Ecco cosa deve fare il lavoratore che riceve lo stipendio in ritardo o addirittura non pagato per niente, difendendosi legalmente.
L’articolo 36 della Costituzione tutela il diritto alla retribuzione dei lavoratori, che deve essere proporzionata all’attività lavorativa per qualità e quantità, ma comunque sufficiente a garantire alla famiglia una vita dignitosa. Ora, sull’applicazione di questo principio al livello dei salari c’è un dibattito acceso e con radici molto lontane nel tempo. Non c’è tuttavia alcun dubbio sul diritto del dipendente a ricevere l’importo pattuito nel contratto di lavoro, entro le tempistiche indicate dallo stesso. Eppure, tanti lavoratori sono costretti ad aspettare molto più del previsto, con grossi disagi per le famiglie.
Ancora peggio, per quanto il ritardo comporti difficoltà non indifferenti, quando lo stipendio non viene pagato affatto. Una vera e propria ingiustizia ai danni del dipendente, che ha lavorato sacrificando tempo ed energie. Anche se può sembrare difficile, il lavoratore non deve sottostare a queste logiche, ma anzi deve difendere i propri diritti attraverso gli strumenti predisposti dalla legge. Quando lo stipendio viene pagato abitualmente con largo ritardo o a maggior ragione non viene affatto corrisposto il dipendente, peraltro, il lavoratore sta già affrontando una delle peggiori conseguenze possibili.
Tentare di affrontare il problema senza compromettere ulteriormente i rapporti con il datore di lavoro, che purtroppo e indebitamente diventa per molti una priorità, è possibile. In tal proposito, si ricorda anche che la prescrizione dei crediti da lavoro comincia a decorrere soltanto dalla cessazione del rapporto. È richiesta quindi particolare attenzione, visto che il mancato pagamento dello stipendio è riconosciuto come giusta causa di dimissioni. Vediamo cosa fare.
Il tentativo bonario
Nell’ottica di non rovinare troppo i rapporti con il datore di lavoro, ma soprattutto per puntare a una risoluzione veloce, il dipendente potrebbe dapprima tentare in modo bonario e informale. Vale a dire parlare direttamente con il datore (o chi per lui gestisce i pagamenti), eventualmente in forma scritta, del problema riscontrato. Questo primo tentativo si rivela fondamentale per limitare il danno e ottenere il pagamento dello stipendio, seppur in ritardo. Va infatti considerato che il datore di lavoro è sanzionabile per il ritardo nel pagamento e nella consegna della busta paga, così come potrebbe essere chiamato a un ulteriore risarcimento in tribunale, pertanto questi elementi potrebbero funzionare come incentivo all’accordo. Ovviamente, se questa strada non porta ai risultati sperati, si passa al punto successivo.
La diffida al datore di lavoro
Per intimare al datore di lavoro il pagamento dello stipendio è possibile inviare una diffida. Si tratta di una richiesta scritta in cui si richiama al dovere di adempimento, indicando un’ultima scadenza per mettersi in regola con il pagamento, di solito intorno ai 10 giorni. Il lavoratore può scrivere la diffida anche in autonomia, avendo cura di:
- spiegare chiaramente il problema;
- richiedere il pagamento dello stipendio nei termini contrattuali;
- indicare la scadenza entro cui si pretende l’adempimento;
- annunciare l’avvio di un contenzioso legale in caso di inadempimento;
- inviare la diffida tramite raccomandata a/r o pec per avere una data di notifica certa;
- indirizzare l’atto ai recapiti del datore di lavoro e dai propri (non usare pec intestate ad altri o inviare la diffida all’indirizzo sbagliato).
Per la diffida è comunque possibile farsi assistere da un avvocato.
La conciliazione
Il lavoratore che non riceve lo stipendio può rivolgersi alla Direzione del lavoro, presentando un reclamo all’ispettorato anche senza l’assistenza legale o sindacale. Il procedimento è del tutto gratuito e serve, previ accertamenti della Direzione, ad avviare un tentativo di conciliazione tra le parti. La richiesta di conciliazione può anche avvenire attraverso i sindacati, anche in questo caso volta a trovare un accordo, che pone comunque come condizione il pagamento della retribuzione spettante al lavoratore. La conciliazione potrebbe in entrambi i casi non portare al successo, soprattutto se rifiutata dal datore di lavoro. Non restano che le vie legali.
Il decreto ingiuntivo
Lo stipendio corrisponde pienamente a un diritto di credito del lavoratore che, pertanto, può avviare un’azione forzata per difendersi. Tutto inizia con il decreto ingiuntivo, il primo passo verso il pignoramento dei beni, che può essere ottenuto in tribunale (con l’assistenza di un avvocato) provando facilmente il proprio diritto attraverso la documentazione scritta. Il decreto ingiuntivo così ottenuto deve essere notificato al datore di lavoro entro 60 giorni, affinché l’azienda debba pagare entro 40 giorni oppure opporsi e dare inizio a una causa di lavoro. In caso di inadempimento nei termini, l’avvocato proseguirà l’azione con un atto di precetto e infine il pignoramento vero e proprio. In caso di opposizione si finisce in causa, al termine della quale il giudice sancirà gli obblighi in capo al datore di lavoro, senza dubbio con il pagamento degli stipendi spettanti, comprensivo di interessi e rivalutazione monetaria.
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