Nel giorno in cui Gazprom blocca i flussi verso Polonia e Bulgaria, Bloomberg svela il cedimento «sotto copertura» alla richiesta di Mosca. E mentre il rublo si apprezza, le nuove sanzioni latitano
Gazprom è stata di parola. A fronte del mancato pagamento in rubli, ha interrotto la fornitura di gas naturale a Polonia e Bulgaria. Di più. Il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, ha invitato l’azienda a estendere il provvedimento di stop a tutti i Paesi ostili. Un segnale. Chiaro. A cui l’Europa ha risposto con un simbolico rifornimento ai Paesi colpiti da parte di altri Stati membri. nonostante la Polonia rivendichi la sua capacitò di autonomia e l’ennesima intemerata di Ursula Von der Leyen contro il ricatto energetico di Mosca.
Ma c’è dell’altro. E di decisamente più sistemico. Perché Bloomberg ha confermato come almeno quattro operatori europei, fra cui la tedesca Uniper e l’austriaca OMV abbiano accettato le condizioni poste dal Cremlino e pagato le forniture in rubli. Di più. sempre l’agenzia stampa Usa conferma come dieci società europee abbiano aperto conti presso Gazprombank al fine di dar vita alla partita di giro sui pagamenti, utilizzando quindi euro o dollari e lasciando che sia la finanziaria del gigante energetico a convertire in rubli e disporre il trasferimento a Gazprom Export. Un backdoor funding per la salvare la faccia ma che, alla fine, tradisce una spaccatura esiziale in seno all’Europa. La quale, infatti, ad oggi ancora non ha varato il nuovo pacchetto di sanzioni annunciato per dopo il ballottaggio francese e che avrebbe dovuto includere da subito petrolio e carbone russo.
E Gazprom è andata oltre. Dopo aver messo in guardia anche gli altri Paesi europei, i quali dovranno centellinare il loro aiuto verso Polonia e Bulgaria, poiché l’operatore russo minaccia di detrarre dal totale del gas fornito quanto viene stornato verso i due Paesi banditi attraverso le utilities Bulgargaz e PGNiG, ecco la stoccata verso la Germania. Quando ancora il Paese è scosso dallo scandalo suscitato dall’intervista dell’ex cancelliere, Gerard Schroeder, in difesa di Vladimir Putin. In una sorta di contrappasso per la mancata esecuzione dei pagamenti di cedole obbligazionarie in rubli da parte di istituti occidentali, Gazprombank ha infatti rifiutato il pagamento delle forniture di aprile e maggio - nonostante fossero in rubli - poiché operati tramite la sua sussidiaria tedesca, Gazprom PJSC, di fatto nazionalizzata da Berlino come effetto delle sanzioni.
Insomma, andare a vedere il bluff di Vladimir Putin sulle forniture di gas dopo l’ultimatum sulle modalità di pagamento ha portato con sé una doppia delusione per l’Europa: la chiusura effettiva del transito verso due nazioni e la presa d’atto di un nutrito numero di operatori che, silenziosamente o tramite mezzucci, hanno preferito accettare il ricatto russo piuttosto che rischiare il blocco delle forniture. Non esattamente un punto di partenza dei migliori verso il tanto minacciato stop al gas di Mosca, ventilato oggi dal commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, come possibile entro il 2027. Nel frattempo, si tratta. Sottobanco.
E questi due grafici
mostrano come, apparentemente, il tanto vituperato rublo al centro della disputa e ribattezzato in ambito finanziario occidentale come rubble, poiché destinato a divenire carta senza valore, oggi abbia segnato un massimo a sei mesi sul dollaro e addirittura a due anni sull’euro. Chiaramente, tutti fanno riferimento alla vulgata lanciata da Janet Yellen e in base alla quale questo recupero di valore della valuta russa sia unicamente ascrivibile a manipolazione (detto da chi ha guidato la Fed, in effetti, rappresenta una garanzia) ma il fatto che il prezzo dei futures del Dutch europeo abbia segnato un +20%, toccando una valutazione pari a sette volte quella di un anno fa, apre scenari poco piacevoli.
Soprattutto se l’Ue si trova costretta a ricorrere a supercazzole diplomatiche come quella riportata da Reuters e riconducibile a fonti accreditate della Commissione: La mossa della Russia di bloccare le forniture a Bulgaria e Polonia rischia di rivelarsi controproducente, poiché dimostra come la dipendenza dalla Russia getti i Paesi europei in uno stato di vulnerabilità e coercizione. Come se fino all’altro giorno tutto questo non fosse noto. A tutti. Piaccia o meno, il primo set della partita energetica fra Russia ed Europa si è concluso con un secco 6-0. Ora, però, rischia di aprirsi un capitolo parallelo ancora più pericoloso, perché oltre al rischio di una frattura tale da non garantire l’unanimità sul nuovo pacchetto di sanzioni, si palesa all’orizzonte quello di un obbligatorio confronto sui numeri con gli Stati Uniti. A quel punto potrebbe essere il bluff del gas LNG a saltare. E l’Europa si ritroverebbe con le spalle al muro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA