Tassi BCE VS tassi Fed: il messaggio appena arrivato dall’inflazione USA

Laura Naka Antonelli

11/12/2024

Reso noto l’indice CPI USA che avrà fatto scattare sull’attenti la Fed di Powell. Ma anche la BCE di Lagarde, alla vigilia dell’annuncio sui tassi.

Tassi BCE VS tassi Fed: il messaggio appena arrivato dall’inflazione USA

Tassi BCE VS tassi Fed: quanto è destinata ad aumentare la divergenza, già presente, tra i tassi di interesse dell’area euro e quelli degli Stati Uniti?

Un indizio, su quanto accadrà nel breve termine, è arrivato oggi direttamente dal dipartimento del Lavoro USA, con la pubblicazione dell’indice CPI (Consumer Price Index), indice dei prezzi al consumo, relativo al mese di novembre.

Tra i termometri più importanti per monitorare il trend delle pressioni inflazionistiche, negli States il CPI è salito su base mensile dello 0,3%, in linea con le attese, ma al ritmo più alto dal mese di aprile.

Occhio alla componente core, ovvero all’inflazione depurata dalle componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni energetici e dei beni alimentari, che ha messo a segno anch’essa un progresso dello 0,3%.

Su base annua, l’inflazione CPI headline è salita del 2,7%, rispetto al 2,6% di ottobre e al valore più alto dal mese di luglio, mentre la componente core ha riportato un rialzo del 3,3%, come da attese.

Inflazione USA: CPI headline sale del 2,7% a novembre, record da luglio Inflazione USA: CPI headline sale del 2,7% a novembre, record da luglio Focus sul dato di novembre, relativo all'inflazione USA misurata dall'indice dei prezzi al consumo CPI (Fonte Bloomberg).

Inflazione USA: arriva il CPI, a scattare sull’attenti anche la BCE

Grande market mover della giornata di oggi, il dato relativo all’inflazione USA non è stato attenzionato soltanto dalla Fed di Jerome Powell ma anche, per ovvie ragioni, dalla Banca centrale europea.

Il CPI (indice dei prezzi al consumo) è stato diffuso oggi a meno di 24 ore dall’annuncio sui tassi della BCE, che arriverà nella giornata di domani, giovedì 12 dicembre 2024, quando il Consiglio direttivo dell’Eurotower emetterà l’ultimo verdetto di quest’anno, pubblicando al contempo le previsioni del suo staff sul trend del PIL e dell’inflazione dell’Eurozona.

Qualche giorno dopo toccherà alla Fed, con la riunione del suo braccio di politica monetaria FOMC - in calendario il 17-18 dicembre - che si confermerà tra gli ultimi market mover di quest’anno, in un contesto in cui la paura che l’inflazione torni a puntare verso l’alto negli Stati Uniti è già palpabile da un po’.

Venerdì scorso, nel commentare i dati relativi al mercato del lavoro USA arrivati con la pubblicazione del Nonfarm Payrolls, la governatrice della Fed Michelle Bowman aveva già lanciato un chiaro avvertimento, facendo notare che il processo disinflazionistico, negli Stati Uniti, si è interrotto e che, di conseguenza, tagliare i tassi USA in modo troppo veloce potrebbe far ritornare l’angoscia di una inflazione di nuovo troppo persistente.

Dal canto loro, gli economisti di BNP Paribas, anticipando il dato di oggi, avevano affermato nei giorni scorsi che una situazione caratterizzata da un trend dei prezzi core USA in crescita su base mensile dello 0,3% per il quarto trimestre consecutivo, difficilmente avrebbe convinto la Federal Reserve del trend ribassista dell’inflazione negli Stati Uniti.

Non solo: anche un rialzo limitato dell’inflazione su base mensile, al ritmo dello 0,2%, secondo gli economisti, non avrebbe incoraggiato “la Fed, già incerta sulla necessità di procedere ad altri tagli dei tassi”.

Oggi, i numeri relativi all’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti di novembre, che la stessa Bowman aveva indicato come tassello chiave per la prossima decisione di politica monetaria della banca centrale, sono stati finalmente annunciati, confermando probabilmente i sospetti degli economisti. Sicuramente, i numeri sono tali da non consentire al presidente della Federal Reserve di tirare un sospiro di sollievo.

