In 5 mesi di stretta regolatoria, il comparto tech del Dragone ha perso la capitalizzazione congiunta di Alibaba, Meituan e PDD. Mentre in Usa impazza la moda del trading 24/7 su equities sintetiche
I toni non sono quelli roboanti della propaganda trumpiana ma la contrapposizione commerciale fra Usa e Cina negli ultimi giorni sta vivendo una vera e propria escalation. Dopo l’inasprimento delle misure repressive verso aziende tech quotate negli Usa da parte di Pechino, Washington ha reagito con l’ampliamento della propria black-list e proprio oggi ha aggiunto un tassello al suo mosaico di controffensiva.
Con mossa decisamente muscolare, Dipartimento di Stato, del Commercio, del Tesoro e Homeland Security hanno emanato un avviso ufficiale alle aziende americane operanti in Cina, in particolare nella regione dello Xinjiang: abbandonate immediatamente la vostra partecipazione a quella catena di fornitura o dovrete affrontare conseguenze legali. Washington ha deciso di puntare forte sulla questione dei diritti umani e, in particolare, dello sfruttamento della manodopera della minoranza uiguri e il risultato dell’ultimo sondaggio condotto da Statista rispetto alla percezione del governo cinese nei principali Paesi sembra dare ragione alla strategia:
Fonte: Statista
mai come oggi il giudizio verso Pechino e le sue pratiche appare fortemente negativo a livello globale.
C’è però una ragione occulta dietro l’accelerazione decisa dagli Usa, così come nella scelta di cooptare il più in fretta possibile alleati nella lotta contro il nuovo impero del male. La mostra questo grafico,
Fonte: FactSet/Bloomberg
dal quale si evince come in meno di 5 mesi di campagna di regolamentazione e limitazione del comparto tech, Pechino abbia ottenuto come risultato un trilione di dollari di market cap bruciato dal medesimo settore. Praticamente, la capitalizzazione di Alibaba, Meituan e PDD messa insieme. La stessa Goldman Sachs ha definito la sell-off tecnologica del Dragone senza precedenti per durata, velocità e intensità.
Eppure, nessun giornale al mondo titola in prima pagina con toni degni di Lehman Brothers. E nessuno azzarda l’ipotesi di hard landing o Minsky moment all’orizzonte per la Cina, stante l’esplosione della bolla tecnologica in atto. E la ragione è semplice: Pechino ha bucato volontariamente quella bolla. Per una ragione semplice, quanto inquietante: dimostrare al mondo chi è il boss, chi comanda, chi guida la giostra equity. Perché permettersi il lusso di vedere precipitare un comparto esiziale come quello tecnologico in profondo rosso e limitarsi solo ora al minimo sindacale di intervento di sostegno al sistema attraverso il taglio dei requisiti di riserva bancari, appare un palese sfoggio di muscoli.
Ma, a differenza di quello tutto minacce e atti diplomatici degli Usa, sostanziato dai fatti e dalle cifre. Gli indici cinesi vanno in rosso, anche profondo. Ma nessuno grida al prossimo tracollo di Pechino. Anzi. E ci sono almeno un paio di valide ragioni che rendono questo optare per l’attendismo una scelta obbligata, implicitamente a conferma della posizione di forza da cui opera Xi Jinping. In primis, la mostrano questi due grafici.
Fonte: Bloomberg
Fonte: Financial Times
Se infatti il primo sembra dimostrare come il combinato di taglio netto del CapEx unito a una volontaria agevolazione delle dinamiche di contrazione del mercato abbia garantito il miracolo di un cash-flow da record per il moribondo settore petrolifero Usa, il secondo sembra frenare drasticamente gli entusiasmi.
Stante il basso prezzo del barile a cui hanno contratto gli hedging relativi alle vendite future, i produttori di shale statunitensi ancora oggi stanno vendendo il greggio a 55 dollari. E i calcoli fatti da IHS Markit parlano chiaro: se le perdite legate al cosiddetto poor hedging sono già costate 7,5 miliardi di dollari nel primo semestre di quest’anno, un barile attorno ai 75 dollari potrebbe comportarne altre per circa 12 miliardi da qui a fine anno. Insomma, 20 miliardi di perdita potenziale per il comparto che negli anni Ottanta equivaleva a quello tech come peso sugli indici e che proprio ora sembrava poter respirare.
Ma è la seconda ragione strutturale di cautela a far riflettere maggiormente. Questo grafico
Fonte: CoinMarketCap.com
mostra infatti l’andamento del titolo Tesla nella sua versione sintetica o mirrored: ovvero, l’ultima follia finanziaria che sta imperando negli Usa e che vede proprio il settore tech come protagonista. Di fatto, si tratta di negoziazione 24/7 della versione cripto delle equities trattate sui circuiti regolamentati, il cui scopo è duplice: garantire appunto possibilità di trading continuo e prendere profitto dall’arbitraggio fra prezzo sintetico e reale dell’azione trattata. L’ultima frontiera della DeFi, la finanza decentralizzata che ha immediatamente adottato il Mirror Protocol come nuova via per l’affrancamento da Wall Street.
Addirittura, chi opera può creare - mint - nuovi tokens quando i prezzi sono troppi alti attraverso la fornitura di collaterale o distruggerli - burn - quando i prezzi sono troppo bassi, cercando di farli risalire con una versione sintetica dello short squeeze. Il problema? La regolamentazione di circuiti e operatività simili, un argomento che prima o poi la Sec e il Congresso dovranno affrontare. Ma che, nel frattempo, potrebbe dar vita a un mercato parallelo in grado di creare anche bolle sintetiche su titoli che, nella realtà, contrattano su circuiti ufficiali e sono nel conto titoli e nei portfolios di banche, fondi e investitori.
E ll netto di un Nasdaq che oggi appare in trend overbought non solo pari a quello che ha scatenato le ultime sell-off ma anche ai massimi dal 2007-2008, come mostra il grafico,
Fonte: Bloomberg
quanto ci si può spingere davvero nel fare la guerra a chi ha appena dimostrato di poter bruciare un trilione di market cap nel comparto tech in 5 mesi, apparentemente senza fare un plissé e che minaccia di scatenare una tech war in grande stile? L’allarmismo del G20 sulla ripresa, forse, ha più a che fare con la variante Pechino che con quella Delta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA