Chi rischia di essere licenziato il prossimo anno? Attenzione a queste regole (e novità) e alle ultime tendenze del mercato del lavoro.
Nel 2025 non cambiano le regole sul licenziamento, con la sola novità rappresentata dall’introduzione, con il Ddl Collegato lavoro attualmente in esame al Senato, di una sorta di “dimissioni in bianco” per i lavoratori assenteisti.
Per il resto le norme a cui i datori di lavoro devono attenersi quando provvedono a licenziare un dipendente sono sempre le stesse. Salvo rare eccezioni, infatti, deve esserci sempre una ragione valida a giustificare la risoluzione anticipata, e unilaterale, del contratto, con il dipendente che laddove dovesse ritenere immotivato, o comunque esagerato, il licenziamento potrà impugnare la decisione dell’azienda ottenendo un reintegro o comunque un risarcimento.
Ed è importante sottolineare che nel caso di ricorso al giudice l’onere della prova ricade sul datore di lavoro: è questo dunque a dover dimostrare che sussiste la ragione del licenziamento. Sul dipendente, invece, grava solamente l’onere della prova per quei fatti che costituiscono il diritto alla reintegrazione, ossia l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nonché l’illegittimità del provvedimento.
Detto questo, quali sono i lavoratori che rischiano di essere licenziati nel 2025? Ecco un riepilogo delle ragioni che rendono legittimo un licenziamento, nonché quali sono i settori più a rischio.
Licenziamento durante il periodo di prova
Come anticipato, in genere per provvedere al licenziamento il lavoratore deve presentare una valida ragione. Ma non è sempre così: nel caso del periodo di prova, quando sia stato stipulato legittimamente, entrambe le parti possono recedere liberamente e non è dovuto neppure il preavviso.
Ma attenzione, perché proprio per il periodo di prova sono previste novità nel 2025, dal momento che il già citato ddl Collegato Lavoro fissa nuove regole per definirne la durata. Viene stabilito che affinché sia considerato valido il periodo di prova deve essere quantificato in relazione alla durata effettiva del rapporto di lavoro. Nel dettaglio, deve durare almeno 1 giorno ogni 15 giorni di calendario, per un minimo di 2 giorni e per un massimo di 15 giorni, 30 giorni nel caso di contratti con durata superiore a 6 mesi ma inferiore a 12.
Licenziamento disciplinare
Tra le ragioni che possono giustificare il licenziamento ci sono tutte quelle circostanze in cui il lavoratore si rende protagonista di una violazione contrattuale più o meno grave da incidere sul rapporto fiduciario con l’azienda. A tal proposito, questo tipo di licenziamento si divide in due differenti fattispecie:
- il licenziamento per giusta causa, quando l’evento è talmente grave da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro anche solo per un’altra giornata. In questo caso il datore non è neppure dovuto a rispettare l’obbligo del preavviso. Ne è un esempio il dipendente che ruba in azienda, oppure molesta un collega;
- il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, quando la violazione è meno grave da non comportare la giusta causa ma è comunque sufficiente per portare al licenziamento. Rientra in questa fattispecie, ad esempio, il licenziamento per scarso rendimento. A differenza del licenziamento per giusta causa, in questo caso il preavviso va rispettato.
Licenziamento per assenza ingiustificata
Tra le ragioni che rientrano nel licenziamento disciplinare c’è anche quella della reiterata assenza ingiustificata, ossia qualora il dipendente non si presenti al lavoro per un certo numero di giorni senza darne valida giustificazione.
Solitamente comunque questo tipo di licenziamenti, come pure nelle altre fattispecie che portano alla risoluzione per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il lavoratore mantiene comunque il diritto all’indennità di disoccupazione.
Non sarà così quando l’assenza si protrae per 15 giorni: in questo caso, infatti, il ddl Collegato Lavoro introduce una sorta di “dimissioni in bianco”, stabilendo che in questo caso il rapporto di lavoro si considera interrotto per volontà del lavoratore e non dell’azienda.
Licenziamento per malattia
La regola stabilisce che il lavoratore che si assenta per malattia mantiene il diritto alla conservazione del posto di lavoro (eccetto il caso in cui sussistano altre ragioni che possono portare al licenziamento, ad esempio la giusta causa per chi è assente alle visite fiscali).
Tuttavia, esiste un termine, conosciuto come periodo di comporto, oltre il quale l’azienda ha la facoltà (e non l’obbligo attenzione) di esercitare il proprio diritto alla risoluzione unilaterale di contratto. Questo termine solitamente coincide con l’ultimo giorno in cui l’Inps paga l’indennità di malattia, quindi al 180° giorno di assenza nell’anno solare, ma ci sono Ccnl che possono prevedere un termine più esteso.
Licenziamento per raggiungimento del diritto alla pensione
Rischiano di essere licenziati nel 2025 anche i lavoratori che maturano i requisiti per il diritto alla pensione. Più precisamente, nel settore privato il licenziamento può essere disposto solo nei confronti di chi matura i requisiti per la pensione di vecchiaia ordinaria (67 anni di età e 20 anni di contributi). Nel pubblico impiego, invece, il licenziamento è giustificato anche quando vengono raggiunti i requisiti per la pensione anticipata.
Licenziamento per ragioni economiche ed esigenze aziendali
Sopra abbiamo parlato del licenziamento per giustificato motivo soggettivo: al suo fianco si colloca il motivo oggettivo, ossia quando la ragione che giustifica la risoluzione del contratto riferisce all’altra parte, ossia all’azienda.
Nel dettaglio, questo tipo di licenziamenti viene anche chiamato per ragioni economiche o esigenze aziendali. È il caso, ad esempio, dell’azienda che è in crisi economica e per questo motivo ha necessità di ridurre il personale. Come pure quelle aziende che rivedono la loro produzione eliminando un comparto e che quindi potrebbero ritrovarsi con molto personale in esubero.
Quali sono i settori più a rischio nel 2025
Quest’ultima casistica ci permette di vedere quali sono i settori dove nel 2025 è maggiore il rischio di licenziamento per ragioni economiche.
In particolare uno dei settori in cui c’è maggior pericolo di perdere il lavoro nell’anno 2025 è quello dell’automotive, dove - secondo le stime fatte dalla FIM Cisl - solo il prossimo anno circa 24 mila lavoratori di Stellantis rischiano di perdere il lavoro, a meno che il governo non dovesse adottare “misure adeguate e tempestive”. Anche il gruppo Volkswagen si trova nella stessa situazione, tanto che a causa dei numeri deludenti dell’ultimo periodo potrebbe decidere di chiudere diversi impianti di produzione con oltre 15 mila licenziamenti.
In base alle tendenze (in costante ribasso) del mercato azionario, un altro settore a rischio è quello del lusso, dove negli ultimi 2 anni è stata registrata una perdita di 50 milioni di clienti e un calo dei volumi del -25%. Attenzione anche al settore del retail, dove al fine di contenere i costi le aziende guardano sempre con maggiore interesse all’automazione.
Ed è proprio alle conseguenze dell’automazione che guarda uno studio Future of Work in Europe, condotto dalla società di consulenza McKinsey, secondo cui circa 94 milioni di lavoratori europei entro i prossimi 5 anni dovranno riqualificarsi se non vogliono perdere il lavoro. Il settore più colpito da questa trasformazione è quello dei servizi di alloggio e ristorazione, seguito dall’arte, dal commercio all’ingrosso e al dettaglio, all’edilizia e dal trasporto e magazzinaggio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA