati è storicamente maggiore, un sondaggio Ipsos di febbraio ha rilevato che la maggioranza degli elettori era favorevole allo sciopero. La simpatia per gli scioperanti varia dal 63% a sostegno degli infermieri al 36% e al 30% rispettivamente per macchinisti e avvocati, secondo YouGov.
Mentre lunedì scorso la Germania è stata paralizzata dagli scioperi dei viaggi, la maggioranza degli elettori intervistati ha espresso una certa simpatia.
È probabile, tra l’altro, che la situazione di stallo dei trasporti di quel Paese continui a mostrare uno dei tanti fronti nella lotta tra lavoro e capitale.
Il clima può inasprirsi. E questo sarà un problema da affrontare in Europa.
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