Il bond del costruttore non è più accettato come collaterale e sprofonda. Ma l’intero countdown verso il default è scadenzato dalle autorità statali, quasi volessero tenere il mondo col fiato sospeso
Come in Gioventù bruciata. O, per i più giovani, come in Footloose. La Cina sta apparentemente giocando il chicken game con Evergrande ma, in realtà, l’antagonista della gara in auto a tutta velocità verso il dirupo è il mercato. Inteso come Occidente. Ulteriormente specificato, Wall Street. Che il redde rationem per il gigante delle costruzioni fosse ormai alle porte era stato chiaro il 18 agosto scorso, quando al salvataggio di Stato di Huarong non seguì medesimo intervento per il disastrato e ultra-esposto developer.
Tra venerdì scorso e oggi, però, le auto hanno smesso di far rombare i motori a vuoto e i piedi si sono alzati di scatto dalla frizione. Quantomeno, quello della China Securities Depository and Clearing (CSDC). La quale, operando con la nonchalance di chi si accende una sigaretta, ha azzerato il leverage di Evergrande, di fatto riducendo a zero la conversion rate del bond con scadenza luglio 2022 a partire da domani. Tradotto, esclusione dalla platea del collaterale riconosciuto per operazioni repo di finanziamento. Game over. E a deciderlo è stato il governo, visto che la CSDC è controllata dalle Borse di Shanghai e Shenzhen.
Apparentemente, un colpo di pistola sul piede. Perché come mostra questo grafico,
il contagio ha immediatamente colpito l’intero spettro del debito ad alto rendimento cinese. Qualcosa come 12,9% di yield. Ma come mostra sempre l’immagine, un livello già toccato poche settimane fa. Prima di calare. La ragione dell’up and down? La risoluzione del caso Huarong, capace di far respirare il comparto e poi la delusione rispetto al mancato epilogo da bail-out di Stato anche per Evergrande. Il mondo non crollò a cavallo tra luglio e agosto. Probabilmente non lo farà nemmeno ora.
Perché questo secondo grafico mostra dell’altro,
ovvero il tonfo del 25% del bond incriminato al suo ritorno in contrattazione questa mattina. Reazioni dei regolatori o della Pboc? Un laconico comunicato della Shanghai Stock Exchange in cui si informava il pubblico della temporanea sospensione dell’obbligazione a causa di fluttuazioni anormali. Poi, tornata in pista, il tracollo. Senza più alcun commento. Una nave alla deriva. Talmente grande ed esposta sul leverage da porre un reale rischio sistemico, la Lehman cinese appunto.
Ma con una sostanziale differenza: la sua navigazione senza meta, sballottata dai flutti del panico da liquidazione, è stata determinata da una scelta precisa dell’armatore. Ovvero, lo Stato cinese. Il quale avrebbe potuto risolvere la questione giorni fa, in contemporanea o subito dopo il caso Huarong. E invece ha deciso di mettersi in macchina e giocare al chicken game. Perché al netto del taglio di outlook dell’intero comparto immobiliare operato da Moody’s, il timore è appunto quello di un contagio su larga scala fra gli altri costruttori, in primis Fantasia Holdings Group Co., Central China Real Estate Ltd e Guangzhou R&F Properties.
E se la prima deve fare i conti con 752 milioni di bond offshore a scadenza entro fine anno, fra cui 208 milioni in ottobre, l’ultima è alle prese con 200 milioni di dollari legati a una note che va a maturazione il prossimo 27 settembre. Stando a calcoli di Moody’s, il settore immobiliare cinese nel suo complesso deve ripagare o rifinanziare entro fine anno 14,6 miliardi di dollari in obbligazioni a scadenza, mentre la sola Evergrande deve fare i conti con 7,1 miliardi di dollari legati a trust loans in maturazione quest’anno, altri 7,4 miliardi il prossimo e, se dovesse sopravvivere, quasi 8,3 miliardi nel 2023, come mostra il grafico.
Come reagirà domani il mercato cinese a questi sviluppi, riguardanti un elefante nella stanza da 300 miliardi di dollari? E quello europeo, subirà contraccolpi? Ma, soprattutto, Wall Street - oggi chiusa per il Labor Day e con gli algoritmi tutti settati in maniera fissa su posizioni long - come interpreterà la mossa delle autorità cinesi, il loro voler correre in automobile verso il destino come in una canzone di Bruce Springsteen? Pechino vuole questo, forse, instillare panico? Il dubbio sorge, quantomeno stando alla flemma generale che ha accompagnato questa giornata sul mercato asiatico. Interpellato da Reuters, il direttore di una unità di brokeraggio cinese ha definito l’accaduto il classico elefante grigio.
Ovvero, una minaccia altamente preventivabile e comunemente conosciuta ma fino all’ultimo ignorata. Forse il mondo che sta al di fuori dei confini cinesi, paradossalmente, spera in un evento di credito sistemico, in modo che la Pboc debba rompere del tutto gli indugi e alluvionare di nuovo il sistema? Forse la scommessa di Pechino è questa: prendere un rischio ampiamente calcolato, ancorché enorme nel suo impatto, per imporre un regime change epocale. Se Evergrande diverrà la nuova Lehman, in maniera più o meno ordinaria, la Cina potrà mostrare al mondo come si tampona un’emergenza.
Ma, soprattutto, dimostrare chi è adesso titolare del banco nel casinò globale. Perché con un trilione di dollari che quotidianamente diventano inert money presso la facility di reverse repo della Fed di New York, una margin call potrebbe risultare fatale a Wall Street. Ed Evergrande, se dovesse urtare davvero l’iceberg, potrebbe far saltare il tappo del rischio di controparte ovunque nel mondo. Pechino sta lanciando cerini accesi sul piazzale di un distributore di benzina, tanto per ingannare la noia. Tutt’intorno, spettatori falsamente annoiati. E con il numero dei pompieri già impostato sul telefono.
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