A scattare sull’attenti, oltre alla Fed, sarà stata anche la BCE, in vista dell’ultimo annuncio sui tassi che arriverà nella giornata di domani. D’altronde, la politica monetaria dell’Eurotower è strettamente connessa a quella della Fed (se non dipendente da essa).

Inflazione USA: il trend del CPI a novembre, occhio al trend dell’indice core. Il nodo affitti

Dal dato relativo all’inflazione USA reso noto oggi sono emersi diversi dettagli, che hanno chiamato in causa di nuovo la solidità della componente shelter, ovvero di quella relativa agli affitti e al costo delle abitazioni negli Stati Uniti, che è salita dello 0,3% su base mensile.

Si tratta di una componente chiave, che a novembre ha inciso sul trend dell’indice CPI per quasi il 40%.

Altro dettaglio emerso dal market mover appena reso noto è la performance dei salari reali che, su base mensile, hanno accelerato il passo, salendo dello 0,3%, rispetto al +0,1% di ottobre.

Su base annua, lo scatto è stato pari a +4,7%.

Si tratta di segnali che confermano come la Fed di Jerome Powell non abbia alla fine grande spazio per continuare a sforbiciare i tassi di interesse, dopo i due grandi annunci: il primo, che risale allo scorso 18 ottobre, quando finalmente ha iniziato a tagliare il costo del denaro USA, annunciando quello che è stato ribattezzato Jumbo Cut. Il secondo, quando i tassi sono stati sforbiciati di nuovo, appena dopo la notizia della vittoria alle elezioni USA di Donald Trump.

Detto questo, prima della diffusione di queste cifre, i mercati scommettevano sull’arrivo del terzo taglio dei tassi da parte della Fed, nell’ultima riunione dell’anno, con una probabilità pari all’85%, mentre nei minuti successivi alla pubblicazione delle cifre, la probabilità si è rafforzata fino a diventare una certezza, salendo al 96%.

Attenzione in particolare al fattore positivo che è emerso dal trend del cosiddetto CPI SuperCore, ovvero dell’inflazione dei servizi depurata dalla componente degli affitti che, lo scorso mese, è salito di appena lo 0,19% su base mensile, riportando un trend di crescita su base annua del 4,3%, livello ancora elevato ma al minimo dal dicembre del 2023.

Inflazione USA: il trend della componente SuperCore CPI Inflazione USA: il trend della componente SuperCore CPI Attenzione al trend della componente SuperCore CPI, che su base annua ha riportato il rialzo minimo dal dicembre del 2023 (Fonte Bloomberg).

Un altro sottoindice che ha invece contribuito a mantenere la crescita dell’inflazione USA ben superiore al target della Banca centrale Usa è stato quello relativo alle assicurazioni sulle auto, i cui prezzi sono balzati di ben il 12,7% su base annua, riportando tuttavia una performance quasi piatta su base mensile.

In rialzo del 2% i prezzi dei veicoli usati, mentre i prezzi delle nuove auto sono aumentati dello 0,6%.

I prezzi dei beni alimentari sono saliti dello 0,4% su base mensile e del 2,4% su base annua, mentre il trend dei prezzi dei beni energetici è stato di un rialzo dello 0,2% su base mensile e di una flessione del 3,2% su base annua.

Tassi BCE VS Fed: il fattore Trump che i mercati stanno già prezzando

Diversi sono gli economisti e strategist che hanno già pubblicato le loro previsioni sul trend dei tassi sia negli Stati Uniti che nell’area euro, parlando di un divario destinato ad ampliarsi, a causa dell’avvento della seconda amministrazione Trump: un’amministrazione che dovrebbe sostenere almeno all’inizio, grazie all’adozione di una politica fiscale più espansiva, sia la crescita del PIL che del’inflazione USA, erodendo invece, attraverso l’imposizione di dazi sui prodotti importati dagli Stati Uniti, la crescita e di conseguenza l’inflazione dell’area euro.

A causa di un’inflazione USA destinata a rimanere superiore ai desiderata della Fed (che, così come la BCE di Lagarde), ambisce a un tasso pari al 2%), Powell potrebbe essere dunque costretto a interrompere il ciclo di tagli dei tassi avviato soltanto a settembre. Lo si diceva già prima, e lo “dice” oggi lo stesso dato appena annunciato.

Dall’altro lato, di fronte a un PIL nel migliore dei casi da zero virgola, Lagarde sarebbe costretta secondo diversi esperti a tagliare in modo più significativo i tassi dell’area euro.

