Mamme e papà che lavorano a seconda delle necessità possono richiedere permessi e congedi specifici; solo in alcuni casi, però, l’assenza è retribuita.
Per i papà e le mamme che svolgono un lavoro subordinato ci sono diversi congedi e permessi di cui beneficiare a seconda delle necessità; in alcuni casi nonostante l’astensione dall’attività lavorativa si percepisce comunque un compenso, mentre in altri l’assenza è giustificata ma non retribuita.
Se state per diventare mamma o papà e siete preoccupati di come conciliare l’essere genitore con gli impegni lavorativi qui trovate un elenco completo dei permessi e congedi da poter richiedere al proprio datore di lavoro.
Quelle che trovate di seguito sono le regole che valgono per la generalità dei lavoratori, è possibile quindi che ci possa essere qualche variazione sul numero di giorni, nonché sull’importo della retribuzione, nei vari CCNL. Ricordiamo in ogni caso che i contratti collettivi possono riconoscere un trattamento esclusivamente di maggior favore rispetto a quello previsto dalla normativa, senza derogare quanto stabilito dalla legge nazionale.
Fatte le dovute chiarezze vediamo quali sono i permessi e i congedi per mamme (anche durante la gravidanza) e papà e qual è il trattamento economico riconosciuto in questi casi.
Permessi per le mamme durante la gravidanza
Quando si parla di gravidanza viene subito in mente il congedo che obbliga le future mamme ad astenersi dall’attività lavorativa per 5 mesi. Comunemente conosciuto come congedo di maternità, questo consente alle lavoratrici di sospendere l’attività lavorativa 2 mesi prima delle data presunta del parto, per poi riprendere dopo il compimento del 3° mese del figlio.
Durante il congedo di maternità (al quale la lavoratrice non può assolutamente rinunciare) spetta un’indennità pari all’80% dell’ultimo stipendio (precisamente della “retribuzione media globale giornaliera calcolata sulla base dell’ultimo periodo di paga precedente l’inizio del congedo di maternità”).
Oltre alla tradizionale formula 2+3, ci sono altre due modalità alternative per la fruizione del congedo di maternità. Nel dettaglio, qualora il medico del SSN e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro valutino che posticipando il congedo non si arreca alcun pregiudizio alla salute delle madre e del nascituro, si può sospendere l’attività lavorativa:
- nell’ultimo mese precedente al parto e nei 4 mesi successivi;
- direttamente nei 5 mesi successivi al parto (novità introdotta dall’ultima Legge di Bilancio);
In caso invece di gravi complicanze della gravidanza, nonché quando le condizioni di lavoro possono compromettere la salute della mamma e del bambino, è possibile persino anticipare il congedo di maternità.
Durante la gravidanza, inoltre, si possono richiedere permessi per le visite mediche ed ecografie: l’assenza è retribuita, e nel permesso è compreso sia il tempo necessario al completamento dei controlli prenatali che il tempo impiegato per raggiungere il medico e - se possibile - rientrare a lavoro.
Permessi per le mamme dopo la gravidanza
Dopo la gravidanza quindi la neo mamma può astenersi dal lavoro per il residuo del congedo di maternità, variabile a seconda della formula di utilizzo richiesta.
Terminato il congedo di maternità bisogna tornare a lavoro, a meno che la lavoratrice non richieda anche il congedo parentale, ossia quello strumento con cui l’ordinamento permette al genitore (quindi anche ai papà) di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del bambino qualora ciò sia impedito dallo svolgimento di un’attività lavorativa.
Per legge ad entrambi i genitori spettano al massimo 10 mesi di congedo, elevabili a 11 mesi qualora il padre si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore ai 3 mesi. Da parte sua la madre non può assentarsi per più di 6 mesi.
