La legge ammette la possibilità di licenziamento del lavoratore invalido ma entro specifici limiti, peraltro dettagliati anche dalla Cassazione. Ecco che cosa ricordare a riguardo.
Come è ben noto, nel momento in cui un’azienda e la persona che viene assunta firmano il contratto di lavoro, il neo dipendente si obbliga a svolgere le mansioni per le quali è stato selezionato. Ciò gli permetterà di conseguire lo stipendio e la copertura contributiva per tutta la durata del rapporto di lavoro.
Tuttavia non sempre le condizioni di salute permangono buone e può succedere che un certo lavoratore non sia più in grado, nel corso del tempo, di svolgere le mansioni di cui al contratto. E ciò perché le sue condizioni fisiche o psichiche diventano incompatibili con il compimento della attività lavorativa originaria.
Vi è poi il caso di chi, già invalido, sia assunto per determinate mansioni perché la legge favorisce l’ingresso nel mercato del lavoro di soggetti particolarmente svantaggiati e dei disabili. Si tratta del cosiddetto collocamento mirato e degli obblighi che gravano sulle aziende di assumere persone con un grado di invalidità, rispettando la quota di riserva disabili. Proprio così: c’è una previsione normativa sulla scorta della quale le aziende, tenuto conto del numero dei dipendenti impiegati, sono obbligate a destinare una quota della forza lavoro ai soggetti con forme di invalidità e ad altre categorie di soggetti a rischio di esclusione dal mercato del lavoro.
Un punto interessante è capire se e quando può essere licenziato un lavoratore invalido e, proprio, nel corso di questo articolo vedremo in sintesi entro che confini può avvenire il recesso unilaterale da parte del datore di lavoro, in considerazione della particolare condizione di salute del lavoratore invalido. I dettagli.
Licenziamento lavoratore invalido: ecco in quali casi è possibile
- Licenziamento del lavoratore invalido: possibile soltanto dopo aver verificato di non poterlo adibire ad altre mansioni
- Invalidità parziale del lavoratore e diritto al ’ripescaggio’
- Perdita totale della capacità lavorativa e licenziamento dell’invalido
- Chi valuta la perdita totale della capacità lavorativa da parte del lavoratore?
- Tipologie di licenziamento e invalidità del lavoratore
Licenziamento del lavoratore invalido: possibile soltanto dopo aver verificato di non poterlo adibire ad altre mansioni
Alla domanda relativa alla possibilità di licenziare un lavoratore invalido, va data risposta in generale positiva. Un lavoratore invalido può essere licenziato al pari di tutti gli altri dipendenti. La legge da questo punto di vista non prevede divieti totali, e d’altronde questo risponde anche al principio di uguaglianza.
Ma vero è che la condizione di handicap del lavoratore dipendente deve essere particolarmente tutelata: infatti il licenziamento del lavoratore, originariamente assunto in condizioni di salute normali ma poi divenuto invalido e inabile alle mansioni, può essere validamente effettuato solo se questo non può svolgere alcuna delle altre attività previste in azienda. Altrimenti il licenziamento è da considerarsi illegittimo e potrai dunque efficacemente contestarlo in tribunale.
Perciò se l’azienda si trova con un dipendente che subisce un’invalidità nel corso del tempo, la quale non gli permette più di svolgere le mansioni di cui al contratto individuale di lavoro, non potrà licenziarlo per il solo fatto dell’incompatibilità tra mansioni lavorative e invalidità sopravvenuta.
Come ha più volte precisato la Cassazione nelle sue sentenze, il lavoratore può essere infatti licenziato soltanto se la sua malattia gli impedisce ogni tipo di mansione alternativa. In pratica, prima di licenziare il lavoratore, l’azienda deve sempre accertarsi che non sia possibile adibire il lavoratore ad altre attività. Vediamo più da vicino questi aspetti.
Invalidità parziale del lavoratore e diritto al ’ripescaggio’
Ebbene i casi che possono presentarsi all’azienda sono in sostanza due. Vediamo il primo. Laddove l’invalidità sia meramente parziale e il dipendente abbia la possibilità di compiere differenti mansioni, il datore di lavoro - prima di licenziarlo - deve anzitutto verificare se è possibile conservare le mansioni già svolte dal lavoratore prima di diventare invalido, eliminando le condizioni che rendono incompatibile il lavoro con il suo stato di salute.
In seconda battuta, se ciò non è possibile, deve valutare se e come inserirlo in altro ruolo o in mansioni equivalenti (ed eventualmente anche inferiori, se compatibili con il suo stato di salute). Pensiamo ad esempio al lavoratore addetto al carico / scarico merci: in caso di invalidità sopravvenuta il datore di lavoro deve considerare se è possibile affidargli diverse mansioni, come quelle amministrative o di segreteria. Si tratta del cosiddetto ripescaggio o ’repechage’, che tuttavia vale in presenza delle condizioni di seguito elencate:
- vi debbono essere mansioni libere da assegnare al lavoratore invalido;
- il lavoratore ha la formazione e la capacità di compiere queste nuove attività;
- il ripescaggio non deve stravolgere organigramma e organizzazione aziendale, posto che un datore di lavoro non è tenuto a rimodellare la propria organizzazione per salvare un posto di lavoro.
