Assunzione senza contratto ma con Partita Iva: è legittima? Ecco quali sono diritti e doveri del datore di lavoro e del dipendente.
Quando si risponde alla domanda riguardante la possibilità di assunzione di un dipendente con partita Iva bisogna fare una distinzione: un conto, infatti, è l’azienda privata che assume con regolare contratto un lavoratore autonomo che ha già la partita Iva per lo svolgimento della propria professione, un altro invece è quello del datore di lavoro che anziché stipulare un contratto di lavoro subordinato chiede l’apertura della partita Iva per lavorare alle proprie dipendenze.
Nel primo caso, salvo il caso particolare dei dipendenti pubblici che generalmente - salvo alcune eccezioni - non possono essere nel contempo titolari di partita Iva, non ci sono restrizioni. Non si può dire lo stesso per il secondo, dal momento che assumere un dipendente con partita Iva, piuttosto che con regolare contratto, non è consentito dalla legge.
Eppure quello delle partite Iva fittizie è un problema ancora molto diffuso in Italia. Un illecito che può essere configurato al pari di quello commesso dai datori di lavoro che assumono in nero, senza quindi alcuna stipula di contratto. Assumendo con partita Iva, infatti, il datore di lavoro viene meno a tutti quegli oneri previsti dai contratti a tempo determinato e indeterminato, come ferie pagate, Tfr, versamento dei contributi previdenziali e tutte le altre tutele previste per i lavoratori subordinati, il che genera un risparmio considerevole. Senza trascurare poi che mettere fine al rapporto in questo modo è molto più semplice, in quanto non si è sottoposti alle regole sul licenziamento.
Ma come anticipato, tutto questo non è consentito. Il lavoro subordinato, infatti, indica quel rapporto dove un dipendente cede il proprio tempo ed energie ad un datore di lavoro, in cambio di una retribuzione monetaria, di garanzie di continuità e di una copertura previdenziale.
Nel caso del dipendente assunto con partita Iva, quest’ultimo cede comunque il proprio lavoro in modo continuativo in cambio di una retribuzione, tuttavia mancano sia le garanzie di continuità che la copertura previdenziale, così come il riconoscimento di tutti gli altri diritti riconosciuti ai lavoratori subordinati. Per tale motivo, quindi, chi viene trattato come un dipendente pur essendo sulla carta un lavoratore autonomo può rivolgersi al giudice e chiedere la conversione in lavoro subordinato a tempo indeterminato, con la sottoscrizione di un regolare contratto.
La normativa di riferimento in tal caso è il Jobs Act; con questo, infatti, sono state introdotte delle regole ben precise per limitare l’uso delle Partite IVA fittizie, stabilendo una seria di parametri da rispettare affinché un rapporto di lavoro possa definirsi realmente autonomo.
Vediamo quando l’uso della partita Iva è legittimo e quando invece si tratta di una collaborazione coordinata e continuativa (Co.Co.Co) o di un vero e proprio lavoro subordinato che va regolarizzato per mezzo di un idoneo contratto di lavoro.
La partita Iva per i contratti Co.Co.Co.
Se tra un lavoratore autonomo e il titolare di un’azienda si presume una collaborazione coordinata e continuativa l’utilizzo della partita Iva è del tutto legittimo, ma il rapporto di lavoro va comunque convertito.
È stata la Legge Fornero ad introdurre la presunzione semplice per cui ogni prestazione eseguita da un soggetto titolare di partita Iva può essere considerata un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa qualora sussistano almeno due delle seguenti condizioni:
- continuità della collaborazione: tra l’autonomo titolare di partita Iva e il titolare dell’azienda c’è un rapporto lavorativo di almeno 8 mesi l’anno, per due anni consecutivi;
- retribuzione: almeno l’80% del reddito annuo del titolare di partita Iva è riconducibile a tale collaborazione (sempre nell’arco dei due anni solari consecutivi);
- posto di lavoro: se nell’azienda committente il titolare di partita Iva dispone di una postazione fissa di lavoro.
Se sussistono almeno due di queste condizioni si presume l’esistenza di un Co.Co.Co. Questo significa che l’utilizzo della partita Iva è consentito, tuttavia gli oneri contributivi previsti derivanti dall’iscrizione alla Gestione Separata INPS sono a carico per 2/3 del committente per 1/3 del titolare della partita Iva. Lo stesso vale per l’assicurazione infortuni.
Ecco perché in questo caso l’assunzione con partita Iva è consentito ma non si può parlare di contratto di lavoro autonomo. Di conseguenza bisogna rivolgersi al giudice affinché questo proceda con la conversione in un contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
Quando l’uso della partita Iva è legittimo
Come anticipato, quando si verificano almeno due delle suddette condizioni si presume l’esistenza di un Co.Co.Co. L’onere della prova quindi viene ribaltato; sarà il datore di lavoro, infatti, a dover dimostrare che si tratta di un regolare rapporto di lavoro autonomo a partita Iva.
Questo però non è necessario se si verificano determinate condizioni:
- il titolare di partita Iva è un libero professionista iscritto ad un ordine professionale (ad esempio avvocati, giornalisti e commercialisti. È necessario però che la prestazione effettuata per conto dell’azienda rientri in quelle svolte nell’esercizio dell’attività professionale;
- la prestazione è connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite tramite determinati percorsi formativi (diploma di maturità, qualifica conseguita al termine dell’apprendistato o laurea);
- la prestazione è connotata da capacità tecnico pratiche acquisite a seguito di un esercizio concreto di tali attività (per almeno 10 anni);
- il titolare di partita Iva ha un reddito annuo lordo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali.
Quando la partita Iva si converte in contratto di lavoro
Ci sono dei casi però in cui non si può parlare né di un lavoro autonomo né di un Co.Co.Co. e di conseguenza la partita Iva nasconde un lavoro subordinato fittizio (e illegittimo).
Nel dettaglio, questo avviene quando il Co.Co.Co. sottoscritto manchi di uno specifico progetto gestito in forma autonoma dal collaboratore titolare di partita Iva collegato ad un determinato risultato finale.
Inoltre il Co.Co.Co. vieta lo svolgimento dei compiti meramente esecutivi o ripetitivi da parte del titolare di partita Iva; riassumendo si presume l’esistenza di un lavoro subordinato quando esiste la prova dell’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo, gerarchico e disciplinare esercitato dal datore di lavoro o anche quando l’attività del collaboratore sia simile a quella svolta dagli altri dipendenti assunti dall’azienda con regolare contratto.
In tal caso l’utilizzo della partita Iva è assolutamente illegittimo e di conseguenza il dipendente potrà rivolgersi al giudice per chiedere la conversione in un lavoro subordinato e la conseguente sottoscrizione di un contratto a tempo indeterminato.
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