Come impugnare un licenziamento illegittimo: termine e procedura

Isabella Policarpio

16/09/2020

Che fare in caso di licenziamento illegittimo? Come riconoscerlo, termini e modalità per impugnarlo in tribunale e come ottenere risarcimento e reintegro nelle mansioni.

Come impugnare un licenziamento illegittimo: termine e procedura

Il licenziamento illegittimo può essere impugnato e dà diritto a ricevere una somma a titolo di risarcimento danno e, in alcuni casi particolarmente gravi, anche il reintegro al lavoro.

Per impugnare il licenziamento bisogna però fare attenzione al fattore temporale: la legge infatti stabilisce in maniera tassativa i termini per rivolgersi all’Ispettorato, al giudice del lavoro o chiedere la conciliazione.

Spetta al giudice valutare se il licenziamento sia stato veramente illegittimo oppure sia dovuto ad un comportamento inappropriato o vietato del dipendente.

Se hai ricevuto una lettera di licenziamento e ritiene che sia ingiusta ecco cosa devi fare.

Quando il licenziamento si considera illegittimo

Un licenziamento può essere illegittimo per un lungo elenco di motivi, ovvero ogni volta che mancano i presupposti giuridici e motivazioni valide che lo giustificano. Per questo è sempre illegittimo il licenziato per:

  • motivi discriminatori;
  • quando non sussiste crisi aziendale o ragioni tecnico operative che prevedono la riduzione di personale;
  • disciplinare se l’inadempimento del dipendente è lieve o assente;
  • se avviene in forma orale e non scritta;
  • se viene intimato alla donna in gravidanza o fino al primo di età del bambino.

I motivi, dunque, possono essere tanti; in questi casi il licenziamento può essere impugnato al fine di riottenere il posto di lavoro e il risarcimento danni.

Termini per impugnare licenziamento illegittimo

Per impugnare la lettera di licenziamento ci sono precisi termini da rispettare, altrimenti non sarà più possibile agire in giudizio anche quando i motivi del licenziamento sono palesemente contrari alle norme di diritto del lavoro.
I termini per contestare il licenziamento illegittimo sono i seguenti:

  • entro 60 giorni dalla ricezione della lettera il dipendente deve presentare richiesta di impugnazione;
  • entro i successivi 180 giorni il ricorso va depositato presso la cancelleria del Tribunale.

La comunicazione al datore di lavoro

Per impugnare correttamente il licenziamento bisogna prima avvisare il datore di lavoro, inviando una lettera formale nelle quale si annuncia l’intenzione di ricorrere alle vie legali. Tuttavia non è necessario spiegare nel dettaglio quali sono le ragioni dell’impugnazione e perché si ritiene che il licenziamento sia illegittimo.

La lettera in questione può essere inviata o dal dipendente stesso oppure dall’avvocato da lui incaricato o ancora dall’associazione sindacale a cui il dipendente aderisce.

Il ricorso in tribunale e il tentativo di conciliazione

Oltre alla lettera al datore, è necessario anche depositare il ricorso presso la cancelleria della sezione lavoro del tribunale onorario. Anche questa operazione è soggetta ad un termine: entro 180 giorni dalla spedizione della lettera con cui si annuncia la volontà di impugnare il licenziamento.

In alternativa, sempre entro 180 giorni, il dipendente licenziato può richiedere il tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro. Se l’azienda non si presenta al tentativo di conciliazione o l’accordo non viene raggiunto, al dipendente non resta che intraprendere le vie legali facendo ricorso al giudice del lavoro entro 60 giorni.

Il ricorso presso il giudice del lavoro

L’azione giudiziale si intraprende tramite deposito del ricorso davanti al tribunale territorialmente competente. Il giudice del lavoro chiamato in causa fissa l’udienza di comparizione delle parti nei 40 giorni successivi. Il lavoratore deve comunicare al datore di lavoro la data di udienza almeno 25 giorni prima della stessa, in modo che il datore possa provare la presenza dei giusti motivi che hanno condotto al licenziamento.

Nel corso di questa prima udienza il giudice competente ascolta le parti in causa e procede ad assumere le prove che ritiene indispensabili per lo svolgimento dell’azione di impugnazione.

Questa prima fase si conclude con l’emissione da parte del giudice di un’ordinanza di accoglimento o rigetto della domanda.

Come fare opposizione

Terminata la prima fase le parti hanno facoltà di opporsi all’ordinanza emessa dal giudice nel termine di 30 giorni dalla notifica dell’ordinanza stessa.

A questo punto il giudice deve fissare un’altra udienza di comparizione entro 60 giorni, che sarà comunicata alla controparte almeno 30 giorni prima dell’udienza. Inoltrata la domanda di opposizione questa si ritiene valida se accompagnata dal deposito di una memoria difensiva.

Anche in questo caso il giudice sente la parti, ammette le prove e i testimoni ed emette una sentenza di accoglimento o rigetto della domanda.

Corte d’appello e Cassazione

Contro la sentenza del giudice sul licenziamento è possibile inoltre ricorrere alla Corte d’appello. Il ricorso va depositato tassativamente entro 30 giorni dalla notifica della decisione del giudice. L’udienza si svolgerà entro 60 giorni e la decisione del giudice d’appello può essere impugnata dinanzi alla Corte di cassazione non oltre il termine massimo di 60 giorni. La prima udienza verrà poi fissata non oltre il termine massimo di 6 mesi dalla data di presentazione del ricorso.

Il ricorso in Cassazione è l’ultima fase di giudizio prevista dal nostro ordinamento, di conseguenza la decisione presa in questa sede non può più essere contestata.

L’indennizzo dopo il licenziamento illegittimo

Il Jobs Act ha introdotto come forma di tutela per il lavoratore licenziato illegittimamente un indennizzo economico commisurato all’anzianità di servizio. Nel dettaglio, per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, in caso di licenziamento illegittimo, spetta un indennizzo economico per il contratto a tutele crescenti pari a:

  • 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio in misura non inferiore a 6 mensilità ad un massimo di 36 (prima il minimo era di 4 e il massimo di 24 mensilità, ma questi sono stati modificati dal recente Decreto Dignità): per le aziende con almeno 60 dipendenti o 15 dipendenti per ogni settore produttivo;
  • l’indennizzo è ridotto della metà per le aziende che non soddisfano le suddette soglie dimensionali, e l’importo non può superare le 6 mensilità.

Reintegro nel posto di lavoro

In alcuni casi il dipendente licenziato ingiustamente può ottenere il reintegro nel posto di lavoro nelle mansioni precedentemente svolte. Il reintegro è una circostanza eccezionale prevista in caso di:

  • licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo illegittimo per insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra in una delle condotte punibili con altre sanzioni meno severe stabilite nel CCNL applicato;
  • licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se il fatto è manifestamente infondato;
  • licenziamento discriminatorio;
  • licenziamento comminato in costanza di matrimonio o a causa delle tutele previste per agevolare maternità/paternità ;
  • licenziamento intimato in forma orale.

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