Regole per il pensionamento, quanto è lontana l’Italia dagli altri Paesi europei? La legge Fornero va analizzata nel complesso.
Spesso si commette l’errore di comparare le regole per il pensionamento in Italia con quelle previste in altri Paesi prendendo come riferimento solamente la pensione di vecchiaia a 67 anni.
Vista così effettivamente l’effetto della legge Fornero - la riforma che nel 2011 ha rivisto le regole per il pensionamento al fine di salvaguardare i conti pubblici - è rilevante specialmente se si guarda al resto d’Europa.
In Francia, ad esempio, ne bastano 62 di anni (ma con la riforma Macron si salirà a 64 anni nel 2030), mentre in Svezia ne sono sufficienti persino 61 (ma anche qui è stato disposto un aumento a 64 anni). In Belgio, invece, nel 2025 è atteso un aumento da 65 a 66 anni (per poi raggiungere i 67 anni nel 2030).
Tuttavia, va detto che le regole per l’accesso alla pensione in Italia non si limitano alla pensione di vecchiaia. Ci sono tante altre misure che consentono di smettere di lavorare anche prima dei 67 anni, specialmente quando sono stati maturati molti anni di contributi.
Se effettuiamo una visione di insieme, prendendo in considerazione tutte le opzioni per il pensionamento in Italia (qui quelle in vigore nel 2024) ci renderemo conto che, nonostante la legge Fornero, l’Italia non è così lontana dagli standard europei, specialmente se consideriamo che nei Paesi a noi vicini negli ultimi anni sono state approvate riforme che hanno come obiettivo quello di innalzare l’età pensionabile
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Quando si va davvero in pensione in Italia
Oggi l’opzione più gettonata per andare in pensione in Italia è quella di vecchiaia, il cui requisito anagrafico è stato portato per tutti a 67 anni dalla legge Fornero (tenendo conto anche degli incrementi dovuti alle speranze di vita avvenuti in questi anni).
Tuttavia, come anticipato, non è l’unica opzione e ciò fa sì che in media in Italia si vada in pensione molto prima dei 67 anni. A confermarlo è l’11° Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano, riferito al 2022, curato dal Centro studi e ricerche itinerari previdenziali sulla base dei dati ufficializzati dall’Inps.
Nel dettaglio, da un’analisi dei pensionamenti ne è risultato che in media l’età per coloro che accedono alla pensione di vecchiaia, è persino più alta dei 67 anni richiesti dalla normativa. Per gli uomini, infatti, il collocamento in quiescenza avviene a 67 anni e 4 mesi, mentre per le donne a 67 anni e 3 mesi.
Vista da questa prospettiva non possiamo che ritenere troppo elevata l’età per il pensionamento in Italia, ma come anticipato bisogna tener conto anche di quelle che sono le altre possibilità per smettere di lavorare, alcune delle quali sono riconosciute dalla stessa legge Fornero.
Ne è un esempio la pensione anticipata che oggi consente l’accesso alla pensione indipendentemente dall’età anagrafica, a patto di aver maturato almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. A questa si aggiunge poi l’opzione riservata ai precoci, dove l’accesso alla pensione avviene con soli 41 anni di contributi, come pure Quota 102 (poi diventata 103 nel 2023 e 2024) con cui il collocamento in quiescenza era possibile a 64 anni di età e 38 anni di contributi. Senza dimenticare Opzione Donna (che allora consentiva ancora l’accesso alla pensione a 58 anni di età).
Ebbene, guardando solamente a queste opzioni ne risulta che l’accesso alla pensione avviene in media a 61,6 anni per gli uomini e a 61,2 anni per le donne.
Come spiegato nel Rapporto, bisogna tener conto del fatto che le pensioni anticipate sono molte di più di quelle di vecchiaia, incidendo così sull’età media del pensionamento in Italia che nel 2022 si è attestata a 64 anni e 4 mesi. Va meglio agli uomini (che rappresentano il 59% dei pensionamenti) con un’età di 64,2 anni, mentre in media le donne smettono di lavorare a 64 anni e 7 mesi.
Serve davvero cancellare la legge Fornero?
Alla luce di queste considerazioni non ha senso parlare ancora di cancellazione della legge Fornero, specialmente considerando i benefici che una tale riforma ha avuto. Per quanto odiata dai lavoratori, infatti, la legge del 2011 è servita per mettere in sicurezza il sistema previdenziale italiano, permettendo di risparmiare oltre 30 miliardi di euro (di cui 22 miliardi erano già stati recuperati al 2020).
Tant’è che lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha spiegato che in queste condizioni, tenendo conto principalmente della situazione demografica italiana, non ci sono riforme sostenibili per il nostro Paese.
Senza dimenticare poi che una volta che tutte le pensioni saranno calcolate con il contributivo, intorno al 2030 secondo le stime, sarà maggiormente possibile pensare a soluzioni di flessibilità visto che l’uscita anticipata sarebbe a carico del lavoratore. Il tutto però facendo attenzione all’importo dell’assegno, in quanto dovrà comunque essere sufficiente per garantirsi una vita tranquilla senza pesare sulle casse dello Stato con la richiesta di misure assistenziali.
Un punto su cui la stessa Elsa Fornero, autrice della riforma tanto contestata, si era espressa favorevolmente in un’intervista rilasciata qualche tempo fa a noi di Money.it.
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