Peraltro, con riferimento all’ultimo punto, il magistrato non potrebbe opporsi alle scelte aziendali dichiarando illegittimo il licenziamento dell’invalido. Infatti l’azienda può fare riferimento al principio di libertà nell’esercizio delle attività economiche, previsto dalla Costituzione. In termini pratici, ciò vuol dire che il datore dovrà impegnarsi a trovare una nuova assegnazione di compiti diversi e possibilmente di pari livello tramite gli opportuni adattamenti organizzativi. Ma ciò senza rischi di arrecare pregiudizio agli altri lavoratori ed evitando modifiche all’organigramma (con possibili ricadute sui profitti).
In caso di giudizio in tribunale, il datore di lavoro deve comunque essere in grado di dimostrare che la nuova organizzazione del lavoro comporterebbe un aumento dei costi aziendali.
Perdita totale della capacità lavorativa e licenziamento dell’invalido
Il secondo caso di invalidità che può presentarsi è quello nel quale l’invalido, assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio o divenuto tale a seguito di evento successivo all’inizio del rapporto di lavoro, subisce la perdita totale della capacità lavorativa.
In questi casi il licenziamento è legittimo senza dover passare prima per il ’ripescaggio’, poiché il lavoratore in queste condizioni di salute assai sfavorevoli rappresenterebbe potenzialmente una situazione di pericolo, non solo per la propria salute, ma anche per l’incolumità degli altri lavoratori. Connesso sarebbe altresì il rischio per la sicurezza degli impianti aziendali.
Non dimenticare inoltre che, in linea generale, è sempre il giudice che può annullare il licenziamento intimato al dipendente e consentire a quest’ultimo di conservare il posto di lavoro, dopo aver accertato i fatti e il comportamento dell’azienda.
Chi valuta la perdita totale della capacità lavorativa da parte del lavoratore?
A questo punto ci si potrebbe domandare chi è che stabilisce quanto di fatto è ’riutilizzabile’ un dipendente con un grado di invalidità. Ebbene, ricorda che nelle aziende c’è un servizio ad hoc, mirato a controllare nel tempo lo stato di salute dei dipendenti ed è la cosiddetta medicina del lavoro. C’è un medico competente o aziendale, incaricato dal datore di lavoro di visitare ogni lavoratore prima che questi inizi la sua esperienza lavorativa in azienda.
Proprio il medico competente stilerà per ciascun lavoratore una cartella sanitaria e di rischio in cui andrà a dettagliare tutte le visite ai dipendenti, gli esami, le analisi e tutti i giudizi sulla loro idoneità alle mansioni. Sarà così il medico suddetto a giudicare l’eventuale idoneità a lavorare e dunque a dare un giudizio sulla capacità lavorativa, che potrà rivelarsi determinante ai fini di un eventuale licenziamento dell’invalido.
Nel caso in cui il lavoratore non sia d’accordo con le valutazioni del medico competente, ha comunque diritto di fare ricorso ad un’apposita commissione medica presso la Asl, la quale svolgerà propri esami per verificare se quanto segnalato dal medico aziendale corrisponde alla realtà.
Per quanto riguarda, nello specifico, il caso del lavoratore divenuto invalido dopo l’assunzione, egli - per il tramite del certificato del proprio medico - avrà comunque il diritto-dovere di segnalare senza indugio la propria incompatibilità rispetto alle funzioni assegnategli, e soltanto laddove sia impossibile reimpiegarlo in altre attività, sarà possibile licenziarlo legittimamente.
Si tratta di un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a causa dell’aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore, tale da impedire il suo utilizzo in qualsiasi attività aziendale. Ma come detto, occorre prima la verifica da parte del datore e per giustificare il licenziamento (senza tentare il ripescaggio) l’impossibilità della prestazione deve essere totale.
Tipologie di licenziamento e invalidità del lavoratore
La Corte di Cassazione ha altresì più volte chiarito che il licenziamento dell’invalido, assunto in base alla regole sul collocamento obbligatorio, segue la generale disciplina normativa e contrattuale soltanto laddove sia motivato dall’ipotesi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo.
Invece laddove sia prodotto dall’aggravamento dell’infermità che ha portato al collocamento obbligatorio, è legittimo esclusivamente se ricorrono le condizioni previste dalla legge, vale a dire la perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall’apposita commissione medica. E come detto sopra il datore, ove possibile, deve tentare il ripescaggio.
Attenzione però: i cosiddetti lavoratori appartenenti alle categorie protette e quindi con un grado di invalidità, collocati in azienda in base alle regole di tutela di cui alla legge, possono essere comunque licenziati se mettono in atto dei comportamenti gravi, tali da rendere idonei i provvedimenti disciplinari.
In ciò non c’è alcuna differenza con i lavoratori non invalidi, ed anzi il fatto che si tratti di soggetti portatori di handicap non incide sulla possibilità di essere puniti di fronte ad atteggiamenti contrari agli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede. La vera agevolazione attiene all’assunzione in azienda, ma in seguito il soggetto si deve dimostrare rispettoso di tutte le regole, proprio come tutti gli altri lavoratori.
In altre parole, la presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo va al di là delle valutazioni sullo stato di salute del lavoratore, ma attiene alla fiducia che il datore ripone nel lavoratore, invalido o meno. Rilevano infatti i comportamenti estranei alla capacità lavorativa, ma collegati ai doveri di collaborazione, correttezza e buona fede: essi possono condurre ad un licenziamento legittimo, al di là della disabilità eventuale.
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