La divergenza tra le politiche monetarie di BCE e Fed avrà forti riflessi su EUR-USD

C’è chi guarda ancora più oltre: sono gli analisti che hanno stilato le previsioni sul trend dei tassi dell’area euro fino al 2027.

Idem è stato fatto per i tassi degli Stati Uniti.

Non sono inoltre mancate in questi ultimi giorni anche le previsioni sull’euro-dollaro (EUR-USD), l’asset che più di tutti è ostaggio dalla divergenza tra la politica monetaria della Fed e quella della BCE, destinato a quanto pare a far fronte a diverse sfide.

Il motivo è semplice. Mantenendo alti i tassi di interesse USA, la Fed continuerà a far sì che gli asset denominati in dollari presentino alti rendimenti e siano dunque più appetibili agli occhi degli investitori.

Basterà questo fattore a legittimare nuovi buy sul dollaro USA.

Dall’altro lato, la BCE costretta a proteggere l’economia dell’Eurozona dallo schiaffo dei dazi di Trump con una politica monetaria che potrebbe diventare anche espansiva - come pronosticato dal governatore di Bankitalia Fabio Panetta - necessariamente diminuirà l’appetibilità dell’euro.

Risultato: l’euro ha poche chance di riuscire a imboccare una traiettoria rialzista.

Detto questo, per caso proprio il rapporto euro-dollaro potrebbe (o dovrebbe?) a sua volta spingere Lagarde a non spingere troppo sull’acceleratore dei tagli dei tassi dell’Eurozona?

EUR-USD da ostaggio BCE-Fed a faro direzione tassi?

Ostaggio delle politiche monetarie attive in USA e nell’Eurozona, il cambio EUR-USD potrebbe diventare proprio il fattore determinante nell’orientare la direzione delle stesse, arrivando a legare le mani a Christine Lagarde.

Non sarebbe la prima volta, visto che l’Eurotower ha iniziato a tagliare i tassi solo il 6 giugno scorso, posticipando più volte la mossa, in quanto intimorita dalla minaccia dell’inflazione importata dagli USA, dove le pressioni sui prezzi avevano smentito nei primi mesi di quest’anno chi aveva subito brindato al processo disinflazionistico in teoria in atto, (che ha impiegato un po’ di tempo a palesarsi).

Successivamente, a onor di cronaca, va ricordato che la BCE ha sforbiciato il costo del denaro lo scorso 12 settembre.

L’ultimo e terzo taglio dei tassi risale alla riunione del 17 ottobre, quando Lagarde & Co hanno annunciato l’ennesima riduzione di 25 punti base, che ha portato il tasso sui depositi, i tassi sulle operazioni di rifinanziamento principali e i tassi sulle operazioni di rifinanziamento marginale, a scendere rispettivamente al 3,25%, 3,40% e al 3,65%.

Tornando all’impatto del forex, in questa situazione l’avverarsi di un euro troppo basso nei confronti del dollaro per effetto della divergenza tre le due politiche monetarie della Fed e della BCE potrebbe tradursi, a danno dell’Eurozona, nel fenomeno dell’inflazione importata in quanto, a fronte di un Super dollaro blindato da Jerome Powell, l’area euro si ritroverebbe alle prese con un costo delle importazioni più alto da sostenere per l’acquisto di beni e materie prime, il cui valore è espresso in bigliettoni verdi.

Se poi, oltre a un dollaro troppo forte dovessero riaccendersi anche le tensioni geopolitiche, la BCE potrebbe temere un contesto di stagflazione e decidere, di nuovo, di dare ragione più ai falchi, continuamente ossessionati dal pericolo dell’inflazione, che non alle colombe, che da mesi chiedono alla Banca centrale di essere più coraggiosa e dunque di tagliare i tassi di interesse del blocco in modo più significativo. Ma per ora, di Jumbo Cut si continua a parlare facendo riferimento soprattutto alla Federal Reserve. E, ancora di più, vale la pena di ricordare, della Bank of Canada.

Ancora più coraggiosa, probabilmente, e sicuramente agli occhi delle colombe, sembra essere proprio la banca centrale del Canada che, nella giornata di oggi, alla vigilia della riunione della BCE, ha tagliato i tassi di 50 punti base, per la seconda volta consecutiva, portandoli al 3,25%, dal 3,75% precedente.

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