Rispetto al congedo di maternità, però, il congedo parentale prevede una retribuzione meno vantaggiosa per il dipendente: se percepito nei primi 6 anni di vita del bambino, infatti, è retribuito al 30% dell’ultimo stipendio. Lo stesso vale quando è richiesto per i bambini di età compresa tra i 6 e gli 8 anni: in tal caso, però, il congedo è retribuito solo se il reddito individuale del genitore richiedente risulta inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione (513,01€ per il 2019).
Dopo gli 8 anni (fino ai 12 anni), invece, il congedo parentale non è mai retribuito.
Nel primo anno di vita del figlio, inoltre, si possono richiedere i permessi per allattamento: si tratta di 1 (per chi lavora meno di 6 ore al giorno) o 2 ore (per chi ha un orario di lavoro superiore alle 6 ore) di permesso retribuito al 100% di cui la lavoratrice può godere ogni giorno. Nella stessa giornata, però, la lavoratrice non può cumulare il riposo per allattamento con il congedo parentale frazionato ad ore.
Permessi per i papà dopo la gravidanza
In caso di morte o grave infermità della madre, il congedo di maternità si trasforma in congedo di paternità. In tal caso, il padre può godere del periodo di congedo di maternità non fruito dalla madre lavoratrice. Lo stesso vale quando la madre abbandona il figlio, o anche non lo riconosce, oppure quando la pronuncia del giudice dispone l’affidamento esclusivo del figlio al padre.
Tolti questi casi specifici, il lavoratore appena diventato padre ha diritto ad astenersi dall’attività lavorativa per un totale di 5 giorni. Il congedo di paternità è obbligatorio, retribuito al 100% ed è utilizzabile entro il compimento del 5° mese del figlio.
È bene sottolineare che il congedo obbligatorio di paternità è di 5 giorni solamente per i nati entro il 31 dicembre 2019; salvo una proroga da parte della prossima Legge di Bilancio, quindi, questo tornerà ad essere di 4 giorni (come avveniva negli anni scorsi) a partire dal 1° gennaio 2020.
Come specificato in precedenza anche il padre può richiedere il congedo parentale per una durata massima di 6 mesi, che possono diventare 7 in caso di astensione dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato di almeno 3 mesi.
Infine, il padre può richiedere per sé i riposi per allattamento solitamente riconosciuti alla madre qualora il figlio sia stato affidato esclusivamente a lui, o anche in caso di morte o grave infermità dell’altro genitore. Può fare lo stesso anche quando la madre non è lavoratrice dipendente oppure quando pur essendolo decide di non avvalersene.
Permessi per entrambi i genitori
Sia il padre che la madre (ma non insieme) possono assentarsi dal lavoro in caso di malattia del figlio. Nel dettaglio, nei primi 3 anni di vita del figlio ci si può assentare fino alla completa guarigione del bambino; quando invece il figlio ha un’età compresa tra i 3 e gli 8 anni, si ha a disposizione un massimo di 5 giorni di permesso l’anno.
È importante sapere però che i permessi per la malattia del figlio non sono retribuiti, salvo il caso dei dipendenti pubblici che nei primi 3 anni di vita del bambino dispongono di 30 giorni di permessi con retribuzione al 100%. In ogni caso l’assenza per malattia del figlio è giustificata e spettano i contributi figurativi (solo nei primi 3 anni del bambino).
Nel caso di bambini con disabilità i genitori potrebbero invece richiedere l’estensione del congedo di paternità con il quale, in alternativa ai permessi della Legge 104, la durata complessiva sale a 3 anni con assenza retribuita al 30% per tutto il periodo di assenza. In alternativa i genitori possono richiedere i permessi riconosciuti dalla Legge 104/1992, godendo di 2 ore di permesso ogni giorno o di tre giorni di permesso ogni mese.
Infine, in caso di gravi motivi familiari - compresi quelli riguardanti i figli - il lavoratore dipendente può richiedere un congedo di durata massima di 2 anni, ma non retribuito. L’assenza è comunque giustificata e, quindi, nell’arco dei 2 anni non si rischia il licenziamento.
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