Pensione con lavoro part-time: calcolo contributi versati e conseguenze sull’assegno

Simone Micocci

24 Maggio 2022 - 16:42

Lavoro part-time: il rischio è di dover lavorare più anni per poter andare in pensione. Ecco per quale motivo.

Pensione con lavoro part-time: calcolo contributi versati e conseguenze sull’assegno

Non sempre un anno di lavoro equivale a un anno di contributi per la pensione. È il caso, ad esempio, di chi lavora con contratto part-time, specialmente se a poche ore, il quale rischia che ai fini della pensione un anno di lavoro valga meno di quanto si creda.

Siamo abituati a pensare che per andare in pensione si guarda agli anni di lavoro: in realtà non è proprio così, in quanto requisito essenziale sono i contributi previdenziali. È vero che nella maggior parte dei casi una settimana di lavoro corrisponde anche a una settimana contributiva, tuttavia non è sempre così, specialmente nel caso di chi è impiegato part-time.

C’è il rischio, infatti, che ai fini della pensione una settimana di lavoro part-time non dia diritto al riconoscimento di una settimana contributiva, e di conseguenza alla fine dell’anno ci si ritroverà con meno versamenti rispetto a quelli attesi. Ciò avrà conseguenze non solo sull’importo della pensione futura, ma anche per il raggiungimento del diritto alla stessa: si pensi, ad esempio, a una persona che ha lavorato per 20 anni con contratto part-time ed è convinta che questo sia sufficiente per accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni, per la quale appunto sono richiesti 20 anni di contributi. Tuttavia, una volta effettuato l’estratto conto contributivo si renderà conto che i contributi accreditati nell’Ago non raggiungono i 20 anni richiesti e di conseguenza, a meno che non decida di riscattare gli anni mancanti, non potrà accedere alla pensione di vecchiaia.

Ma da cosa dipende questa situazione? Per quale motivo il lavoro part-time non è sempre riconosciuto a pieno ai fini della pensione? Ecco una guida utile che vi aiuterà a capire come il lavoro prestato con orario di lavoro part-time incide sulla pensione futura, sia per quanto riguarda la data di accesso che per l’importo dell’assegno futuro.

Pensione per chi lavora part-time

Partiamo dalla definizione che il diritto del lavoro dà al contratto di lavoro part-time (o a tempo parziale): questo non è altro che un contratto di lavoro subordinato caratterizzato da una riduzione dell’orario di lavoro rispetto a quello ordinario.

Con questa tipologia contrattuale, quindi, il dipendente è chiamato a prestare l’attività lavorativa per un numero di ore inferiore rispetto a quello che è il tempo pieno previsto dal Ccnl applicato; ciò comporta ovviamente delle conseguenze per lo stipendio, in quanto più basso di quello riconosciuto ai dipendenti impiegati full-time.

Solitamente ci sono due tipologie di contratto di lavoro part-time. Il più comune è quello di tipo orizzontale, ossia quando la riduzione dell’orario di lavoro avviene su ogni singola giornata lavorativa. Ad esempio, è part-time orizzontale quello svolto da chi è impiegato per 4 ore a giornata su un totale di 5 giorni a settimana, con par-time quindi a 20 ore settimanali.

C’è poi il part-time di tipo verticale, dove invece l’attività lavorativa giornaliera viene svolta a tempo pieno ma per un periodo limitato. Ad esempio, è part-time verticale quello svolto dal dipendente che è impiegato per 8 ore al giorno ma solamente per 2 settimane ogni mese.

È importante sottolineare che ai fini della pensione non c’è differenza tra l’uno e l’altro. Questo perché l’articolo 1, comma 350, della legge n. 178 del 30 dicembre 2020, ha esteso quanto già previsto per il part-time orizzontale anche per quello di tipo verticale, stabilendo che “il periodo di durata del contratto di lavoro a tempo parziale, che prevede che la prestazione lavorativa sia concentrata in determinati periodi, è riconosciuto per intero utile ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa per l’accesso al diritto alla pensione”.

Ma c’è una condizione che sia il part-time orizzontale che quello verticale devono soddisfare affinché tale periodo possa essere riconosciuto per intero ai fini del raggiungimento del diritto alla pensione, ossia l’aver raggiunto il minimale annuo previsto.

Come vuole la normativa, infatti, un accredito pensionistico pieno è riconosciuto quando la retribuzione settimanale percepita è almeno pari al 40% del trattamento minimo di pensione in vigore all’1 gennaio dell’anno di riferimento.

Quindi, non dipende dalle ore previste dal contratto part-time, quanto dalla retribuzione percepita, la quale deve raggiungere un determinato importo se si vuole che il periodo di lavoro part-time venga interamente riconosciuto ai fini della pensione.

