Come incide il calcolo contributivo pieno sull’importo dell’assegno? Ecco quanto spetta dopo 30 anni di lavoro.
30 anni di lavoro sono sufficienti per assicurarsi una pensione di importo adeguato? Ogni lavoratore con un minimo di consapevolezza dovrebbe preoccuparsi di quanto prenderà di pensione, dal momento che c’è il rischio concreto che l’assegno calcolato risulti molto più basso rispetto all’ultimo stipendio percepito.
La “colpa” è delle nuove regole per il calcolo dell’assegno fissate con l’introduzione del regime contributivo disciplinato dalla legge Dini. In realtà non è una vera e propria novità dal momento che viene utilizzato fin dal 1996: tuttavia, più passano gli anni e più ci sono possibilità che tutto l’assegno venga calcolato con le suddette regole.
Cosa sono le “nuove” regole per il calcolo della pensione
Andiamo con ordine. Prima dell’approvazione della legge Dini la pensione era calcolata con il regime retributivo, con il quale viene dato maggior peso alle ultime retribuzioni percepite. Dopodiché, con l’introduzione di un meccanismo che diversamente considera tutti i contributi versati durante la carriera, è stata fissata una data limite: il 1 gennaio 1996. Per i periodi lavorati prima di questa data, quindi, si applica il retributivo, per quelli successivi il contributivo.
Tuttavia, allo stesso tempo furono esclusi da questa novità i lavoratori che alla data del 31 dicembre 1995 avevano già maturato 18 anni di contributi. Per loro, infatti, venne autorizzato il calcolo retributivo anche per i periodi successivi all’1 gennaio 1996, almeno fino all’approvazione della legge Fornero che mise fine a questa agevolazione.
Oggi, quindi, la pensione è così calcolata
- regime misto: retributivo per i periodi maturati prima del 31 dicembre 1995, contributivo per quelli successivi;
- regime misto agevolato (per chi al 31 dicembre 1995 aveva 18 anni di contributi): retributivo per i periodi maturati prima del 31 dicembre 2011, contributivo per i successivi;
- contributivo puro: per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996.
Più passano gli anni, quindi, e maggiore è la quota di persone che rientrano nell’ultima categoria, fino a quando non ci sarà il passaggio totale al contributivo puro. Ma questo “nuovo” sistema, come incide sull’importo della pensione? Purtroppo solitamente in maniera negativa, dal momento che il contributivo è più penalizzante rispetto al retributivo.
Per capire le ragioni analizziamone il funzionamento, per poi farci un’idea rispetto a quanto spetta, ad esempio, dopo 30 anni di lavoro.
Come si calcola la pensione con le nuove regole
Capire come funziona il sistema contributivo è molto semplice: per periodo lavorato va calcolata la quota di contributi versata all’Inps o al fondo di appartenenza (nel caso dei liberi professionisti) tenendo conto della relativa aliquota prevista dalla gestione di riferimento. Ad esempio, nel caso dei lavoratori subordinati è pari al 33% dello stipendio lordo, mentre per gli iscritti alla Gestione Separata è solitamente del 35% (ma può variare in base a diversi fattori).
I contributi versati vengono rivalutati periodicamente in base al costo della vita, e così facendo si accumulano nel cosiddetto montante contributivo, il quale a sua volta diventa pensione attraverso l’applicazione del coefficiente di trasformazione.
Come anticipato, questi sono tanto più vantaggiosi per coloro che ritardano l’accesso alla pensione. Nel dettaglio, i tassi utilizzati per il biennio 2023-2024 sono i seguenti:
Età | Coefficiente 2023-2024 |
---|---|
57 | 4,270% |
58 | 4,378% |
59 | 4,493% |
60 | 4,615% |
61 | 4,744% |
62 | 4,882% |
63 | 5,028% |
64 | 5,184% |
65 | 5,352% |
66 | 5,531% |
67 | 5,723% |
68 | 5,931% |
69 | 6,154% |
70 | 6,395% |
71 | 6,655% |
Quanto spetta di pensione dopo 30 anni di lavoro
Non c’è quindi un importo uguale per tutti dopo 30 anni di lavoro, in quanto sono diversi i fattori a incidere. Possiamo però fare un esempio per comprendere al meglio come funzionano le nuove regole che con il passare degli anni vengono applicate su un numero crescente di persone.
Ad esempio, consideriamo Tizio che per i primi 5 anni di lavoro si è dovuto accontentare di stipendi molto bassi, in media di 1.000 euro al mese. Ha quindi versato 4.290 euro di contributi ogni anno, 21.450 complessivi.
Dopodiché la sua carriera ha iniziato a regalargli le prime soddisfazioni, percependo nei 10 anni successivi uno stipendio medio di 2.000 euro al mese, aggiungendo così 85.800 euro al montante contributivo.
Una carriera in crescendo che per i successivi 15 anni l’ha portato a guadagnare uno stipendio di 2.500 euro, con 10.725 euro di contributi l’anno, 160.875 euro in totale.
Sommando i vari periodi, arriviamo a un totale di 268.125 euro di contributi. Mettiamo il caso che con la rivalutazione si arrivi a un montante contributivo di 280.000 euro: quanto spetta di pensione? Per scoprirlo bisogna prendere il coefficiente di trasformazione previsto per l’età del pensionamento: Tizio ci va a 67 anni con la pensione di vecchiaia, con un tasso quindi del 5,723%: applicato sul montante contributivo restituisce una pensione di circa 16.000 l’anno, quindi circa 1.230 euro al mese. Una notevole differenza rispetto all’ultimo stipendio percepito, con il pensionato che quindi sarebbe costretto a rivedere le proprie spese oppure a svolgere una nuova attività lavorativa per arrotondare.
Non sono bastati infatti gli ultimi 15 anni di lavoro con stipendio medio di 2.500 euro per assicurargli una pensione più alta, con i primi anni di lavoro che sono risultati determinanti ai fini del risultato finale. Non sarebbe stato così, invece, con le “vecchie” regole per il calcolo della pensione: con il metodo retributivo, infatti, venivano presi in considerazione solamente gli ultimi anni di lavoro, assicurando così un tasso di trasformazione (la differenza che c’è tra l’ultimo stipendio percepito e la pensione) migliore rispetto a quello solitamente previsto con il calcolo contributivo (52% nel caso descritto dall’esempio).
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