Coltivare cannabis in casa non è più reato: nuova sentenza della Cassazione

Teresa Maddonni

27 Dicembre 2019 - 11:59

La Cassazione ha stabilito che coltivare cannabis in casa in quantità minime e per uso personale non finalizzato allo spaccio è possibile. Vediamo la nuova sentenza.

Coltivare cannabis in casa non è più reato: nuova sentenza della Cassazione

Coltivare la cannabis in casa non è reato in quantitativo minimo e per uso personale.

A stabilirlo è stata una sentenza delle sezioni penali unite della Cassazione dello scorso 19 dicembre, disciplinando un tema assai controverso e che divide tutti dal legislatore all’opinione pubblica.

È di questi giorni la discussione circa la legalizzazione e commercializzazione della cannabis light con basso contenuto di Thc che da sempre riscalda gli animi.

L’emendamento per la vendita della cannabis light era stato inserito nella Legge di Bilancio 2020, ormai approvata all’alba della vigilia di Natale, ma eliminato dal testo perché considerato inammissibile.

A oggi la sentenza storica della Cassazione sulla cannabis, non quella light, che determina una svolta. Vediamo cosa dice.

Coltivare cannabis in casa non è più reato: cosa dice la sentenza della Cassazione

Sul coltivare cannabis in casa e sulla sua legittimità si è pronunciata in una sentenza la Cassazione.

In particolare le sezioni penali unite hanno stabilito con la sentenza che “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica” .

Secondo la sentenza della Cassazione il quantitativo di cannabis, perché la coltivazione sia legittima, deve essere minimo: poche piantine, poca produzione che non sia finalizzata allo spaccio.

Sempre nella sentenza della Cassazione si stabilisce che le finalità di spaccio si possono stabilire sin dal principio della coltivazione sulla base del numero di piante in fase di sviluppo

«essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente».

La sentenza continua affermando che:

«Devono però ritenersi escluse - ed è qui il punto di svolta - in quanto non riconducibile all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni, svolte in forma domestica che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».

Non è la prima volta che la Cassazione si pronuncia a favore della coltivazione di cannabis in casa, una pratica ormai molto diffusa grazie alla possibilità di acquistare tutto il necessario online.

La pronuncia è una massima provvisoria, si attende pertanto che la Corte depositi le motivazioni della sentenza sulla possibilità di coltivare la cannabis in casa.

Sentenza della Cassazione sul coltivare cannabis in casa: il caso

La cassazione si è pronunciata sulla possibilità di coltivare la cannabis in casa in merito a un caso della fattispecie, vale a dire sulla coltivazione di 2 piante di marijuana (una alta 1 metro con 18 rami, l’altra alta 1,15 metri con 20 rami).

La sentenza, che rappresenta una svolta storica, si inserisce nell’ambito di un contrasto tutto interno alla Cassazione laddove permangono, in merito alla coltivazione di cannabis tra le mura domestiche per uso personale, su due diverse posizioni.

  • una prima posizione stabilisce che per esserci reato secondo quanto stabilito dall’articolo 28 del Testo unico sugli stupefacenti DPR n.309/1990, non è sufficiente la coltivazione di una pianta di cannabis, ma è necessario verificare se questa attività può compromettere la salute pubblica e inserirsi in un mercato di vendita e circolazione degli stupefacenti;
  • la seconda posizione ritiene che per esservi reato è sufficiente la coltivazione del tipo botanico (vale a dire la cannabis) anche se nell’immediatezza non può verificarsi il suo principio attivo. Basta la potenzialità intrinseca della stessa di diventare stupefacente.

La nuova sentenza della Cassazione mette un punto tra le due posizioni affermando che sì vale il secondo principio, ma il quantitativo minimo di cannabis da coltivare in casa per uso strettamente personale è ammesso.

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