Giorgia Meloni rischia grosso in caso di referendum costituzionale sul premierato: per evitarlo però le serve l’aiuto di Matteo Renzi che già ha messo le cose in chiaro.
Giorgia Meloni da quando ha deciso di andare fino in fondo nella riforma costituzionale del premierato, con ogni probabilità avrà posto sul suo comodino in bella vista la foto di Matteo Renzi per non dimenticare la fine che fece l’ex premier quando ha deciso di giocarsi il tutto per tutto nel referendum del 2016.
Con le opposizioni che già pregustano delle possibili dimissioni di Meloni a causa di una sconfitta al referendum, paradossalmente la presidente del Consiglio avrebbe proprio in Renzi l’unico appiglio per evitare le Forche Caudine della consultazione popolare.
Profetico a riguardo è stato nelle scorse ore Sabino Cassese “sarà legge solo con il sì di due terzi del Parlamento, al referendum finirà male”, con il referendum costituzionale che potrebbe essere il de profundis politico per Meloni così come lo è stato per Renzi.
Procediamo con ordine. Il Consiglio dei ministri all’unanimità ha approvato il disegno di legge sulle riforme costituzionali, definito come “la madre di tutte le riforme” dalla premier. Il testo ora inizierà il suo iter parlamentare.
Per evitare la possibilità di un referendum confermativo, in Aula durante le seconde votazioni a Meloni servirà il sì dei due terzi dei componenti sia al Senato sia alla Camera.
Se la legge alla fine verrà approvata con una maggioranza non dei due terzi, entro tre mesi potrebbe essere richiesto un referendum confermativo da parte di un quinto dei membri di una Camera o da 500.000 elettori oppure da 5 Consigli regionali.
Ed è qui che scende in campo Matteo Renzi, che ha posto le sue condizioni per il voto favorevole al premierato facendo così iniziare in Parlamento l’immancabile caccia ai voti mancanti.
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Meloni, Renzi e l’incubo referendum costituzionale
Giorgia Meloni per evitare un referendum costituzionale, con tutti i rischi del caso, deve riuscire a far approvare il suo premierato - in seconda lettura - con i due terzi dei voti in entrambe le Camere.
In termini numerici questo significa ottenere il sì di 267 deputati alla Camera e di 136 senatori al Senato. Nonostante il centrodestra abbia un’ampia maggioranza parlamentare, queste asticelle sono ancora lontane.
Il governo Meloni infatti può contare su 238 voti alla Camera e 116 al Senato. Per avvicinarsi ai due terzi ecco che il primo indiziato è Matteo Renzi che, nei giorni scorsi, in merito al premierato ha detto che IV è pronta a votarlo “se migliorato”.
Con l’aggiunta di Italia Viva si arriverebbe a 246 deputati e 122 senatori. Alla Camera ci sono i 4 voti delle minoranze linguistiche - che al Senato diventano 6 considerando anche Campobase e Sud Chiama Nord - che potrebbero essere intercettati, mentre tutte le altre forze politiche si sono dette contrarie alla riforma voluta da Giorgia Meloni.
In generale si può stimare che al centrodestra, ipotizzando una convergenza di Italia Viva e delle minoranze linguistiche, al momento manchino poco meno di una ventina di deputati e una decina di senatori.
Chi meglio del machiavellico Matteo Renzi potrebbe aiutare la premier nel fare breccia nei parlamentari indecisi dell’opposizione? Non resta allora che attendere e vedere cosa succederà in Parlamento quando il testo approderà in Aula.
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