Quando il periodo di lavoro part-time è interamente riconosciuto ai fini pensionistici

Come anticipato, per il settore privato i periodi di lavoro part-time (sia se orizzontale che verticale) vengono conteggiati al pari di quelli svolti in full-time ma solo a una condizione, ossia quando viene rispettato il minimale Inps per il lavoro dipendente, pari al 40% del valore annuo del trattamento minimo di pensione.

Questo valore cambia ogni anno per effetto della rivalutazione delle pensioni, e di conseguenza anche la retribuzione minima che permette un pieno riconoscimento del part-time ai fini della pensione è soggetta continuamente a variazione.

Nel dettaglio, nel 2022 il trattamento minimo ha un valore, come spiegato dalla circolare Inps n. 15 del 28 gennaio 2022, di 525,38 euro: di conseguenza, la retribuzione settimanale per l’accredito dei contributi è di 210,15 euro, mentre il limite annuale ammonta a 10.906,27 euro.

Diversamente, ossia se la retribuzione percepita è inferiore alla suddetta soglia, il periodo lavorato come part-time non verrà riconosciuto per intero, in quanto viene effettuata una riduzione proporzionale di quanto versato.

Prendiamo ad esempio un lavoratore con contratto part-time a 20 ore settimanali e retribuzione di 400 euro al mese, 4.800 euro l’anno. Come detto sopra, un anno di lavoro non corrisponderà a un anno di contributi (quindi 52 settimane), in quanto bisogna effettuare la seguente proporzione:

Retribuzione minima settimanale : 52 = Retribuzione settimanale percepita : X

Dividendo 4.800 euro per 52 settimane, ne risulta una retribuzione settimanale di 92,30 euro. Sostituendo i dati in nostro possesso nella suddetta formula avremo:

210,15 : 52 = 92,30 : X

Risolvendo la proporzione avremo che per un anno di lavoro alle suddette condizioni orarie e retributive, vengono riconosciute solamente 29 settimane contributive.

Dunque, a queste condizioni per arrivare ai 20 anni di contributi richiesti per l’accesso alla pensione di vecchiaia bisognerà lavorare per circa 36 anni.

Come aumentare i contributi per il lavoro part-time

Tuttavia, ci sono due strumenti che consentono di farsi riconoscere a pieno il periodo di lavoro con contratto part-time anche quando la retribuzione percepita è inferiore al minimo retributivo.

Ad esempio, vi è la possibilità di riscattare gli anni di lavoro part-time, oppure decidere di versare volontariamente l’altra parte di contributi. Due operazioni onerose, ma tuttavia necessarie qualora diversamente non si riescano a raggiungere i contributi minimi per l’accesso alla pensione.

Pensione e lavoro part-time: cosa cambia per l’importo dell’assegno

Il lavoro part-time influisce ovviamente anche sull’importo dell’assegno, specialmente per la parte rientrante nel sistema di calcolo contributivo.

Con questo sistema l’importo della pensione dipende esclusivamente dal valore delle retribuzioni percepite (e dagli anni di lavoro): è ovvio, quindi, che avere un contratto part-time, dove lo stipendio è più basso di quello che si andrebbe a percepire per lo stesso lavoro con contratto full-time, va ad influire anche sull’importo della pensione futura.

Nel dettaglio, dal momento che la pensione calcolata con il sistema contributivo si ottiene moltiplicando il coefficiente di trasformazione per il montante contributivo e che quest’ultimo per il lavoro part-time è pari al 33% della retribuzione, è chiaro che più sono i periodi di lavoro a tempo parziale e più basso sarà l’importo della pensione percepita.

Un problema che invece non si pone nel caso di calcolo retributivo della pensione (che si applica per i periodi antecedenti al 1996 o, in determinate condizioni, al 2001), per il quale non vi è svalutazione dell’assegno in presenza di attività lavorative in modalità part-time.

Attenzione, perché l’importo dell’assegno potrebbe anche comportare un ritardo nell’acquisizione del diritto alla pensione. Per chi rientra interamente nel sistema contributivo, infatti, non è sufficiente aver compiuto i 67 anni di età e aver maturato i 20 anni di contribuzione per poter accedere alla pensione di vecchiaia.

C’è un altro requisito da soddisfare: l’assegno deve essere almeno pari a 1,5 volte il valore dell’assegno sociale. Considerando che il valore nel 2022 è pari a 468,10 euro, l’importo della pensione deve superare i 702,15 euro. Un traguardo che - visto quanto detto sopra - non è così semplice da raggiungere in presenza di un lungo periodo di lavoro part-time e che di conseguenza potrebbe comportare un ritardo nel pensionamento.

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