Riforma delle pensioni: flessibilità in uscita a patto che ci sia una penalizzazione dell’assegno. Ma a queste condizioni solo chi ha redditi più elevati potrebbe permettersi di andare in pensione in anticipo.
Per la riforma delle pensioni si parla con insistenza di individuare una misura di flessibilità che possa sostituire Quota 100, prevedendo però criteri meno favorevoli per il collocamento in quiescenza e delle penalizzazioni sull’assegno, in modo da far gravare l’uscita anticipata sulle tasche del lavoratore.
Nel dettaglio, sono due le misure sulle quali fanno pressione i sindacati:
- da una parte Quota 102, la quale - a differenza di Quota 100 - permetterebbe di andare in pensione al compimento dei 64 anni (fermo restando il possesso di almeno 38 anni di contributi);
- dall’altra si fa pressione su Quota 41 per tutti, misura oggi riservata ai soli lavoratori precoci, con la quale si potrebbe accedere alla pensione una volta versati 41 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età anagrafica.
Entrambe le misure, però, non andrebbero a risolvere il problema dei costi. L’Italia, infatti, non ha risorse da destinare alla riforma delle pensioni e - come sottolineato nei giorni scorsi dal Ministro del Lavoro Andrea Orlando - al momento non c’è neppure l’intenzione di farlo in quanto questa non rappresenta una priorità per il Governo.
Ed è per questo che si va definendo un meccanismo di penalizzazioni, il quale però potrebbe favorire coloro che hanno redditi più elevati.
Pensioni: riforma solo con penalizzazioni
Sia per Quota 102 che per Quota 41 per tutti, quindi, si parla di penalizzazioni in uscita.
Nel dettaglio, le tipologie di penalizzazioni sono due:
- la prima è quella che, al pari di quanto succede oggi per Opzione Donna, consente il pensionamento anticipato solamente accettando un ricalcolo interamente contributivo della pensione. Un sistema che, ad esempio, è previsto nel disegno di legge riguardante la Quota 41 per tutti depositato dalla Lega;
- la seconda è quella che prevede un taglio percentuale dell’assegno per ogni anno di anticipo. Per Quota 102, ad esempio, si è parlato di un taglio del 2,5% o 3% per ogni anno di uscita anticipata.
In questo modo, prevedendo quindi delle penalizzazioni per chi anticipa l’accesso alla pensione, il costo della riforma lo pagherebbero i cittadini stessi, rinunciando ad una parte dell’assegno per smettere di lavorare con largo anticipo.
Pensioni: la riforma “avvantaggia” chi ha redditi elevati?
Va detto che le penalizzazioni sarebbero maggiori per coloro che hanno percepito stipendi più elevati nel corso della carriera.
Nel primo caso, ad esempio, prevedendo un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno non si beneficia del vantaggio offerto dal calcolo retributivo, con il quale hanno più peso le retribuzioni particolarmente elevate percepite dal lavoratore.
Nel secondo, invece, trattandosi di un taglio percentuale questo sarebbe tanto più elevato quanto maggiore è la pensione maturata dal lavoratore.
Tuttavia, è anche logico pensare che chi ha percepito redditi più elevati sia anche più disponibile ad accettare una penalizzazione dell’assegno. Chi invece ha avuto carriere discontinue percependo tra l’altro stipendi non elevati, avrebbe poco interesse a vedere ridursi ulteriormente un assegno di pensione che già di per sé rischia di essere molto basso. Fermo restando che questi sarebbero particolarmente svantaggiati dal ricalcolo contributivo dell’assegno.
Per questo motivo, prevedendo un sistema di penalizzazioni per chi anticipa l’accesso alla pensione si andrebbe ad avvantaggiare solamente coloro che possono economicamente permettersi il taglio; gli altri sarebbero costretti a restare a lavoro almeno fino al compimento dei 67 anni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA